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venerdì 2 novembre 2018
mercoledì 6 luglio 2016
sabato 4 luglio 2015
The Dancing Sun
September castle
A cure for serpents
Birth and death of truth and beauty
For cold Heaven
Oriel
Sheath and knife (trad.)
Daughter of the wolf
Cold blows the wind (trad.)
Waiting for the moon (W.B. Yeats)
Turning of the page
Willow (trad.)
The dancing sun
The singing ringing tree
martedì 14 ottobre 2014
Il sole visto dal cielo & Algoritmo ballabile
Nel corso della sue breve esistenza l'etichetta milanese Desert Rain pubblicò una manciata di dischi di compositori che si muovevano felicemente tra musica colta, avanguardia e pop. Il sampler omonimo del 1994 presentava - accanto a brani di Roberto Laneri, Pierluigi Castellano e altri - le title tracks dei lavori di Tommaso Leddi e Maurizio Marsico, pubblicati nel medesimo anno.
Leddi è noto soprattutto per la lunga militanza negli Stormy Six ma la sua attività spazia dalle colonne sonore alle musiche per spettacoli teatrali, dalla collaborazione con Riccardo Sinigaglia nel gruppo Correnti Magnetiche a quella con il Laboratorio di informatica musicale di Milano. Proprio quest'ultima esperienza viene messa a frutto in Algoritmo ballabile, come spiega lo stesso autore nelle note di copertina.
Nell'87, quando per la prima volta mi sono trovato a possedere un sistema informatico musicale e incominciavo a destreggiarmi coi linguaggi di programmazione, pensavo di occuparmi finalmente di musica molto astratta. Improvvisamente un giorno ho deciso invece di provare a fare un programma che producesse musiche formalmente simili alla musica folcloristica e leggera. Questa similitudine doveva però limitarsi alla struttura generale musicale senza dare regole grammaticali legate a una cultura piuttosto che a un'altra. Tutte le musiche che qui presento sono state prodotte da un unico mio software chiamato MLM (Musica Leggera Marziana). Ci tengo a precisare che mi sono veramente dilettato con i miei amici-collaboratori a far girare il programma a briglia sciolta. La genesi di queste musiche è stata seguita prevalentemente da ascoltatore. Le citazioni di generi musicali esistenti sono apparse spesso improvvisamente senza premeditazione, anzi, spesso sono dovute unicamente alla nostra fantasia di ascoltatori, la stessa che riconosce figure o animali nelle forme delle nuvole. L'aspetto che mi ha più affascinato è stato sicuramente l'umorismo involontario, che sempre aleggia in questi piccoli brani e sembra prendere in giro la musica degli uomini.
Altrettanto eclettico, ironico e autoironico Maurizio Marsico, per quanto i margini della sua attività siano ancora più estesi. Noto come Monofonic Orchestra - grazie anche allo split EP del 1982 allegato a un numero di Frigidaire, condiviso con la Naif Orchestra - ci piace ricordare, tra le tante cose, le sue collaborazioni con Luca Majer e Al Aprile ('Lectric Art, Fontana) e Andrea Tich. Nome di tutto rispetto tra gli Avvertiti, quest'ultimo, grazie all'album Masturbati pubblicato nel 1978 dalla Cramps, e recentemente tornato sulle scene del musicale grazie alla benemerita Snowdonia.
Tanto Algoritmo ballabile è rigoroso e programmatico - al punto che i brani, non troppo distanti da una certa ironia residentiana, sono privi di titolo e contraddistinti dalla loro sequenza numerica - quanto variegato è lo spettro sonoro ed emotivo de Il Sole visto dal Cielo, coerentemente con lo spunto tematico esplicitato nel sottotitolo: Musica per il solstizio d'estate immaginato nel Planetario Ulrico Hoepli di Milano.
Il cielo è stato visto a lungo come un meccanismo, una specie di perfetto orologio in moto perenne, perfettamente prevedibile, almeno in linea teorica. Ma nel cielo alcuni oggetti celesti mostrano sorprendenti moti caotici, assolutamente imprevedibili, con brusche variazioni osservate o ipotizzate. Le galassie e gli ammassi di galassie riempiono l'universo con delicate strutture simili a una spugna, distribuite forse in una gigantesca struttura frattale; e, molto probabilmente, quasi il 90 % della materia dell'universo sfugge all'osservazione e crea la forma in cui si adagia la materia luminosa e rilevabile, una specie di spuma su onde profonde: il modello del "meccanismo" non è forse il più adatto, ora, a rappresentare il cielo, e lo stupore e la meraviglia possono riprendere ad accompagnare a tutti i livelli l'osservazione e lo studio. (Enrico Miotto)
Altrettanto eclettico, ironico e autoironico Maurizio Marsico, per quanto i margini della sua attività siano ancora più estesi. Noto come Monofonic Orchestra - grazie anche allo split EP del 1982 allegato a un numero di Frigidaire, condiviso con la Naif Orchestra - ci piace ricordare, tra le tante cose, le sue collaborazioni con Luca Majer e Al Aprile ('Lectric Art, Fontana) e Andrea Tich. Nome di tutto rispetto tra gli Avvertiti, quest'ultimo, grazie all'album Masturbati pubblicato nel 1978 dalla Cramps, e recentemente tornato sulle scene del musicale grazie alla benemerita Snowdonia.
