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martedì 29 luglio 2014

Mastro Piccone

Dirò quello che penso; tanto è il parere di un incompetente. Sono nato a Milano in via del Fieno e venuto grande in via Olmetto e se stesse a me me ne andrei ormai definitivamente dalla mia città per non assistere allo scempio sistematico a cui la sottopongono le Competenze col C maiuscolo. 
Uno che se ne intende osservava su queste colonne che a Milano è sempre mancato un qualsiasi organico piano regolatore e che si è fatto tutto a pezzi e bocconi curandosi molto più di distruggere che di rifabbricare. 
S'è mai pensato, a mo' di esempio, che ogni città vive nell'atmosfera dei luoghi ove è nata e siede?
Al povero Cesarino - il commesso del notaio Bertoglio (quello vecchio) - e batti e batti erano riusciti a far fare un viaggetto. E' andato a Venezia. Al suo ritorno dopo un paio di giorni d'assenza gli eran corsi incontro a chiedergli:
"E inscì? T'è piasuu? Coss t'ee vist?"
"Tutt navili!"
Questa è la definizione di Venezia del Cesarin Cappellett: una città dove non vi son che navigli.
La definì così precisando pure e involontariamente la caratteristica della sua amatissima Milano.
L'acqua! Sicuro; l'acqua! La regina delle risaie come la regina dell'Adriatico viveva di questo elemento. Aveva un Re con tutta la sua Corte e glie l'hanno tolto. Sapete chi era? il Re-de-Fossi! E le rogge, i canali, i navigli sono scomparsi col loro Monarca; tutto è sepolto.
Gli igienisti dicono che era una schifezza perché puzzavano. Ma non puzzano forse e terribilmente le acque morte di Venezia? Quello era il loro problema; far sì che rimanessero senza dar fastidio. Hanno invece tagliato la testa col male che c'era dentro. 
Per me - ve lo dico senz'altro - si è sbagliato tutto. Sbagliato dal giorno che han buttato giù il Coperto de' Figini in Piazza del Duomo per sostituirlo colla Galleria, che mi rincresce di non poter ammirare.
La deprecata manìa del mastodontico - che non è da confondersi col monumentale - è cominciata di lì. Il nucleo della città vecchia, chiuso nell'anello dei navigli, l'avrei lasciato tale e quale pensando che a lungo andare anche il vecchio diventa antico e finalmente venerabile. Fra i navigli e i bastioni e più oltre, approfittando dello spazio che la pianura offriva, avrei costruito la Città Nuova coi suoi uffici , colle sue banche, con tutto. In un gran centro abitato si trova sempre un gruppetto di originali che preferisce le viette ai larghi viali alberati; le donnette di chiesa avrebbero potuto vivere indisturbate nei loro abbaini all'ombra dei campanili. Insomma dentro la cerchia dei navigli avrei immaginato una specie di Ghetto dei vecchi milanesi. Gli "ariosi" avrebbero potuto trovar posto fin che volevano, ma fuori. Bene inteso nel sancta sanctorum nulla avrei mutato, men che meno poi i nomi delle vie. Tutti i santi del calendario al loro posto: san Giuseppe... san Vittore ai 40 Martiri... san Celso... Chi sono infine i Santi? Non son forse i testimoni, i confessori, gli eroi della Chiesa altrettanto degni di menzione quanto gli eroi di tutte le altre guerre? Perché dunque detronizzarli? Che cosa ci guadagna l'Italia se una città qualsiasi le dedica in omaggio uno dei suoi corsi? 
Ma fin qui il danno è poco; i guasti maggiori e irreparabili li fa il Piccone Risanatore al quale è riserbata la parte del boia mentre il Piano Regolatore è per così dire la sentenza di morte delle antiche mura.
Or non è molto Mastro Piccone demoliva la chiesetta di S. Giovanni Laterano ove Padre Gazzola fece il suo ultimo Quaresimale prima di ritirarsi a Livorno in penitenza e a morirvi. 
Non passo da Piazza del Duomo senza raccapriccio. Chi si sofferma sui gradini della Cattedrale e le volta le spalle vede a sinistra venir su la fredda mole dei casoni di piazza Diaz che fanno a pugni colle maniche del Palazzo Reale e a calci coi portici meridionali. Se poi fa quattro passi per il lungo di quel deserto di pietra che è il sagrato verso il monumento del gran Re in bagnarola e qui giunto si gira e guarda il Duomo, dovrebbe subito aver una sensazione spiacevole come se la settima meraviglia del mondo si fosse improvvisamente schiacciata giù, verso terra. Sarà certo uno scherzo della mia vista - ma mi sembra che la mole della Cattedrale, dall'attuazione del Sagrato in poi e per quei pochi centimetri di rialzo del piano stradale, abbia perso d'imponenza. Le è vento a mancare parte d'un gradino ed è come se a una gran dama abbiano tagliato i tacchi. Ma come - ci si chiede - non era più grande?
E il Duomo ancora si salva! Fortuna per lui che era già isolato fin da prima se no penserebbero d'isolarlo ora. Così hanno fatto con Sant'Ambrogio e così stanno facendo con San Lorenzo. Isolare le cattedrali! Che vuol dire ciò? Vuol dire togliere i pulcini alla chioccia. Buttar giù le vecchie e sbilenche casette che circondano le basiliche, che le si serran d'attorno con umiltà devota e che rendono col loro miserabil aspetto ancor più solenne ed augusta la maestà della chiesa mi sembra un ripudio, un odioso ripudio di quel piccolo gregge tanto amato da Gesù.
Abito dalle parti del Santuario di San Celso e tutte le volte che ci passo davanti mi rendo conto che per amore di varietà e per quel che lo riguarda in luogo d'isolarlo l'han chiuso dentro! In altri tempi la chiesa aveva a sfondo il cielo e il giardino del ricovero dei vecchi sacerdoti. Oggi i preti li hanno mandati a Monza e le piante - manco a dirlo - sono state abbattute. A lato della basilica e della storica chiesetta è venuto su il bellissimo paravento color paglierino di nuove case di affitto.
Il giardino del ricovero sacerdotale è andato a far compagnia a tant'altri e non parliamone più. Ma anche quei pochi alberi che sono ancora in piedi li pelano maledettamente. Una mala lingua mi ha detto che il Municipio fa legna per scaldare i ragazzi delle elementari. Certo il fine è lodevole e mi impedisce di protestare circa il mezzo. Non resta da parte mia e di chi la pensa come me che un senso di rammarico di natura estetico-sentimentale, da repudiarsi quindi. 
Senz'acque, senza piante, senza un piano apprezzabile che disciplini i nuovi tracciati e le nuove costruzioni, la cosiddetta metropoli lombarda da non bella che era si avvia a diventar veramente brutta.
C'è che crede ai rimedi, ma ne dubito. Ormai tutto è compromesso.
E allora? Come risolvere il groviglio di tanti problemi?
Ve lo dirò, ma in un orecchio:
Chiamare Barbarossa!

