giovedì 29 agosto 2013

La Buona Annata's History Channel: Paul Valéry et la Critique militaire

Un esercito si forma, si orienta e si muove come certe immagini del suo comandante. Un esercito rischia, si dà e si perde in conformità a certe immagini comuni a tutta la massa.
Insomma, tutta l'arte del comando consiste nell'aver organizzato l'ineguaglianza fatale che è necessario che qualcuno si attribuisca. E' una combinazione di tempo, di numeri, di terreno, di armi, di sentimenti. I due membri della lotta sono fatti di questi termini; e, nel caso in cui i loro valori siano uguali, i due eserciti finiscono col distruggersi.
Da un certo punto di vista due eserciti che tendono al medesimo obiettivo costituiscono un tutto unico che via via si modifica passando da una fase iniziale a una finale attraverso una successione di movimenti interni. Da questo punto di vista la vittoria o la sconfitta perdono il loro significato.
All'origine di questo sistema, tutti gli individui che ne fanno parte presentano un'esitazione generale; e, a prescindere dalla speranza, due idee contrarie dividono ogni soldato. In uno stadio successivo, questo stato di dubbio diffuso uniformemente si trasforma in due certezze, ciascuna delle quali è caratteristica esclusiva ed assoluta di uno dei due contendenti.
Dirò ora che del soggetto vedo solo le idee, le figure, i ragionamenti o le elaborazioni. Ciò ammesso, non mi sembra che ci siano altre difficoltà salvo quelle ovunque presenti, e ovunque simili.
In guerra, in mancanza di simboli, saremmo obbligati, per essere chiari, a uccidere tutti fino all'ultimo. Ogni battaglia è perciò piena di convenzioni.
L'insieme delle idee militari fa riferimento a un'idea guida fissa che è l'idea del Nemico. E' il Non-Io di un esercito. A un uomo che fa la guerra questa idea viene proposta continuamente e diviene il leitmotiv di tutti i minuti per il semplice fatto che è un'ossessione ricorrente. Lascio ora al lettore il compito di ricercare, in via generale, quel che possa diventare il pensiero di un individuo quando lo si sottopone a un martellamento costante ed invariabile, basato su un'unica idea fissa. Idea fissa che si ritrova in tutte le associazioni mentali possibili e che le altera ad una ad una; ma essa, non si altera. Se il pensiero manipolato in questo modo è quello di un uomo di guerra, si capisce bene che un'eventuale sua dimenticanza della condizione imposta sarà punita con assoluta durezza. 
Nei cervelli in cui è chiaro questo concetto di Nemico ideale, può essere più o meno definito. Un esercito in guerra in un paese difficile, isolato, avrà davanti a sé un intero orizzonte nemico. Si conoscono più o meno l'avversario, la sua forza, la sua posizione, la sua volontà, i suoi piani e l'dea che lui si è fatto di noi. L'immagine del nemico è però meno pericolosa quanto più è determinata e di conseguenza può influenzare in misura minore le ipotesi astratte che hanno origine da procedimenti logici o dagli stessi sogni.
Sulla base di queste valutazioni, ritengo che sarebbe possibile con una certa facilità "dar conto" della successione delle vicende di una guerra, attraverso l'andamento dell'idea di nemico propria di uno dei testimoni, in occasione delle diverse fasi di battaglia. (Si tratterebbe di un esperimento come un altro.) Con una costruzione riferita al susseguirsi dei valori del concetto di nemico, avremmo una rappresentazione non completa, ma semplificata al massimo, della successione degli avvenimenti e potremmo così immaginare, attraverso le variazioni in più o in meno di una quantità omogenea, lo svolgersi degli eventi nel loro insieme. Non dico che bisogna necessariamente ricorrere a questo procedimento, dico che potrebbe essere interessante considerarlo.
Da tutto ciò infatti risulta che la principale difficoltà nel preparare una guerra sta proprio nell'immaginarsi un Nemico sin dai tempi di pace. Occorre risalire continuamente a questa idea che determina e indirizza ogni azione militare e che malauguratamente tende ad affievolirsi nelle guarnigioni. Si tratta allora di giocare una partita senza avversario, il che è estremamente difficile; di cercarsi un errore che si è appena tentato di non commettere; di mettersi metodicamente al peggio. Occorre anche aver paura di non aver abbastanza paura e si crea così un atteggiamento di dubbio continuo che forza la mente umana a fare congetture, a darsi risposte e - ciò che è più arduo - a rovesciare bruscamente il senso di tutto il lavoro svolto sul principio del nemico, dato che ci si deve continuamente immedesimare nelle due parti contendenti, ogni volta con il massimo di applicazione.
Bisogna anche imparare a temere i colpi a salve e le cariche prima che vengano arrestate bruscamente nel corso delle esercitazioni.
Una simile necessità corrisponde alla fondamentale educazione della truppa. Quei "regolamenti" speciali, quei piccoli libri in dotazione ai soldati che si gettano appena usciti dalle caserme per cercare di dimenticare che si sono imparati a memoria, contengono più meccanica psicologica dei migliori romanzi. Infatti, i romanzi raccontano tutto e i libri cosiddetti teorici o si mantengono sul generico, o si occupano di casi eccezionali che, in definitiva, si riferiscono sempre ad aspetti generici. Vorrei invece citare, fra tutti i regolamenti militari, le sorprendenti "Istruzioni sul tiro" fatte per essere una guida per tutte le categorie di individui a quella disciplina particolare, cioè il tiro, che costituisce il vero obiettivo del regolamento. Certo, occorre leggere queste istruzioni ricostruendo tutto ciò che presuppongono, senza badare al rischio che possano annoiare una certa parte di giovani molto istruiti.
Voglio aggiungere, a questo proposito, che le difficoltà di conoscere e motivare il "soldato" sono state ingigantite a tal punto da rasentare il ridicolo. Non vi è nulla di più elementare, né di meglio conosciuto della psicologia pratica del soldato, chiunque egli sia. Non si ricorda una sola battaglia in cui il morale del soldato abbia potuto giocare - IN QUANTO ELEMENTO SCONOSCIUTO - un qualsiasi ruolo.
Qui comincia il libro di cui avrei dovuto parlare, ma quello che ho scritto finora potrà certamente far riflettere, oltre agli specialisti , anche coloro che non sono abituati ad approfondire i temi delle proprie riflessioni. Paul Valéry