Tanto Algoritmo ballabile è rigoroso e programmatico - al punto che i brani, non troppo distanti da una certa ironia residentiana, sono privi di titolo e contraddistinti dalla loro sequenza numerica - quanto variegato è lo spettro sonoro ed emotivo de Il Sole visto dal Cielo, coerentemente con lo spunto tematico esplicitato nel sottotitolo: Musica per il solstizio d'estate immaginato nel Planetario Ulrico Hoepli di Milano.
Il cielo è stato visto a lungo come un meccanismo, una specie di perfetto orologio in moto perenne, perfettamente prevedibile, almeno in linea teorica. Ma nel cielo alcuni oggetti celesti mostrano sorprendenti moti caotici, assolutamente imprevedibili, con brusche variazioni osservate o ipotizzate. Le galassie e gli ammassi di galassie riempiono l'universo con delicate strutture simili a una spugna, distribuite forse in una gigantesca struttura frattale; e, molto probabilmente, quasi il 90 % della materia dell'universo sfugge all'osservazione e crea la forma in cui si adagia la materia luminosa e rilevabile, una specie di spuma su onde profonde: il modello del "meccanismo" non è forse il più adatto, ora, a rappresentare il cielo, e lo stupore e la meraviglia possono riprendere ad accompagnare a tutti i livelli l'osservazione e lo studio. (Enrico Miotto)
L'alba del giorno nuovo
La comparsa delle stelle
Nebulose e ammassi stellari
Cielo placenta
Il sole visto dal cielo
Come finisce la notte
Tema dei moti apparenti
Tema della notte
venerdì 14 febbraio 2014
Stock Footage. Music from the films of Roger Corman
Alla fine del 1988 avevo passato tanti anni dietro la scrivania quanti ne avevo passati dietro la macchina da presa prima di abbandonarla. Avevo un'offerta sempre valida da parte della Universal per dirigere un progetto intitolato Il Frankenstein di Roger Corman. Mi offrirono la cifra più alta che avessi mai guadagnato in una sola volta, più una percentuale sui profitti. Ci volle molto tempo per mettere insieme la sceneggiatura giusta, dopo numerose stesure preliminari. Ma alla metà del 1989 sembrò finalmente che fosse arrivato il momento del via per Frankenstein oltre le frontiere del tempo, prodotto da Thom Mount insieme a me. La Twentieth Century Fox lo avrebbe distribuito negli Stati Uniti e la Warner oltreoceano. Il budget fu stimato intorno ai nove milioni di dollari per due mesi di riprese nei dintorni di Milano. Sarebbe stato di gran lunga la produzione più grande di tutta la mia carriera.
Il soggetto e il tema furono trasformati in una versione gotica ad alta tecnologia di Frankenstein, ambientata nel XX secolo e riportata poi indietro nel tempo.
Di certo Frankenstein era ben lontano dall'essere il primo mostro che portavo sullo schermo. Fino a che punto ho rappresentato me stesso sullo schermo attraverso i miei personaggi? Un regista produttore è un vero autore? Io credo di sì, se è uno che si appassiona a una storia tanto da riuscire a portarla sullo schermo. I suoi film sono proiezioni della sua personalità, delle sue paure, dei suoi sogni, delle sue ossessioni? Io tendo a credere di sì, perché lavoriamo a entrambe i livelli, quello della coscienza e quello dell'inconscio. La stessa scelta dei temi e delle storie è un avvertimento in un certo senso; ci sono parti di me in tutti i miei film. Quali parti?
C'è la tetra pazzia di Roderick Usher; il tormentato Dottor X., che si acceca con le sue mani ma prima vede attraverso le cose fino al centro dell'universo in L'uomo dagli occhi a raggi X; c'è il contorto "ragazzino" di A Bucket of Blood che desidera ardentemente di essere conosciuto e accettato e poi diventa un celebre scultore ricoprendo di argilla le vittime dei suoi omicidi. C'è Seymour Krelboin, il "ragazzino" che lavora dal fiorista, incrocia due piante e inavvertitamente diventa una celebrità perché ha creato un mostro divoratore di uomini. C'è Paul Groves, il personaggio interpretato da Peter Fonda in Il serpente di fuoco che prende l'acido e abbandona la sua vita di regista. E ci sono i selvaggi Angels, motociclisti fuori legge che calpestano le convenzioni imposte dall'establishment e vivono liberi al margine della società.
Penso che il barone von Richthofen, l'orgoglioso aristocratico senza paura che vive il mometo di passaggio della guerra, e Roy Brown, il nervoso operaio dai riflessi e dall'abilità eccezionali che lo abbatte nei cieli della Prima Guerra Mondiale riflettano i due aspetti conflittuali del mio carattere: l'artista elitario e il randagio vagabondo destinato a sconfiggerlo.
