Herbert George Wells, La vita intelligente su Marte (1896)
Anno dopo anno, quando gli avvenimenti politici non sono fonte di preoccupazione, si riaffaccia il problema dell'esistenza di una vita intelligente, senziente, sul pianeta Marte. L'ultima ondata di speculazioni è stata alimentata dalla scoperta di Monsieur Javelle di una proiezione luminosa sull'orlo meridionale del pianeta. Da molti punti di vista, la luce era singolare, e, tra le altre interpretazioni, si è congetturato che gli abitanti di Marte inviassero messaggi luminosi agli abitanti ipotetici del pianeta-fratello, la Terra. Non è stato compiuto alcun tentativo di risposta. In effetti, se potessimo trasportare su Marte il nostro Astronomo-Reale con il miglior telescopio a nostra disposizione, egli non riuscirebbe neppure a scorgere una marea rossa di fiamme che attraversasse l'intera città di Londra. Il problema rimane irrisolto, e probabilmente è irrisolubile. Senza dubbio, Marte assomiglia molto alla Terra. Giorni e notti, estati e inverni marziani differiscono dai nostri solo nella lunghezza. Marte possiede terre e oceani, continenti e isole, catene montuose e mari interni. Le sue regioni polari sono coperte di nevi, e ci sono un'atmosfera, nuvole, un sole caldo e piogge moderate. Lo spettroscopio, che analizza con tanta precisione le stelle più lontane, ci dà motivo di ritenere che gli elementi chimici a noi familiari esistano anche su Marte. Dal punto di vista chimico e fisico, il pianeta è così simile alla Terra che non esiste nessun vero ostacolo alla convinzione che su Marte, come sulla Terra, si sia manifestata l'esistenza di protoplasma, l'unico materiale vivente che noi conosciamo. Se ci lasciamo guidare dalla ragione, sappiamo che, sul nostro pianeta, il protoplasma, dapprima amorfo e disperso, è stato diretto da forze naturali fino a modellarsi nella successione meravigliosa di forme e di integrazioni che noi chiamiamo il regno animale e il regno vegetale. Perché, allora, su Marte, sotto la guida di forze naturali consimili, il protoplasma non dovrebbe essere la radice di un ramo altrettanto ricco dell'evoluzione vivente; perché non dovrebbe produrre frutti altrettanto ricchi di creature intelligenti, senzienti?
Tralasciamo le possibili obiezioni, e supponiamo che, partendo da un semplice protoplasma, ci sia stata sul pianeta Marte una evoluzione di forme organiche diretta dalla selezione naturale e da agenti affini. E' una conclusione necessaria, o anche solo probabile, che l'evoluzione sia culminata in un ordine di creature con una percezione sensoriale del tutto simile a quella dell'uomo? E' immediatamente evidente che qui sorge un problema complicato e, fino ad ora, insolubile - un problema in cui, per usare il linguaggio della matematica, ci sono molte variabili indipendenti. Gli organi sensoriali sono parti del corpo, e, come i corpi stessi e tutte le parti che li compongono, sono il risultato di una serie quasi infinita di variazioni, selezioni, eliminazioni. Ad esempio, l'isolamento geografico è stato uno dei grandi agenti di modificazione. Combinandosi, i movimenti della Terra, il sistema delle correnti, e la natura delle rocce hanno più volte spezzato la massa dei continenti e creato delle isole, e, indipendentemente da altri agenti di modificazione, hanno isolato gruppi di creature, con il risultato che questi gruppi isolati si sono sviluppati secondo linee evolutive divergenti. Soltanto uno zoologo avventato potrebbe dire che gli animali e le piante esistenti sarebbero stati quelli di oggi se fosse stata differente la distribuzione delle terre e delle acque nell'èra cretacea. Dall'epoca delle formazioni calcaree, tutti i grandi gruppi di mammiferi si sono separati dal comune ceppo indifferenziato, e si sono modellati come uomini e scimmie, gatti e cani, antilopi e cervi, elefanti e scoiattoli. Soltanto in un sogno lontano dalla realtà possiamo supporre che i mutamenti periodici del mare e delle terre, dei continenti e delle isole, che sono avvenuti sul nostro pianeta fin dall'alba della vita, siano stati simili su Marte. La distribuzione geografica è soltanto un mutamento di una vasta sequenza di variazioni tra loro indipendenti che hanno contribuito alla creazione dell'uomo. Se diamo per scontato che su Marte c'è stata un'evoluzione del protoplasma, abbiamo ogni ragione per ritenere che le creature di Marte siano diverse dalle creature della Terra, nella forma e nelle funzioni, nella struttura e nei comportamenti, diverse al di là delle fantasticherie più bizzarre di un incubo.