(Enrico Baj, Patafisica. Bompiani, 1982)




mercoledì 28 agosto 2013

This Island Earth

Agli Avvertiti che nel 1990 ascoltarono Viva Los Angeles II non poté sfuggire il lungo brano che occupava una buona porzione dell'ultima facciata del doppio vinile. Sun and Shadows, questo il titolo, pur inquadrato nell'incredibile lavoro di sintesi operato dalla scena losangelina dell'epoca, spiccava per l'atmosfera serenamente evocativa e fuori del tempo. Semplice e stratificato, incantava e confondeva l'ascoltatore; allo svanire dell'ultima nota pareva di ridestarsi dal sogno di un giardino osservato attraverso una fitta cortina di pioggia. La mente del fanatico è portata per natura a cercare di ricondurre la novità a un mondo di suoni conosciuti, ma in tal caso l'impresa era quanto mai ardua. Al più salivano alla superficie bolle di un'atmosfera germanica Anni Settanta, forse gli Ash Ra Tempel di Starring Rosi o i Popol Vuh emersi dalla Notte dell'Anima. Autore del brano era Mark Nine, musicista tanto poliedrico quanto sfuggente: membro dei Reconstruction con il poeta Randall Kennedy, produttore, titolare dell'etichetta Underworld, conduttore radiofonico, maestro di basso e chitarra (le note del disco menzionano fra i suoi allievi Jacob Dylan e John Frusciante). All'uscita di Viva Los Angeles II, Mark Nine non aveva ancora pubblicato dischi a proprio nome e Sun and Shadows rappresentava il suo personale Eraserhead: se il primo lungometraggio di David Lynch aveva richiesto più di cinque anni di lavorazione, Sun and Shadows venne portato a termine nell'arco di oltre tre anni e divenne il brano portante dell'unico album di Mark Nine. Si dovette attendere il 1994 per avere tra le mani This Island Earth, disco permeato da una gradevole fragranza di retrofuturo fin dal titolo, ripreso dall'omonimo film di fantascienza del 1955, una pellicola leggermente anomala in un'epoca affollata di alieni maniacali e iperattivi, fermamente determinati a sottrarci la nostra piccola palla di sterco partendo dal continente nordamericano. Attorno a Sun and Shadows ruotano brani originali e cover che, curiosamente, non paiono cover. Come in un racconto steampunk si ha l'impressione di ascoltare i Moody Blues che incidono Tuesday Afternoon dopo un balzo temporale di un quarto di secolo, avvalendosi delle moderne opportunità tecnologiche pur conservando lo Spirito dei Sessanta. Ma nulla vieta di poter immaginare anche il contrario. Nella musica di Mark Nine passato e presente non si fondono e nemmeno si amalgamano: si fecondano nella libertà illogica dei sogni.

Credo che Sun and Shadows mi sia stato ispirato in parte da mio nonno Chilton Mac Elwain, che faceva il minatore nel West Virginia durante la Depressione del '30. Egli portò moglie e figli (compresa mia madre) a 3000 miglia ad ovest nel bel mezzo della Grande Migrazione. Si stabilirono in Oregon, per iniziare una nuova vita che prometteva cose considerevolmente migliori. Mio nonno costruì una casa e diventò operaio nell'industria del legno nella piccola città di Sweethome, dove rimase fino alla morte, nel 1985. Ho registrato una conversazione con lui poco prima che morisse, e in un punto lui mi parlava di un sogno, da cui si era svegliato ridendo. Più tardi, riascoltando il nastro, decisi di inserire nel testo "Proprio l'altro giorno ho fatto un bel sogno, mi sembrava di ridere".  (Mark Nine) 





1 - This Island Earth (Mark Nine)
2 - MK Ultra (Mark Nine)
3 - Sun and Shadows (Mark Nine)
4 - Tuesday Afternoon (Justin Hayward)
5 - Lifting the Clouds over Venus (Mark Nine)
6 - Western Heaven (Mark Nine)
7 - Tomorrow Never Knows (Lennon - McCartney)
8 - Upon my Return to Kansas (Mark Nine, Judy Troy)