Quei due personaggi, in un certo qual modo, riassumono la mia visione di Hollywood e della cultura del cinema: è un'arte di compromesso, metà arte e metà commercio. Forse è per questo che gli americani sono così bravi. In un'epoca in cui l'industria americana resta indietro rispetto a quella di altri paesi, l'industria cinematografica statunitense è di gran lunga la prima al mondo. In questo siamo bravi, un compromesso di arte e commercio.
E' stato detto che Creature from the Haunted Sea sia il mio film più personale. Non è affatto un'idea sbagliata, considerato che ha il finale che preferisco a tutti gli altri, una scena conclusiva che ho inventato in un momento di estro e che ho letteralmente dettato al telefono a Chuck Griffith da Portorico. Il film era la storia di un gruppo di generali di Batista che scappano da Cuba con uno scrigno d'oro. L'uomo che assoldano per capitanare la nave è un malfattore, uccide i generali e per coprire i suoi crimini inventa la storia di un mostro marino che divora la gente. ma il mostro marino c'è veramente.
"Abbiamo sempre ammazzato i mostri dei nostri film, con il fuoco, la corrente, le inondazioni, sempre e comunque - dissi a Chuck. - Questa volta, invece, vincerà il mostro. Nell'ultima scena - insistetti, - si dovrà vedere il mostro seduto sopra lo scrigno dell'oro sul fondo dell'oceano: si stuzzicherà i denti tranquillo, mentre tutt'intorno ci saranno, sparsi, gli scheletri dei personaggi del film. Perché è proprio così: vince il mostro".
(Roger Corman. Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro. Lindau, 1998)
LMNPOP: Ush
(from inspiration derived by The House of Usher)
SPACE NEGROES: Booze Thang Meets the Wired Chain Gals
(based on Themes from The Wild Angel & Caged Heat)
MAN OR ASTRO-MAN?: Transmission from Venus
(inspired by the music of Ronald Stein featured in It conquered the world)
PLAN 9: Bucket of Blood
SUBSONICS: Candy Stripe Nurse
A BONES: All Night Long
(from the film Carnival Rock)
NON CREDO: Hacked
(based on themes from I Mobster & Premature Burial)
MOUSE: Creature from the Haunted Sea
(based on Betsy-Jones Moreland's classic rendition of the title song The Creature from the Haunted Sea)
JOHNNY LEGEND: Teenage Caveman
(original song by Zacherle)
MISS MURGATROID: X-Man with X-Ray Eyes
(original music by Fred Katz)
sabato 28 dicembre 2013
Anatomy of a Poet
Colin Wilson ci ha laciati il 5 dicembre. La Buona Annata gli rende omaggio con una collaborazione tra lo scrittore inglese e gli In the Nursery risalente a vent'anni or sono. Anatomy of a Poet non è tanto un concept in senso stretto quanto un album a tema che va a toccare uno dei temi principali dell'opera di Wilson. Ma lasciamo la parola agli stessi gemelli Humberstone:
The idea was to represent and musically convey the often self-destructive nature of creative artists. Why is that authors, artists, poets and musicians seem to create their best work out of depression? Colin Wilson, who had been in occasional correspondence with the band, was asked to recite some of this work along with a number of pre-prepared tracks. However, on arriving at Wilson's Cornwall retreat, the author thought it better to recite some of his favourite Romantic period poetry, wich he felt better suited the music.
Colin Wilson può a buon diritto essere considerato un precursore della cultura industriale nella sua riflessione su una mutazione antropologica studiata nei suoi aspetti più aberranti. Ma se l'interesse per assassini seriali e psicopatologia lo accomuna a Throbbing Gristle e ricercatori coevi, la sua esplorazione parte da più lontano: da quella sorta di peste psichica che sembra cogliere alcuni tra i più dotati e sensibili artisti del diciannovesimo secolo e che assume proporzioni di massa in quello appena trascorso. Ma Colin Wilson ha fatto anche di più: ciò che ha chiamato Facoltà X è un invito al superamento del nichilismo e del facile cinismo, a una riscoperta delle possibilità latenti e inespresse dell'essere umano.
Bombed
Anatomy of a Poet
In Perpetuum
Motive
Hallucinations? (Dream World Mix)
Blue Lovers
Paper Desert
Byzantium
The Seventh Seal
The Golden Journey
Touched with Fire
Ritengo che a fare di Lovecraft, nello stesso tempo, un buon autore e un autore mediocre, sia il fatto che egli era uno scrittore ossessionato. E per questa ragione sono così poche le opere nella tradizione di Lovecraft che hanno raggiunto lo stesso livello di potenza immaginativa. August Derleth e Robert Bloch sanno rendere in modo eccellente lo stile e l'atmosfera di Arkham, ma ciò non esprime il loro vero centro di gravità come scrittori. Bloch è veramente se stesso negli orrori fin troppo possibili di Psycho, con le sue stanze di motel e l'atmosfera di malvagità naturale, simile a quella che potete trovare nelle pagine di una rivista tipo True Detective. In quanto a Derleth, le sue cose migliori appartengono ad una sfera ben lontana dall'orrore e dalla fantasia: i libri sulla vita quotidiana di Sac Prairie, sul mutare delle stagioni, gli animali e gli uccelli. (La sua opera mi ricorda, sotto molti punti di vista, quella di un romanziere inglese troppo sottovalutato, Henry Williamson, autore di Tarka the Otter, e quella di uno strano mistico della natura, Richard Jeffries). Derleth appartiene alla grande tradizione americana di Thoreau e di Withman... e in una certa misura, anche a quella di Sinclair Lewis.
