lunedì 26 ottobre 2020

Ricordando Radio Varese

 
































Questa era la sigla de La Buona Annata radiofonica





ma a volte questa era la sigla





Charlie 'n Charlie are the same...





mercoledì 18 marzo 2020

Vita cubista


E intanto [Apollinaire] continuava a insistere sul problema del cinema; era convinto che vi si trovavano segreti che, una volta svelati, potevano essere applicati a ogni arte e avrebbero forse fornito la chiave di questo elusivo spirito moderno. Per parecchi anni Apollinaire aveva fatto esperimenti di sceneggiature, brani d'opera, tutti ispirati alla tecnica del cinema, ma non aveva mai avuto il tempo di portarli a termine. Pierre Albert-Birot, quando era andato a trovarlo all'ospedale, aveva visto il primo atto, o almeno l'abbozzo di un primo atto, di un'opera buffa che aveva cominciato a scrivere poco prima dell'inizio della guerra. Ora che Picasso, Cocteau e Satie avevano rappresentato il loro balletto e che questo genere di spettacolo stava destando tanto interesse e discussioni a Parigi, Birot propose di rappresentare a sua volta una specie di opera, usando quel suo frammento come punto di partenza. Apollinaire fu contentissimo dell'idea; Serge Férat cominciò subito a disegnare i costumi e le scene, Germaine Albert-Birot a comporre la musica, Max Jacob a provare il coro. Dopo molte difficoltà tecniche Les Mamelles de Tirésias fu rappresentato il 21 giugno 1917 al Théatre Maubel.
La tela si levò sulla scena della piazza del mercato di Zanzibar. Sul fondo un attore rappresentava il popolo di Zanzibar, seduto su un trono tra molti e diversi strumenti musicali che dovevano punteggiare e accompagnare col loro ritmo i discorsi declamati dagli attori.
In primo piano Thérèsa si dava da fare con pentole, granate e altri simboli delle sue occupazioni domestiche, impegnata in una vivace discussione con il marito. Diceva di essere stanca della sua docile obbedienza, di avere figli, della noiosa vita di donna, e di sentire un forte desiderio di diventare soldato o membro del parlamento, o ministro, o di esercitare qualche funzione maschile.
A questo momento, con stupore del pubblico non ancora abituato a questi choc, sul mento di Thérèsa compariva una folta barba; ella apriva l'ampia blouse e mostrava, agitandoli con gioia davanti al pubblico, dei palloncini, mentre dichiarava che ora era un uomo e aveva cambiato il proprio nome in Tirésias. Per completare la trasformazione prendeva i vestiti del marito, costringendolo a cambiarli con i propri. Mentre la moglie gridava "Non più figli! Non più bambini!" egli le rispondeva con un discorso impetuoso sulla necessità di procreare e concludeva che, dal momento che la donna si rifiutava di farlo, l'uomo doveva prendere il suo posto.
A questo punto interveniva il coro, di cui facevano parte Max Jacob e Paul Morisse, spinti dal vivo incoraggiamento degli amici. Quando ebbero finito, gli attori erano pronti per il secondo atto, che mostrava il marito mentre accudiva ai bambini, nella medesima piazza del mercato. Spiegava che ne aveva avuti 40.049 in otto giorni e il paese era minacciato ora dalla fame. Arrivava poi un poliziotto malvagio e sterile, venuto per arrestarlo e porre fine a questa pericolosa situazione. Dopo una violenta disputa, nella quale il poliziotto si rifiutava di ascoltare le sue assicurazioni che il problema poteva essere facilmente risolto con un po' di ordine e di organizzazione, il discorso veniva interrotto da un indovino, la cui testa risplendente di luci illuminava tutto il teatro. Il nuovo venuto prorompeva in una lode della fecondità e si rivelava nel dibattito seguente come Thérèsa, tornata a casa pentita. Il poliziotto, immediatamente cambiato, prometteva ai due, felici, che avrebbe avuto a sua volta molti figli. Il sipario calò in mezzo a un gran tumulto di fischi e di applausi.
La commedia-opera-balletto (poiché è difficile definirla esattamente) fu accolta in modo discorde. Alcuni critici si erano divertiti, ma altri erano stati presi dalla stessa giusta rabbia che gli esperimenti di tutti i generi di quegli ultimi vent'anni spesso avevano suscitato in loro.