La Buona Annata's History Channel: James Douglas Morrison

Nel boom generale di economia e demografia del 1943 James Douglas Morrison nacque americano l'8 dicembre non lontano da Cape Canaveral, figlio di un ufficiale di marina pilota su una portaerei. Fu nutrito a bibite zuccherate, vitamine, bistecche e cinema. E la madre convenne col marito che mai avrebbero alzato le mani sui loro figli. A cinque anni Jim in macchina coi suoi vide dei morti d'un incidente stradale; subito gli dissero che non era vero, sognava. Crebbe paffuto, mentre a scuola l'intelletto gli era forzato a crescere prima del dovuto, come richiedono il Secolo Americano e i suoi quozienti d'intelligenza. Steve Morrison divenne "esperto d'arma atomica" e fu pure in Corea, nel 1952 a pianificare bombardamenti. Intanto Jim spingeva sulla neve la slitta d'un suo fratello contro un pilastro: provava gran piacere al rischio suo o degli altri. A quattordici anni era un adolescente educato alle buone maniere, ma già cupo e snervato. Nella Baia di San Francisco, là dove è la più grande base aerea della Marina degli Stati Uniti, Jim Morrison lesse On the Road di Jack Kerouac, mentre i giornali inventavano il peggiorativo beatnik. A North Beach vide nella vetrina della libreria di Ferlinghetti il cartello "Libri proibiti": si votò a leggerli tutti. Il padre intanto, promosso, fu comandato al Pentagono. Jim, malgrado gli abusi etilici e di droghe, fu menzionato tra gli alunni meritevoli con quoziente intellettivo 149 e voti sopra la media nazionale. Disprezzava il rock, leggeva Nietzsche e Plutarco: appena seppe che anche Alessandro Magno lo faceva, prese il vizio di inclinare la testa verso la spalla sinistra. Prediligeva Balzac. Si compiacque che Rimbaud, Whitman e Ginsberg fossero omosessuali, e Dylan Thomas un etilista. Credette a Rimbaud quando scrive che "il poeta diviene un visionario attraverso un lungo, illimitato, sistematico sregolamento dei sensi". E prese a comporre notevoli poesie; anche sui cavalli precipitati in mare dai galeoni spagnoli durante le bonacce. Per quanto ottimo nuotatore Jim aveva paura dell'acqua. Discorritore inesausto, prese gusto a esasperare chiunque. All'Università della California contro il volere dei suoi studiò cinematografia e ammirò gli scritti teatrali di Artaud. Steve Morrison era divenuto intanto il comandante d'una delle più grandi portaerei del mondo. Tagliarono i capelli a Jim e lo portarono sul ponte a sparare ai bersagli. Alla UCLA proseguì ad abusare di droga e alcol e dei discorsi su Nietzsche, Blake e The Doors of Perception di Aldous Huxley. Dopo la partecipazione allo scontro del Golfo del Tonchino, al largo del Vietnam, nel 1964 il comandante Steve Morrison sfidò a una gara di flessioni i suoi ufficiali; vinse come sempre. Era già ammiraglio, quando incontrò il figlio per l'ultima volta. Jim fallì il film che presentò al saggio di fine corso: fu deriso. Scappò. Vide la realtà fuori quadro e sentì emanare suoni dai colori usando dosi elefantiache di LSD. Giudicò di doversi sbarazzare di se stesso per arrivare ai mondi più sottili che gli angeli di Blake e Huxley promettevano. Avversando il rock, coerente, creò il gruppo rock The Doors. Musicarono alcune sue poesie. Cantò: "uccidi tuo padre e fotti tua madre". L'uso di droghe e l'alcol l'avevano dimagrato: scoprirono un morbido cupo Dioniso con uno sguardo che tutti seduceva. Il suo primo LP tirò un milione di copie: il music business s'interessò alla band. Ma a fatica ormai si riusciva a frenarlo: oltraggioso e turbolento dichiarò l'America patria dell'ipocrisia e della violenza. Né stimava il gregge che plaudente nei concerti venerava le sue pause: prese a sputar loro addosso. Ingrassò. Disprezzava i santoni. Durò così tre anni, peggiorando sempre. A Miami nel 1969 vide una seduta del Living Theatre; il giorno seguente emulo e ubriaco si calò le braghe di pelle durante un concerto. Fu denunciato. Per paradosso Morrison era rispettoso delle leggi, così come non poteva sopportare di bucarsi con un ago ipodermico. Venne assolto; depresso, nauseato dal gregge adolescente che l'applaudiva e dal music business, si dedicò a scrivere ancora poesie. Ma fu pure accusato di molestie su un aereo di linea, mentre era ubriaco. Infine, il 12 dicembre 1970, crollò nel mezzo d'un concerto. Fuggì colla sua allucinata moglie eroinomane in Europa, a Parigi, dove conobbe la prematura fine del suo sé mal cresciuto. La sera del 3 luglio 1971 nella vasca da bagno gli scoppiò il cuore. Come aveva scritto nel suo migliore verso: "Tutti i bambini sono impazziti, aspettando le piogge estive".

(Geminello Alvi. Uomini del Novecento. Adelphi, 1995)




lunedì 12 agosto 2013

Summer Means Fun!

La Buona Annata si concede un periodo di pausa e augura Buone Vacanze a chi va in montagna...




o al mare




(o sotto il mare)




o nello spazio 




e a chi resta in città!