Questo spiega perché Lovecraft è rimasto unico, nonostante il gran numero di autori che si sono lasciati affascinare dal suo mondo mitico e dal suo stile. Egli creò i Miti di Cthulhu per una necessità interiore, come per necessità interiore Blake creò i suoi libri profetici.
Tutto ciò equivale ad ammettere che Lovecraft aveva del genio. Ed è questo, secondo me, che fa di lui un personaggio sostanzialmente tragico: inoltre, lo collega alla mia tesi dell' "Estraneo", ed a questo romanzo.
Il mio punto di partenza, in The Outsider, era che, intorno all'anno 1800, si era prodotto uno strano cambiamento nella razza umana... o almeno in una sua parte importante. Comparve allora all'improvviso un nuovo tipo d'uomo: il romantico. Ai tempi degli antichi greci, il romantico sarebbe stato considerato un individuo malvagio e pericoloso. Un istinto profondo, infatti, gli dice che l'uomo non è un semplice insetto, una "creatura", ma è, in un senso importante, un dio. I greci chiamavano hybris questo peccato, che veniva punito dalla divinità con la follia e la morte. Ecco perché la sorte di tanti romantici avrebbe rafforzato nei greci la convinzione che costoro erano malvagi e pericolosi. Se ci pensate bene, l'elenco degli uomini geniali morti pazzi, o in incidenti, o di tubercolosi, o suicidi, è impressionante e agghiacciante. Shelley, Keats, Poe, Beddoes, Holderlin, Hoffmann, Schiller, Kleist, Nietzsche, Van Gogh, Rimbaud, Verlaine, Lautréamont, Dowson, Johnson, Francis Thomson... l'elenco potrebbe continuare per pagine e pagine. E sarebbero soltanto i più famosi. E tutti gli aspiranti poeti ed artisti che non raggiunsero mai la notorietà e morirono in silenzio in qualche lurida stanza ammobiliata?
Ora, tutti questi romantici hanno una cosa in comune. Sono come i marinai greci che udivano il canto delle sirene, e preferivano gettarsi tra i flutti piuttosto che tornare al mondo scialbo dell'esistenza quotidiana. Oppure come il bimbo zoppo del Piffero magico, il quale racconta che, quando il Pifferaio suonava, sentiva parlare di "una terra felice", dove "tutto era strano e nuovo"; e adesso il bimbo zoppo trascorre il resto della sua esistenza piangendo quella visione perduta. Moltissimi sembrano accontentarsi di trascinare un'esistenza banale; i romantici avevano intravisto qualcosa al di là della banalità. Tutto il romanticismo si può riassumere nella grandiosa battuta di Axel (nel dramma di Villiers de l'Isle Adam): "In quanto al vivere, provvederanno per noi i nostri servitori".
C'è un grande romanzo dello scrittore inglese L.H. Myers (morto suicida negli Anni Quaranta), intitolato The Near and the Far. Il primo capitolo simboleggia in modo perfetto l'aspirazione romantica. E' ambientato nell'India del secolo XVI, e si apre presentando il giovane principe Jali il quale, dall'alto di un palazzo, contempla il deserto attraversato quel giorno. Egli guarda il magnifico tramonto e riflette che vi sono due deserti: il primo è uno splendore per l'occhio; l'altro un tormento per i piedi, quando lo si percorre. E i due deserti non si uniscono mai: se Jali esce dal palazzo per cercare il deserto tanto bello per l'occhio, troverà invece l'altro, quello che è uno strazio percorrere. Il vicino e il lontano... ecco il problema fondamentale dei romantici. Come disse Yeats:
E' una storia che continua a ripetersi. Conosco l'autore di uno dei più bei romanzi del sovrannaturale che siano mai stati scritti, E.H. Visiak... un vecchio ormai vicino alla novantina. Il suo Medusa è un romanzo dotato di tale suggestione che continua ad ossessionare la mente per anni ed anni, dopo che lo si è letto. Alcune settimane fa, Visiak mi mandò in lettura il manoscritto della sua autobiografia. Non ne avevo letto più di dieci pagine quando pensai: "Sì, è sempre la stessa cosa..." La strana maledizione del secolo XIX. Visiak era stato un bambino timido e tranquillo, figlio di genitori appartenenti al ceto medio, e il mondo della sua infanzia era stato un mondo incantato. Poi crebbe, dovette mettersi a lavorare per vivere, e "le imposte della prigione cominciarono a chiudersi". Visiak trascorse i successivi vent'anni della sua vita nell'ufficio telegrafico d'una agenzia d'informazioni, non molto felice, conducendo un'esistenza solitaria e libresca. Da bambino, aveva trascorso i momenti più felici in riva al mare. Perciò cominciò a scrivere poesie sui pirati e su isole sconosciute, e poi fu la volta del suo primo romanzo, The Haunted Island; quindi, dopo molti anni, del suo capolavoro, Medusa. Adesso, superati gli ottant'anni, è un vecchio la cui esistenza non è stata straordinariamente felice, sebbene abbia avuto qualche visione ed alcune esperienze eccezionali. E' un uomo stregato e ossessionato, una delle tante vittime del canto delle sirene.