Erik Satie, il clown stonato – scrisse La Grimace – ha composto la sua musica su macchine da scrivere a sonagli... Il suo complice, quel fanfarone di Picasso, che specula sull'eterna stupidità del genere umano... Guillaume Apollinaire, poeta e ingenuo visionario, è capace di far assistere tutti i critici, tutti gli habitués delle prime parigine, la canaglia della Butte e gli ubriaconi di Montparnasse alla più stravagante e insensata delle elucubrazioni del cubismo...
Era proprio il genere di critiche che sconvolgevano Apollinaire, perché non poteva sopportare di essere considerato un farceur, o che si avessero dubbi sulla sua sincerità. La situazione, il giorno dopo, era ancora più oscura; un importante gruppo di pittori cubisti, molti dei quali dovevano a lui gran parte della loro fama e la loro prosperità, pubblicarono una dichiarazione resa alla stampa, in cui lo sconfessavano e lo accusavano di renderli ridicoli con le sue stravaganze. Forse furo queste critiche che lo spinsero a scrivere una prefazione piuttosto solenne quando Tiésias venne pubblicato, e a proclamare, per stupire o divertire gli amici:

La mia commedia surrealista è stata scritta soprattutto per i francesi, proprio come Aristofane scriveva per le sue per gli ateniesi. In essa addito loro il grave pericolo, universalmente riconosciuto, che corre una nazione, che desideri essere prosperosa e potente, quando permette che il numero delle nascite sia in diminuzione, e ho mostrato che il rimedio è semplice: procreare.

Si dava per scontato che Apollinaire stesse scherzando, in quel suo modo ironico, ma un amico fu stupito di ricevere una lettera in cui egli deplorava gli attacchi della stampa contro una commedia destinata "a cambiare lo spirito della nazione e a persuaderla ad elevare il numero delle nascite". Le discussioni sulla rappresentazione di quella epica e unica serata (ci fu infatti un solo spettacolo) vennero riprese, di tanto in tanto, per oltre quarant'anni, senza giungere a una conclusione. Les mamelles de Tirésias era, come afferma Jean Cocteau, la prima commedia anarchica, il primo atto di liberazione di un poeta che non poteva più sopportare l'aridità che esclude ogni sorpresa, o era propaganda politica rivolta ad una nazione più preoccupata delle gioie dell'amore che delle sue giuste conseguenze? Forse la verità è che quella commedia può esser interpretata nell'uno e nell'altro modo, e che Apollinaire – e non era la prima volta – stava facendo un doppio gioco. La parola "surrealista" unita a dichiarazioni di nobili intenzioni morali ci fa pensare che egli si riferisse contemporaneamente a due uditori diversi. Una commedia sociale con problemi di spopolamento, di pauperismo e di femminismo, poteva essere un passo verso l'Académie e il nastro della legion d'onore a cui aspirava. D'altra parte una commedia "surrealista", con una trama fantastica, scene e musica, avrebbe consolidato la sua posizione come capo di una nuova generazione alla ricerca di un nuovo genere di arte. Questo era il tipo di ambiguità che Apollinaire amava di più, e se egli, fino a un certo punto, era vittima di questa ambiguità da lui stesso creata, il fascino del procedimento poteva solo essere accresciuto.
Gli amici di Sic e di Nord-Sud, naturalmente, interpretavano Tirésias come un immenso atto di audacia e applaudivano senza riserve. Era un passo verso la distruzione dell'arte e della letteratura (con la lettera maiuscola) che avrebbe lasciato posto finalmente all'espressione del nuovo spirito, alla nuova verità. Cominciavano sempre più a diffidare di ogni forma di arte convenzionale, di tutto ciò che avevano ereditato dai più anziani. Perfino uomini come Max Jacob o Cendrars venivano considerati, con ul leggero sospetto, come "letterati". Apollinaire invece, che per la verità era uomo di lettere più di tutti, pare che fosse capace di disarmarli con il suo fascino straordinario e la sua capacità di persuasione. La sua presenza era uno stimolo così vitale che difficilmente aveva importanza che fossero d'accordo con lui o no.

(Cecily Mackworth, Vita cubista. Rizzoli, 1964)







Les mamelles de Tirésias