domenica 11 agosto 2013

La Buona Annata's History Channel: Sorcerer

Le riprese del film [Sorcerer di William Friedkin] ebbero inizio a Parigi nell'aprile 1976. Per le location in America Latina Friedkin si diresse con Walon Green alla volta dell'Ecuador, dove trovò l'ambientazione ideale per la storia. Sulle Ande scoprì il posto dove costruire il pozzo petrolifero di Poza Rica, e nella cittadina di Puerto Bolivar, di proprietà della Texaco, quella che senza ulteriori modifiche avrebbe potuto essere la Porvenir del film. Purtroppo, il paese si trovava in uno dei suoi tanti periodi d'instabilità politica, il rischio di attentati terroristici era alto e la Universal si rifiutò di finanziare la pellicola a queste condizioni. Con l'intervento di Bludhorn, proprietario di piantagioni nella Repubblica Dominicana, divenne gioco forza spostarsi nella zona. Gli interessi della Gulf & Western sul posto erano tali che, sostiene Friedkin, "il Presidente della Repubblica stava sul loro libro paga", e la produzione avrebbe potuto contare su tutto l'aiuto di cui avesse avuto bisogno. I problemi, per il regista, anche produttore del film, iniziarono quando bisognò trovare il fiume adatto per la scena in cui Lazaro e Sorcerer, i due camion col carico di nitroglicerina, attraversano un ponte di legno nel bel mezzo di una tempesta. Si fecero ricerche per trovare un fiume impetuoso, di grande portata, su cui costruire la complessa armatura del ponte sostenuto e "mosso" da congegni idraulici: La scelta cadde su un corso d'acqua che in centocinquant'anni non era mai sceso al di sotto dei tre metri di profondità. Il ponte venne costruito, e un'improvvisa, anomala siccità investì il paese riducendo il fiume ad un rigagnolo. La stessa cosa avvenne con la seconda scelta, un luogo nella foresta pluviale del Messico del Sud, il budget crebbe spaventosamente (la costruzione del ponte costò un milione di dollari) e il risultato finale, per quanto straordinario, dovette essere ottenuto con l'aiuto di pompe, elicotteri, indios che buttavano detriti nel corso d'acqua per simulare la tempesta: il perfezionista Friedkin non ne rimase soddisfatto. Metà della troupe si ammalò di malaria (una sorte che toccò allo stesso regista), molti abbandonarono un set in cui l'atmosfera era tesa e, a metà lavorazione, il direttore della fotografia John M. Stephens venne sostituito da Dick Bush. Lo stesso Friedkin ammette di essere stato, all'epoca, viziato dal successo e "molto arrogante". Certo è che Il salario della paura rafforzò ulteriormente la sua reputazione di regista difficile. Dove la fortuna e il suo proverbiale fiuto per la musica invece lo assistettero, è nella scelta dei musicisti a cui affidare la colonna sonora. Durante il tour promozionale de L'esorcista in Germania, William Friedkin era venuto a sapere di un concerto tenuto in una chiesa sconsacrata nella Foresta Nera, a mezzanotte, da tre giovani musicisti. Rimasto grandemente impressionato dalla qualità delle improvvisazioni dei Tangerine Dream (questo il nome del gruppo), che si esibivano al buio in una chiesa totalmente immersa nell'oscurità, inviò loro il copione, con delle note sulla storia e sulle atmosfere del film, commissionandogli la prima colonna sonora della loro carriera. Il risultato fu l'invio di una serie di nastri che raggiunsero Friedkin sul set, dove, nonostante le difficoltà logistiche, riuscì ad ascoltarli. Con un lavoro di riadattamento durato alcuni mesi, ne trasse una delle colonne sonore più suggestive, sperimentali e inquietanti che si siano sentite in un film almeno dichiaratamente mainstream

(Daniela Catelli. Friedkin. Il brivido dell'ambiguità. Transeuropa, 1997)






venerdì 9 agosto 2013

La Buona Annata's Literary Supplement: Tingeltangel

L'acquario. Dato che stiamo parlando di un acquario, io prima, vero - non in primavera - prima abitavo nella Sendlinger Strasse, cioè non 'nella' Sendlinger Strasse, il che sarebbe ridicolo, 'nella' Sendlinger Strasse non ci si può mica abitare perché ci passa sempre il tram, no, io abitavo nelle case della Sendlinger Strasse. Non in tutte le case, in una, in quella che sta proprio in mezzo alle altre, non so se avete presente quella casa. Ecco, io abitavo lì, ma non in tutta la casa, solo al primo piano, che è sotto il secondo piano e sopra il pianterreno, esattamente nel mezzo, e c'è una scala che sale al secondo piano e che poi ridiscende anche giù, cioè, non è che la scala salga, siamo noi che saliamo la scala, ma insomma si dice così.
E allora lì nel soggiorno dove dormo - perché ho un soggiorno dove dormo, nella camera da letto invece ci soggiorno - nel soggiorno per mio passatempo personale ci tengo un acquario che è sistemato proprio nell'angolo, e ci sta magnificamente bene in quell'angolo.
Se avessi voluto avrei potuto avere anche un acquario rotondo, però in quel caso l'angolo non sarebbe stato ben riempito. Tutto l'acquario non è più grande di così (fa segno con le mani), diciamo. Queste sono le due pareti di vetro - cioè, queste sono le mie mani, dico così solo perché possiate capire meglio - e anche qui ci sono due pareti e sotto c'è il fondo che tiene l'acqua in modo che non possa uscire in basso quando se ne aggiunge in alto. Se non ci fosse il fondo si potrebbero versare in alto anche venti o trenta litri d'acqua, ma se ne andrebbe tutta via in basso. In una gabbia per gli uccelli invece è tutto diverso.
Anche in una gabbia per gli uccelli le pareti sono pressapoco come quelle di un acquario, solo che quelle della gabbia non sono di vetro ma di fil di ferro. Sarebbe davvero senza senso che fossero di fil di ferro anche in un acquario, perché allora l'acquario non ce la farebbe a tenere l'acqua che uscirebbe sempre attraverso il fil di ferro. Già, perché la natura provvede sempre bene a ogni cosa. E così nell'acquario io tengo dei pesci rossi e nella gabbia un uccello; solo che qualche giorno fa mi è saltata in testa la stupida idea di mettere i pesci rossi in gabbia e il canarino nell'acquario.
Naturalmente i pesci rossi nella gabbia scivolavano sempre giù dalla stanghetta e il canarino nell'acquario stava quasi per affogarmi, per cui ho rimesso tutto come era prima, ho sistemato di nuovo l'uccello in gabbia e i pesci rossi al loro posto nell'acquario.
E così i pesci si son messi un'altra volta a nuotare allegramente su e giù nell'acquario. Prima di qua e poi di là, nuotano quasi tutti i giorni in un modo diverso. L'altro ieri mi è successo un guaio, ho visto che i pesci avevano bisogno di altra acqua e ne ho versato un secchio intero, però l'acqua era troppa e adesso è tanta così (fa cenno con le mani) più alta dell'acquario, di questo però me ne sono accorto solo il giorno dopo, sicché un pesce rosso nuotando è andato a finire oltre il bordo ed è caduto sul pavimento, perché nella stanza dove c'è l'acquario per terra c'è anche un pavimento e lui era proprio lì giù, ma solo dopo aver smesso di cadere.
Il fatto è che sul pavimento il pesce era senz'acqua, perché noi a parte l'acquario non abbiamo altra acqua nella stanza.
Allora la mia padrona di casa ha detto: "Vedrà che lì sul pavimento il pesce va a finir male. La miglior cosa è che lo faccia morire". E se per non farlo soffrire troppo - ho pensato io - gli dessi una martellata? Toh, così poi ti pesti il dito. Piuttosto gli sparo. Ma poi ho anche pensato: magari non prendo bene la mira e lui soffre ancora di più, la miglior soluzione, mi son detto, è che prenda il pesce, lo porti nell'Isar e lo faccia affogare.