Il miglior amico di Visiak era lo scrittore David Lindasy, il cui Voyage to Arcturus, secondo me, è il romanzo più grande del XX secolo. La storia di Lindsay era molto simile a quella di Visiak... una visione grandiosa, espressa in Voyage to Arcturus e The Haunted Woman. Ma i suoi contemporanei non erano pronti per la sua opera: ed egli visse nella miseria e nell'oblio in Cornovaglia, e morì prima di arrivare a cinquant'anni.
Lindasy possedeva un genio magniloquente; il genio di Visiak ha invece un carattere più dolce e romatico. Eppure, entrambi gli scrittori sono stati vittime di questa "tragedia dell'estraneo", tanto comune nel nostro tempo: uomini la cui visione li rende inadatti alla lotta quotidiana per l'esistenza, ma il cui genio non ha un carattere "commerciale".
Questi estranei vivono da eremiti nelle città moderne. Se sono fortunati - come Kierkegaard - hanno una rendita, e possono scrivere in pace i loro libri strani e contemplativi. Se non hanno questa fortuna - come Lovecraft - la loro sorte è la più dolorosa del mondo.
Nulla di ciò che troppo amiamo
è percettibile al tocco.
E' per questo che i romantici giudicano così squallido e sgradevole il mondo della realtà. Alcuni lo odiano al punto che la loro opera diviene un peana blasfemo, come quella di De Sade o di Lautréamont.E' una storia che continua a ripetersi. Conosco l'autore di uno dei più bei romanzi del sovrannaturale che siano mai stati scritti, E.H. Visiak... un vecchio ormai vicino alla novantina. Il suo Medusa è un romanzo dotato di tale suggestione che continua ad ossessionare la mente per anni ed anni, dopo che lo si è letto. Alcune settimane fa, Visiak mi mandò in lettura il manoscritto della sua autobiografia. Non ne avevo letto più di dieci pagine quando pensai: "Sì, è sempre la stessa cosa..." La strana maledizione del secolo XIX. Visiak era stato un bambino timido e tranquillo, figlio di genitori appartenenti al ceto medio, e il mondo della sua infanzia era stato un mondo incantato. Poi crebbe, dovette mettersi a lavorare per vivere, e "le imposte della prigione cominciarono a chiudersi". Visiak trascorse i successivi vent'anni della sua vita nell'ufficio telegrafico d'una agenzia d'informazioni, non molto felice, conducendo un'esistenza solitaria e libresca. Da bambino, aveva trascorso i momenti più felici in riva al mare. Perciò cominciò a scrivere poesie sui pirati e su isole sconosciute, e poi fu la volta del suo primo romanzo, The Haunted Island; quindi, dopo molti anni, del suo capolavoro, Medusa. Adesso, superati gli ottant'anni, è un vecchio la cui esistenza non è stata straordinariamente felice, sebbene abbia avuto qualche visione ed alcune esperienze eccezionali. E' un uomo stregato e ossessionato, una delle tante vittime del canto delle sirene.
Il miglior amico di Visiak era lo scrittore David Lindasy, il cui Voyage to Arcturus, secondo me, è il romanzo più grande del XX secolo. La storia di Lindsay era molto simile a quella di Visiak... una visione grandiosa, espressa in Voyage to Arcturus e The Haunted Woman. Ma i suoi contemporanei non erano pronti per la sua opera: ed egli visse nella miseria e nell'oblio in Cornovaglia, e morì prima di arrivare a cinquant'anni.
Lindasy possedeva un genio magniloquente; il genio di Visiak ha invece un carattere più dolce e romatico. Eppure, entrambi gli scrittori sono stati vittime di questa "tragedia dell'estraneo", tanto comune nel nostro tempo: uomini la cui visione li rende inadatti alla lotta quotidiana per l'esistenza, ma il cui genio non ha un carattere "commerciale".
Questi estranei vivono da eremiti nelle città moderne. Se sono fortunati - come Kierkegaard - hanno una rendita, e possono scrivere in pace i loro libri strani e contemplativi. Se non hanno questa fortuna - come Lovecraft - la loro sorte è la più dolorosa del mondo.