Se noi approfondiamo il problema delle caratteristiche sensoriali dei Marziani, troveremo motivi ancora più grossi per dubitare dell'esistenza di creature senzienti in qualche modo paragonabili a noi. In una prospettiva metafisica - è vero - non esiste un mondo esterno al di fuori di noi. L'intero universo, dalla stella più remota all'atomo chimico più minuto, è solo un prodotto della nostra mente. Ma, in senso più lato, noi distinguiamo tra una realtà esterna e quei poveri aspetti di essa che percepiscono i nostri sensi. Noi pensiamo all'esistenza di qualcosa che non si identifica in noi stessi, sulla cui natura esprimiamo delle congetture - almeno finché annusiamo, gustiamo, tocchiamo, soppesiamo, vediamo, udiamo. Ma i nostri sensi sono le uniche sonde immaginabili dentro la natura della materia? L'universo non ha altre facce se non quelle che rivolge all'uomo? Eppure ci sono delle variazioni anche nell'ambito dei nostri sensi. A seconda della intensità delle vibrazioni, il suono prodotto da una colonna d'aria può essere alzato o abbassato al di là dell'udito dell'uomo. Tuttavia, la capacità di udire le note più alte o più basse varia da individuo a individuo. Se vi fossero orecchie in grado di ascoltare, vi sarebbero armonie e suoni articolati sopra e sotto la portata della percezione acustica dell'uomo.
Con la più piccola differenza anatomica dei loro organi, le creature di Marte potrebbero udire, e tuttavia essere sorde ai suoni che noi udiamo - parlare, e tuttavia, per noi, essere mute. Da tutte e due le estremità di uno spettro visibile in cui la luce è rotta da un prisma, si dispiegano raggi attivi, a noi invisibili. Un occhio dalla struttura appena diversa da quella del nostro potrebbe vedere, e tuttavia essere cieco dove noi vediamo. E questo accade per tutti i sensi. Anche se supponessimo che la creatura inimmaginabile di Marte avesse organi sensoriali direttamente paragonabili ai nostri, non ci potrebbe essere alcun modo in comune di misurare quello che è possibile udire, vedere, gustare, odorare, toccare a noi e a loro. Inoltre, è già una ipotesi azzardata pensare che possano essersi formati organi e sensi simili. Perfino tra gli animali della Terra riteniamo che esistano dei sensi non posseduti da noi. I nostri rapporti consapevoli con l'ambiente sono solo una piccola parte della più vasta sfera d'influenza che l'ambiente ha su di noi: perciò sarebbe facile suggerire dei sensi ipotetici diversi dai nostri. Parlando di creature la cui evoluzione si è sviluppata secondo linee diverse, e ha prodotto forme, strutture, relazioni con l'ambiente che non possiamo immaginarci, dobbiamo riconoscere come evidente che la loro percezione dell'ambiente potrebbe o dovrebbe seguire modalità a noi imperscrutabili. Nessuna visione antropomorfica è più ingenua di quella che suppone l'esistenza di uomini su Marte. Nell'universo intellettuale, una simile concezione si colloca nell'ambito delle cosmogonie e delle religioni antropomorfiche inventate dalla presunzione infantile dell'uomo primitivo.
(Il Palazzo di cristallo. A cura di Carlo Pagetti. Mondadori, 1991)
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