(Karl Valentin, Tingeltangel. Adelphi, 1980)



giovedì 8 agosto 2013

La Buona Annata's History Channel: Faculty X

Chesterton dice: "Noi diciamo grazie quando qualcuno ci porge il sale, ma non intendiamo veramente ringraziare. Diciamo che la terra è rotonda, ma non vogliamo veramente dirlo, anche se ciò è vero". Noi diciamo qualcosa e intendiamo dirla soltanto quando la Facoltà X è sveglia, soltanto quando possiamo arrivare-oltre-i-sensi. La Facoltà X è la chiave di ogni esperienza poetica e mistica; allorché si desta, la vita acquista immediatamente una qualità nuova, intensa. Faust sta per suicidarsi, sopraffatto dal tedio e dalla disperazione, allorché ode le Campane di Pasqua; esse gli riportano la sua infanzia e la Facoltà X all'improvviso è desta; egli sa che il suicidio è l'estrema ridicola assurdità.
La Facoltà X è semplicemente quel potere latente che gli esseri umani posseggono per arrivare oltre il presente. In fin dei conti, sappiamo perfettamente bene che il passato è altrettanto reale del presente, e che New York, Singapore, Lhasa e Stepney Green sono altrettanto reali di questo luogo in cui mi trovo in questo momento. Tuttavia i miei sensi non sono d'accordo. Essi mi assicurano che questo luogo, qui e ora, è molto più reale di qualsiasi altro posto e di qualsiasi altro tempo. Soltanto in certi momenti di grande intensità interiore so che questa è una bugia. La Facoltà X è un senso di realtà, di realtà di altri posti e di altri tempi, e è il suo possesso - per quanto frammentario e incerto - che distingue l'uomo da tutti gli altri animali.
ma se l'opprimente realtà di questo luogo e tempo è un'illusione. altrettanto lo è il mio senso di essere unicamente qui, ora. "Io no sto qui; né sto altrove", dice Krishna nel Bhagavad Gita. Quindi, se la Facoltà X può rendere Strindberg chiaramente conscio della realtà di un luogo distante parecchie centinaia di miglia, non è in tal caso concepibile che ve lo possa 'trasportare' in un altro senso?
Sarebbe un errore pensare la Facoltà X come una facoltà 'occulta'. Non lo è; essa è il potere di afferrare la realtà e essa unisce le due metà della mente dell'uomo, la conscia e la subconscia.
Riflettete: che accade se un brano musicale, o l'odore di legna che arde, all'improvviso mi fanno ricordare ciò che è successo dieci anni fa? E' come toccare la zampetta di una rana morta con un cavo elettrico. La mia mente si agita e si contrae afferrando all'improvviso la realtà del tempo passato come se fosse il presente. Lo stesso accade a Marcel nel romanzo Du coté de chez Swann, allorché assapora una 'madeleine' inzuppata nel tè - il suo passato fluisce all'indietro come una realtà. Ciò che accade è che la nostra consapevolezza normalmente pigra e diffusa si mette a fuoco, come io posso serrare il mio pugno. La melodia  o l'odore fornisce soltanto lo stimolo; la mia forza interiore fa il resto - una forza interiore di cui sono normalmente inconscio.
Alcuni anni fa, gli psicologi attuarono un classico esperimento con un gatto. Un filo elettrico venne connesso al nervo tra l'occhio del gatto e il suo cervello; l'altra estremità del filo fu collegata a un quadrante per la misurazione degli impulsi elettrici. Allorché un forte rumore veniva provocato vicino all'orecchio del gatto, l'ago del quadrante girava violentemente. Poi una gabbia di topi veniva posta di fronte al gatto. Questo si mise ad osservarla intensamente. Venne fatto risuonare lo stesso rumore vicino al suo orecchio. Questa volta l'ago non si spostò. Il gatto era così intento ai topi da ignorare i rumori e, in qualche maniera, esso 'spense' l'impulso fisico tra l'orecchio e il cervello. Scelse di mettersi a fuoco su qualcos'altro.
Tutte le creature viventi hanno questo potere di 'mettersi a fuoco' su qualcosa che le interessa, e di 'spegnere' tutto il resto. Un individuo abituato a una città moderna probabilmente si sottrae al 99 per cento degli stimoli che cadono sui suoi sensi. Lo sappiamo tutti. Ma ciò che non abbiamo afferrato è lo straordinario potere che possediamo di essere capaci di metterci a fuoco su aspetti particolari della realtà. Questo potere è la Facoltà X; ma presentemente, difficilmente ce ne serviamo, essendo inconsapevoli delle sue potenzialità.
Vale la pena di chiedersi: a che serve la consapevolezza? Allorché siete profondamente addormentati, non avete consapevolezza. Quando siete molto stanchi, la vostra coscienza è come una luce fioca che non illumina quasi nulla. Allorché siete completamente svegli e eccitati, la consapevolezza sembra aumentare in numero di candele. Il suo scopo è di illuminare la realtà, di arrivare sino ai suoi recessi, e in tal modo di renderci capaci di agire su di essa e trasformarla. E' ovvio che il nostro scopo fondamentale dovrebbe essere di accrescere il numero delle candele. Allorché questo è basso, la realtà diviene 'irreale'; se aumenta, la realtà si fa 'più reale'; diviene la Facoltà X.