(Colin Wilson. I parassiti della mente. Fanucci, 1977)
lunedì 16 settembre 2013
The Iron Trees are in Full Bloom
I Somewhere in Europe erano un duo formato da Andrea James e David Tiffen, fiancheggiatori dei Death in June (collaborarono ad esempio al capolavoro Brown Book). Tra il 1986 e il 1996 pubblicarono quattro cassette e due cd per la propria etichetta These Silences, distribuita dalla World Serpent insieme a label più note come Durtro, NER, Tursa e United Dairies. Proprio come associati a questa importante e controversa casa di distribuzione pubblicarono un brano, Oblique Realities, nel sampler Terra Serpentes del 1996. Quattro anni prima Douglas Pearce aveva ricambiato il favore ai Somewhere in Europe facendo uscire per la sua NER l'antologia Gestures, contenente materiale registrato fra il 1983 e il 1991. Semplice ma fortemente evocativa la musica del duo si presta ad accompagnarci all'incombente autunno.
1 - Outgate to the Sea
2 - Betrayal
3 - Shadow and Flesh
4 - Isolated
5 - Gods of Strife
6 - Return to Zero
7 - Black Lodge (2)
8 - Festival of the Oppressed
9 - Beyond the Horizon
10 - Pursuit of the Elusive
11 - Sacred Song
12 - Tragedy of Existence
13 - Never Go Back (2)
14 - Slaughter
mercoledì 28 agosto 2013
This Island Earth
Agli Avvertiti che nel 1990 ascoltarono Viva Los Angeles II non poté sfuggire il lungo brano che occupava una buona porzione dell'ultima facciata del doppio vinile. Sun and Shadows, questo il titolo, pur inquadrato nell'incredibile lavoro di sintesi operato dalla scena losangelina dell'epoca, spiccava per l'atmosfera serenamente evocativa e fuori del tempo. Semplice e stratificato, incantava e confondeva l'ascoltatore; allo svanire dell'ultima nota pareva di ridestarsi dal sogno di un giardino osservato attraverso una fitta cortina di pioggia. La mente del fanatico è portata per natura a cercare di ricondurre la novità a un mondo di suoni conosciuti, ma in tal caso l'impresa era quanto mai ardua. Al più salivano alla superficie bolle di un'atmosfera germanica Anni Settanta, forse gli Ash Ra Tempel di Starring Rosi o i Popol Vuh emersi dalla Notte dell'Anima. Autore del brano era Mark Nine, musicista tanto poliedrico quanto sfuggente: membro dei Reconstruction con il poeta Randall Kennedy, produttore, titolare dell'etichetta Underworld, conduttore radiofonico, maestro di basso e chitarra (le note del disco menzionano fra i suoi allievi Jacob Dylan e John Frusciante). All'uscita di Viva Los Angeles II, Mark Nine non aveva ancora pubblicato dischi a proprio nome e Sun and Shadows rappresentava il suo personale Eraserhead: se il primo lungometraggio di David Lynch aveva richiesto più di cinque anni di lavorazione, Sun and Shadows venne portato a termine nell'arco di oltre tre anni e divenne il brano portante dell'unico album di Mark Nine. Si dovette attendere il 1994 per avere tra le mani This Island Earth, disco permeato da una gradevole fragranza di retrofuturo fin dal titolo, ripreso dall'omonimo film di fantascienza del 1955, una pellicola leggermente anomala in un'epoca affollata di alieni maniacali e iperattivi, fermamente determinati a sottrarci la nostra piccola palla di sterco partendo dal continente nordamericano. Attorno a Sun and Shadows ruotano brani originali e cover che, curiosamente, non paiono cover. Come in un racconto steampunk si ha l'impressione di ascoltare i Moody Blues che incidono Tuesday Afternoon dopo un balzo temporale di un quarto di secolo, avvalendosi delle moderne opportunità tecnologiche pur conservando lo Spirito dei Sessanta. Ma nulla vieta di poter immaginare anche il contrario. Nella musica di Mark Nine passato e presente non si fondono e nemmeno si amalgamano: si fecondano nella libertà illogica dei sogni.