(Colin Wilson, L'occulto. Astrolabio, 1975)




Hope by and by, hope by and by
Motes in the eye, portcullis is shut,
A skull isn't much
Of a castle to live in
When the change is going to come,
The change has got to come,
Explosions in the brain attest to it
Evolution down the drain - let all the rest do it...
Oh yeah, the only result is cumulative drek
It won't be the drug
It won't be the sex
It's got to be the faculty X
Looking for a method, I play a straight bat,
Throw away the chances to slip.
Yeah, you talk about the average 
I don't care about that
And my words are only giving me lip
When I know that the change has got to come
Or what am I living for? Or why am I here?
I running, I give in more,
Far away from the near
Go meta-physical world, the sign that protects
It wasn't the last
It won't be the next
It's Faculty X
Reading seeks, sages, prophets and obscurantsit tracts,
Draining the elixir to the dregs...
Active yeast in the bottom is on the attack
And it leaves me without any legs to stand on
Still I hope that the change will come
Meanwhile I don't know
I think I'll have to go
Yeah, go for the governing body my consciouness elect
It won't be so clear, it won't be direct.
It's all that I fear, it's all I suspect
And I'll disappear in Faculty X
I pluck all these characters out of thin air,
I push them down into the lungs;
I infuse them with meaning as much as I dare.
Stretch out for the shoreline and wait
For the wave...






La Buona Annata's Literary Supplement: L'uomo spaventoso

Peccato. Sono passato davanti a lui facendo un lungo giro tortuoso, per non dargli la sensazione di un prepotente sopruso. Sono sicuro che non si è accorto di niente. Di certo neanche i tanti altri che ho superato prima di lui hanno capito la ragione delle mie delicate precauzioni. Quelli che verranno dopo nell'ordine, cercherò di portarli lontano col pensiero dalla mia prudente azione di superamento. Tutto questo costante impiego di energie volte all'unico definitivo risultato è sostenuto da una sottilissima concentrazione. Più il cerchio si allarga, meno si fa evidente agli altri il mio inarrestabile progredire. Quanti, come me, ho superati! Di loro ricordo la nuca fissata mentre avanzavo con implacabili giri. Quanti ancora ne dovrò sopravanzare, per sentirmi sicuro che non resterò dimenticato in coda? Peccato che un arresto involontario, ma prestabilito (ne sono certo, anche se ignoro da chi), stia rivelando davanti a me una nuca già vista. E la mia nuca davanti a una nuca già vista. Dietro, una nuca già vista davanti. Qualcuno ha fissato le distanze e rende assolutamente inutili le mie straordinarie attitudini.




La strada diritta. Le gambe non mi servono più. Anche le braccia, che dopo laboriosi tentativi ero riuscito ancora una volta a sollevare all'altezza delle spalle, ora mi ricadono inerti lungo i fianchi. Il peso del capo mi schiaccia il mento sul petto e i miei occhi socchiusi vedono soltanto la punta del naso. Proprio ora che dentro di me si è fatto strada un ordine preciso, maturato col tempo, arricchito per via da mille dubbi risolti o anche soltanto tenuti sospesi. Infatti, ora so che le braccia non possono mulinare, né le gambe, lanciate in un galoppo incosciente, tener dietro l'una all'altra, girando intorno intorno in cerchi l'uno all'altro uguali per trovare nel centro dei centri la fine. Eppure sarebbe bastato che qualcuno cui poter credere, ma non l'ho conosciuto, vedendomi passare di slancio dicesse: "Arrèstati. E' tempo perduto. La strada è diritta e l'inizio non vede la fine".




Se avessi saputo. Se avessi saputo, non avrei lasciato crescere la casa alta sul prato. Avrei fermato il tetto all'altezza del fungo porcino, sottoterra. Invece, avrei scavato la nicchia del fuoco e, scolpito il mio letto fra le radici della pianta più solida, avrei sistemato lì accanto la botte del vecchio vino. Avrei stretto le mani intorno, e avrei detto bene bene, perché no, perché no. Io non voglio decidere niente. Lasciatemi andare per la mia strada.

(Felice Andreasi. L'uomo spaventoso. Il Formichiere, 1974)


lunedì 5 agosto 2013

The Gathering

Raro esempio di trombonista al femminile, Annie Whitehead ha partecipato alla realizzazione di più di cinquanta album e collaborato con artisti provenienti dagli ambiti più disparati. Di formazione jazzistica ha suonato in questo ambito con Carla Bley, i National Health e i Brotherhood of Breath di Chris McGregor. Membro di Working Week e Zappatistas, non ha mancato di estendere il proprio apporto ad artisti come Elvis Costello, Jah Wobble, Joan Armatrading e Paul Weller, per giungere al più totale eclettismo della Penguin Cafe Orchestra. Notevole il suo contributo a due importanti lavori di Robert Wyatt come Cuckoooland (2003) e Comicopera (2007), che ha ricambiato il favore collaborando a The Gathering, a oggi ultimo dei  lavori solisti della Whitehead pubblicati tra il 1984 e il 2000.





Annie Whitehead, The Gathering (2000)
Produced by Ian Maidman

1 - Mist
2 - The Gathering
3 - Blue Note Bounce
4 - This Affect That
5 - The Lonely Hearts (Part 1)
6 - The Lonely Hearts (Part 2)
7 - Before We Knew
8 - Afro Blue
9 - Remembering

Annie Whitehead:  trombone
Ian Maidman:  guitar, ukelele, moog, percussion
Steve Lodder:  piano, prepared piano, keyboards
Steve Lamb:  bass
Liam Genockey:  drums, percussion
Robert Wyatt:  vocals, trumpet and additional drums & cymbals on Before We Knew





Oh, uomo



Alto sorvola ai secoli
di Patria il santo grido;
giunge da le Termopili,
sale dal latin lido;
desta nel cuor dei popoli
indomito valor.
Fugò dei Persi innumeri
l'orde con poche spade;
levò il terror d'Annibale
da le fiorenti strade;
or lancia a morte impavidi,
con puro e santo ardor,
quanti han nel cuore un palpito
di libertà e diritto;
quanti hanno culto ai martiri
d'ogni ideal conflitto;
quanti così se cadono
sanno che non si muor!
Santa è la lega vindice
che gli oppressor minaccia,
che la man porge ai deboli,
e sol le vie rintraccia
d'un avvenir benefico
di giusta pace e amor!

Viva, o guerrieri intrepidi,
stretti nel forte patto
contro la furia barbara
per il comun riscatto,
per preparare ai posteri
giustizia e libertà!
Voi non spaventa insolita
falce di Marte orrenda
che da virtù sataniche
pur nuove forme attenda
in terra, in mar, nell'etere,
sacri alla civiltà.
Viva, onorate ed inclite
donne, che in alma eguale
sfidaste a ciglio immobile
l'ansile del dì fatale,
e l'opra uniste fervida
al duolo e a la pietà!
Voi narrerete ai parvoli
le civiltà risorte,
estinti gli odi e i popoli
a vita e non a morte
chiamati e a le sant'opere
di Patria e Umanità.

Sia il nostro sangue fertile
d'immenso ben futuro;
sia la grand'ira il tramite
di pace al dì securo:
ha tal virtù fatidica
dei Forti lo sperar!
Così sovrasta all'orrida
forra de la montagna
lieta la cima e fulgida,
che il forte non guadagna
se non con l'ansie e i fremiti
che desta lo sfidar;
così, se mugghia in torbide
onde funeste il mare,
e in suo furor travolgere
quasi la terra appare,
presto vediam sorridere
tranquilli e terra e mar.
Ardor di pugna adunisi
e di vittoria speme:
securo è il vincer rapido,
quando si pugna insieme;
la santa lega è prossima
sui vinti a trionfar.

Italia, a le tue magiche
scene del mar, del monte,
del pian, che all'arte ispirano
calde le menti e pronte
e a te inconteso addussero
vanto d'eletto suol:
Italia, a le tue fertili
terre e ai bei campi arati,
ove a la bionda Cerere
poser la culla i vati,
e le città fiorirono
industri in lieto stuol;
pur nuovi lauri aggiungere
segna la tua Fortuna:
esser vantata ai posteri
più che mai genta alcuna;
spiegar solenne e rapido
de la Vittoria il vol!
Tal, di sua origin memore,
sorge la Figlia a prova,
e a la gran Madre il cantico
nell'opere rinnova;
sua storia eterna e illumina
fin che risplenda il sol!

(Giovanni Brocchetti, L'Italia in guerra. In: Pagine eroiche della grande epopea, 1915-1918. Antologia moderna ad uso delle scuole medie. A cura di Pietro Gorgolini. Botta, 1923)






sabato 3 agosto 2013

Prime Meridian

Ci si potrebbe chiedere se sono di più i dischi pubblicati da Frank Zappa o gli omaggi dedicati al Maestro. Come spesso accade la risposta è contenuta nella domanda. L'opera di Zappa si è conclusa, pubblicazioni postume a parte, con Yellow Shark mentre i tributi continueranno finché esisterà la Musica (altra tematica zappiana). Forte del proprio virtuosismo il Meridian Arts Ensemble non esita a misurarsi con classici come Oh No e Peaches en Regalia. Roba da far tremare i polsi. Ma in Prime Meridian non manca un corposo omaggio a Captain Beefheart e composizioni di altri autori tratti dallo sterminato repertorio di questo straordinario brass quintet: Kenny Wheeler, Herbie Hancock e altri, tra cui Jon Nelson, che del gruppo è membro. Una vera finezza, poi, affidare l'incipit a Stravinsky, che fu di Zappa una delle numerose influenze. Eat that question!





Igor Stravinky
1 - Fanfare for a New Theatre (1964)

Frank Zappa
2 - Peaches en Regalia
3 - Let's Make the Water Turn Black
4 - Oh No
5 - Igor's Boogie
6 - Eat that Question
7 - Echidna's Arf

Kenny Wheeler
8 - Song for Someone

Captain Beefheart
9 - Ice Rose
10 - A Carrot is as Close as a Rabbit Gets to a Diamond
11 - When I see Mommy, I Feel Like a Mummy
12 - Apes-Ma
13 - Dropout Boogie
14 - Suction Prints

Milton Babbitt
15 - Fanfare for All (1993)

Jon Nelson
16 - Sonf for a Dead King

Rich Shemaria
17 - Pandora's Magic Castle

Herbie Hancock
18 - Jessica

Frank London
Shvitz Suite
19 - Bucket Cue
20 - Freaky Guitar Freylekhs
21 - V'erastikh Li (Divine Betrothal)
22 - Full Moon, Ancient Waters
23 - Psycho-Klezmer