Credo che Sun and Shadows mi sia stato ispirato in parte da mio nonno Chilton Mac Elwain, che faceva il minatore nel West Virginia durante la Depressione del '30. Egli portò moglie e figli (compresa mia madre) a 3000 miglia ad ovest nel bel mezzo della Grande Migrazione. Si stabilirono in Oregon, per iniziare una nuova vita che prometteva cose considerevolmente migliori. Mio nonno costruì una casa e diventò operaio nell'industria del legno nella piccola città di Sweethome, dove rimase fino alla morte, nel 1985. Ho registrato una conversazione con lui poco prima che morisse, e in un punto lui mi parlava di un sogno, da cui si era svegliato ridendo. Più tardi, riascoltando il nastro, decisi di inserire nel testo "Proprio l'altro giorno ho fatto un bel sogno, mi sembrava di ridere". (Mark Nine)
1 - This Island Earth (Mark Nine)
2 - MK Ultra (Mark Nine)
3 - Sun and Shadows (Mark Nine)
4 - Tuesday Afternoon (Justin Hayward)
5 - Lifting the Clouds over Venus (Mark Nine)
6 - Western Heaven (Mark Nine)
7 - Tomorrow Never Knows (Lennon - McCartney)
8 - Upon my Return to Kansas (Mark Nine, Judy Troy)
sabato 25 maggio 2013
Unsampled
I Family Fodder più che un gruppo stabile sono un eccentrico collettivo di musicisti nato a Londra intorno alla metà degli anni Settanta, dotato di uno spirito gioioso e irriverente che li distingueva da altre formazioni un po' tetragone con le quali pure condividevano esperienze e collaborazioni. Potremmo dire che i Fodder stavano ai Gong come i This Heat agli Henry Cow. Questo approccio giocoso si rivela anche nel frequente utilizzo di pseudonimi e alter ego con i quali pubblicarono album e singoli (Frank Sumatra and the Mob, The Lo Yo Yo...) rendendo difficile l'esistenza ai maniaci delle discografie. Con la sigla principale ebbero l'onore di figurare nella celebre NWW List e sono tuttora attivi avendo pubblicato nel 2010 l'album Classical Music e una serie di dischi di minor lunghezza intitolati appropriatamente Singularity.
Tra i fondatori del gruppo John Pearce si distingue per un abuso quasi patologico di pseudonimi: Alig è il più frequente, ma anche Johnny Human, Frank Sumatra, Johnny Kash, Alig Fodder, Dean Fodder e altri. Sigle sotto le quali ha realizzato un buon numero di uscite discografiche che vanno ad aggiungersi a quelle dei Fodder e alle non infrequenti apparizioni in album di artisti a noi cari: The World on my Plates di Hermine Demoriane, La Debutante di Sonoko e Les Tueurs de la Lune de Miel degli Honeymoon Killers, l'incarnazione new wave degli Aksak Maboul di Marc Hollander. Piccole gemme di metà Ottanta recentemente ristampate da Crammed e LTM.
In tema di giochi verbali Unsampled non è propriamente un sampler della Alligator Discs ma un'affascinante ricombinazione degli stessi musicisti che sotto fantasiosi nomi mescolano con disinvoltura le più disparate influenze musicali: si va dall'iniziale Black Light Black Noise un po' nello stile di Tracy Chapman a una versione a cappella di Sunny Afternoon dei Kinks, ethnologic forgeries e possible musics, chanson e cabaret, cover di Marc Hollander (Kopf Bis Fuss), di Serge Gainsbourg (Les P'tits Papiers) e del nostro Murolo (Maladia). Unsampled, inoltre, finisce per non essere un sampler perchè la Alligator, omonima della più celebre etichetta blues, sembra aver pubblicato solo altri due dischi: un singolo di Professor Zoom nel 1994 e Foreverandever di Alig nei panni di Johnny Human due anni dopo. Buon divertimento!
1 - Vox Humana: Black Light Black Noise
2 - Vox Humana: Wearing the Moon?
3 - Professor Zoom: Urban Menace
4 - Johnny Human & Peckham Rose: Waiting for my Man
5 - Vox Humana: Hey Nonny No!
6 - Vox Humana: Galapagos
7 - Fishermen's Friends: Sunny Afternoon
8 - Remy Laporte: Concience
9 - Vox Humana: Mating Call
10 - Professor Zoom: Get Yours
11 - Johnny Human: Kopf Bis Fuss
12 - Vox Humana: Heartbeats
13 - Johnny Human: Money Not Sexy?
14 - Johnny Human: Les P'tits Papiers
15 - Professor Zoom: 1965
16 - Vox Humana: Quango
17 - Vox Humana: Not Enough Indians
18 - Gail Tao: The Songlines
19 - Johnny Human: Maladia
Johnny Human: accordion, guitar, keyboards, vox
Gail Tao: vox, backing vox
Remy Laporte: vox, guitar, percussion
Professor Zoom: string bass, vox *
Mick Hobbs: bass
Liduina van der Sman: alto sax, vox *
Bill Wyler: vox, acoustic guitar
Steve Gibbs: violin, vox *
Louisa McCabe: vox *
Graham Painting: guitar, acoustic guitar, drums
Matthew Dixon: oboe
Rose Bernez: vox
Rick Wilson: drums, percussion
Dic Jude: drums
Bongo Massif: bongoes
Sam Alexander: percussion
Douglas Currie: tambourine
* The Fishermen's Friends
Etichette:
1994,
Folk,
Musicalità,
Vox Humana
giovedì 15 novembre 2012
Tony McPhee's Groundhogs - Gone with the Wind
Let me take you
On the sad-go-round
In the twilight zone
In the twilight zone
Hear the mournful sounds
Of the carousel
And the calliope
Where you lose your will
And abandon hope
Of the carousel
And the calliope
Where you lose your will
And abandon hope
Cosa spinse un limpido pomeriggio domenicale di giugno due appassionati di blues a recarsi a una delle prime fiere del disco nei pressi dell'aeroporto di Linate? Non tanto gli amati ma costosi vinili quanto il palco montato all'aperto su cui si sarebbe esibito Tony McPhee con i suoi Groundhogs. Un forte vento scompigliava i radi lunghi capelli di McPhee, da cui il simpatico titolo del disco che fu ricavato dal concerto. McPhee era una delle nostre leggende viventi e lo spettacolo fu all'altezza delle aspettative.