Jon Nelson
24 - Paterson

Meridian Arts Ensemble
Jon Nelson:  trumpets, vocals
Kevin Cobb:  trumpets, electric guitar, vocals
Daniel Grabois:  horn, alto saxophone, percussion, vocals
Benjamin Herrington:  trombone, vocals
Raymond Stewart:  tuba, vocals
John Ferrari:  drums, percussion, vocals



giovedì 1 agosto 2013

La Buona Annata's History Channel: Psi Power

Detta Anche "la donna che fa muovere piccole cose a distanza", [Nina Kulagina] è uno dei soggetti più corteggiati dalle autorità scientifiche e soprattutto, secondo Milan Ryzl, dalle autorità militari dell'URSS. Fu studiata intorno agli anni '50 dall'illustre ed ora scomparso prof. Leonid Leonidovich Vasiliev, in vista di possibilità, vincolate a fini segreti, che promettessero qualcosa di pratico in ordine alla scoperta di metodi di comunicazione mentale fra astronauti in orbita e persone a terra, durante i periodi di silenzio radio, oppure tra marinai imbarcati nei sommergibili in rotte polari e persone a terra, in condizioni nelle quali nessuna comunicazione era fisicamente possibile.
Oltre allo scopo di stabilire dei contatti fra esseri umani in condizioni che normalmente lo avrebbero impedito, gli studi quindi di Vasiliev e di altri nell'URSS si proponevano anche quello di mettere in atto possibili iniziative tendenti alla ricerca ed alla preparazione di un certo numero di "spie segrete" e per di più "perfette", che avessero la possibilità di carpire col mezzo mentale i gelosi segreti di altre nazioni politicamente e militarmente importanti. Pur non essendo accertato, dato il silenzio ufficiale degli ambienti scientifici e militari di quel paese, ciò è molto probabile, se le deduzioni degli scienziati e dei giornalisti specializzati europei sono esatte.
Milan Ryzl dichiara esplicitamente, e non si hanno in proposito motivi per dargli torto, che oggi "nell'URSS si è giunti ormai al boom delle ricerche parapsicologiche collegate con i problemi della sicurezza e della difesa.
Dal 1968 in poi l'interesse per le capacità della Kulagina è veramente esploso con fragore, nonostante le campagne denigratorie che contro di lei furono organizzate, utilizzando ogni motivo possibile (ivi compreso quello di certi suoi precedenti penali), per sminuirne la figura e le capacità. Stampa, radio, televisione e cinema si impadronirono del soggetto ed allora intervenne qualcosa che diede un colpo di spugna ad ogni contraria voce o parola scritta: venne unanimemente riconosciuto che nel caso in esame si era di fronte a capacità davvero eccezionali e quasi uniche al mondo e da allora Nina Kulagina fu fatta conoscere con ogni mezzo in tutti gli angoli del paese, né più né meno che come una gloria nazionale; su di lei venne realizzato anche un documentario intitolato Sette passi oltre l'orizzonte, premiato in Italia al "Festival del documentario" di Trieste.
Vari cortometraggi realizzati due anni dopo portarono alla ribalta, oltre alla Kulagina, altri soggetti tra i quali Alla Vinogradova, essa pure telecinetica, Drozhin, l'uomo che guida l'auto ad occhi chiusi ed il calcolatore prodigio Shelushov.
In Oltre le soglie dell'ignoto, uno di tali documentari, era possibile vedere Nina Kulagina che faceva muovere da lontano piccoli oggetti di diversa forma, tipo e consistenza, racchiusi in contenitori trasparenti. La cosa fece talmente sensazione che se ne sparse la notizia anche al di qua della "cortina di ferro", provocando reazioni di entusiastico interesse, ma anche di perplesso stupore, se non di misurato ma sensibile panico, sentimento quest'ultimo che in Inghilterra fece porre da qualcuno la seguente domanda ad un giornale: "E se Mrs. Kulagina fosse veramente in grado di far scattare la spoletta di una bomba atomica o di far chiudere un circuito elettrico di emergenza, cosa accadrebbe?". In breve la Kulagina divenne nota, anche attraverso le parole della scrittrice inglese Sybil Leek, socia di un circolo di maghi, come l'ultima arma della macchina militare sovietica.
(Masimo Inardi, Il romanzo della parapsicologia, SugarCo, 1976) 




When I was a kid in school
They showed me symbols on a card
Then they sent them from a locked and bolted room
I had to fake that it was hard
Circle, square, triangle, waves
I got them crystal clear by the hour
And all I said was "may I please take a rest?"
I didn't want them to know I was possessed
With Psi Power
Psi Power
Psi Power

I can read your mind like a magazine
I see where you're at I know what you mean
I get all the secrets that you'd rather keep

When I was a teenage kid
and I hung around the streets
I could see inside the mind
of any girl that I wanted to meet
Wave, triangle, circle, square
They opened to me like a flower
How would you like to have your mind caressed?
Can't you feel that I'm possessed
With Psi Power
Psi Pwer
Psi Power

I can read your mind like a magazine
I see where you're at I know what you mean
I get all the secrets that you'd rather keep

Psi Pwer
Psi Power
Psi Power
I can read your mind like a magazine
I see where you're at I know what you mean
I get all the secrets that you'd rather keep

It's like a radio you can't switch off
There's no way to get peace of mind
I'd like to live inside a lead-lined room
And leave all this Psi Power behind
Circle, square, triangle, waves
It's a gift that soon turns sour
Why don't they let me get some rest?
It's too muche to understand and to digest

Psi Pwer
Psi Power
Psi Power
I can read your mind like a magazine
I see where you're at I know what you mean
I get all the secrets that you'd rather keep