Con la Allman Brothers Band e Captain Beefheart, i Groundhogs sono tra i pochi che, partiti da una matrice blues, ne hanno saputo utilizzare il linguaggio per sviluppare un mondo di suoni assolutamente personale e originale. Partiti con un album abbastanza canonico come Scratching the Surface e collaborazioni con grandi bluesman americani quali Champion Jack Dupree e John Lee Hooker, lasciano rapidamente intuire le loro peculiarità. L'eclettismo di McPhee si manifesta ad esempio nelle registrazioni effettuate tra il 1965 e il 1966 dagli Herbal Mixture, un gruppo di breve durata messo in piedi durante un temporaneo scioglimento dei Groundhogs, in cui possiamo ascoltare i nostri impegnati a distillare gentili succhi psichedelici dalla fermentazione del beat. Con l'album Blues Obituary, pubblicato nel fatidico 1969, il suono si fa oscuro, impregnato di umori gotici tipicamente britannici. Degno di nota, in tal senso, l'apprezzamento espresso nei confronti del gruppo da David Tibet, che proprio nel 1994 incise una cover di Sad-Go-Round con la collaborazione di Bevis Frond. I primi anni Settanta rappresentano il periodo di maggior soddisfazione per i Groundhogs, sia in termini qualitativi sia di popolarità, grazie anche alle esibizioni come gruppo di apertura ai concerti dei Rolling Stones. Poi i tempi cambiano, McPhee abbandona l'attività musicale a tempo pieno ma continua a pubblicare una serie di godibilissimi dischi, per lo più dal vivo. I Groundhogs non si esibiscono più davanti a platee oceaniche ma in piccoli club, magari davanti a David Tibet, o in situazioni come quella documentata da Gone with the Wind.
Con la Allman Brothers Band e Captain Beefheart, i Groundhogs sono tra i pochi che, partiti da una matrice blues, ne hanno saputo utilizzare il linguaggio per sviluppare un mondo di suoni assolutamente personale e originale. Partiti con un album abbastanza canonico come Scratching the Surface e collaborazioni con grandi bluesman americani quali Champion Jack Dupree e John Lee Hooker, lasciano rapidamente intuire le loro peculiarità. L'eclettismo di McPhee si manifesta ad esempio nelle registrazioni effettuate tra il 1965 e il 1966 dagli Herbal Mixture, un gruppo di breve durata messo in piedi durante un temporaneo scioglimento dei Groundhogs, in cui possiamo ascoltare i nostri impegnati a distillare gentili succhi psichedelici dalla fermentazione del beat. Con l'album Blues Obituary, pubblicato nel fatidico 1969, il suono si fa oscuro, impregnato di umori gotici tipicamente britannici. Degno di nota, in tal senso, l'apprezzamento espresso nei confronti del gruppo da David Tibet, che proprio nel 1994 incise una cover di Sad-Go-Round con la collaborazione di Bevis Frond. I primi anni Settanta rappresentano il periodo di maggior soddisfazione per i Groundhogs, sia in termini qualitativi sia di popolarità, grazie anche alle esibizioni come gruppo di apertura ai concerti dei Rolling Stones. Poi i tempi cambiano, McPhee abbandona l'attività musicale a tempo pieno ma continua a pubblicare una serie di godibilissimi dischi, per lo più dal vivo. I Groundhogs non si esibiscono più davanti a platee oceaniche ma in piccoli club, magari davanti a David Tibet, o in situazioni come quella documentata da Gone with the Wind.
Dedichiamo questo post all'amico Sonny, presente quel giorno, autentico bluesman nell'animo e oggi attivo ambientalista. E, con infinita gratitudine, a Tony McPhee.
As you spinOn the sad-go-round
And the world is a blur
Of confusing sound
You forget your troubles
You forget your fun
Now you're just a word
Moving round the sun
Shake for me (Burnett) - 3'17"
Eccentric Man (McPhee) - 4'30"
Garden (McPhee) - 5'07"
3744 James Road (McPhee) - 7'07"
I want you to love me (Morganfield) - 5'02"
Split Part One & Part Two (McPhee) - 13'11"
Still a Fool (Morganfield) - 7'22"
Mistreated ( trad. arr. McPhee) - 6'28"
Groundhog Blues (trad. arr. McPhee) - 4'44"
Down in the Bottom (Burnett) - 4'00"
Tony McPhee's Groundhogs:
Tony (T.S.) McPhee - Guitar & Vocals
Eric Chipulina - Guitar
Alan Fish - Bass
Peter Correa - Drums
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Tony McPhee
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