(Delio Tessa, Ore di città. A cura di Dante Isella. Einaudi, 1988)





giovedì 15 novembre 2012

Tony McPhee's Groundhogs - Gone with the Wind


Let me take you
On the sad-go-round
In the twilight zone
Hear the mournful sounds
Of the carousel
And the calliope
Where you lose your will
And abandon hope


Cosa spinse un limpido pomeriggio domenicale di giugno due appassionati di blues a recarsi a una delle prime fiere del disco nei pressi dell'aeroporto di Linate? Non tanto gli amati ma costosi vinili quanto il palco montato all'aperto su cui si sarebbe esibito Tony McPhee con i suoi Groundhogs. Un forte vento scompigliava i radi lunghi capelli di McPhee, da cui il simpatico titolo del disco che fu ricavato dal concerto. McPhee era una delle nostre leggende viventi e lo spettacolo fu all'altezza delle aspettative.
Con la Allman Brothers Band e Captain Beefheart, i Groundhogs sono tra i pochi che, partiti da una matrice blues, ne hanno saputo utilizzare il linguaggio per sviluppare un mondo di suoni assolutamente personale e originale. Partiti con un album abbastanza canonico come Scratching the Surface e collaborazioni con grandi bluesman americani quali Champion Jack Dupree e John Lee Hooker, lasciano rapidamente intuire le loro peculiarità. L'eclettismo di McPhee si manifesta ad esempio nelle registrazioni effettuate tra il 1965 e il 1966 dagli Herbal Mixture, un gruppo di breve durata messo in piedi durante un temporaneo scioglimento dei Groundhogs, in cui possiamo ascoltare i nostri impegnati a distillare gentili succhi psichedelici dalla fermentazione del beat. Con l'album Blues Obituary, pubblicato nel fatidico 1969, il suono si fa oscuro, impregnato di umori gotici tipicamente britannici. Degno di nota, in tal senso, l'apprezzamento espresso nei confronti del gruppo da David Tibet, che proprio nel 1994 incise una cover di Sad-Go-Round con la collaborazione di Bevis Frond. I primi anni Settanta rappresentano il periodo di maggior soddisfazione per i Groundhogs, sia in termini qualitativi sia di popolarità, grazie anche alle esibizioni come gruppo di apertura ai concerti dei Rolling Stones. Poi i tempi cambiano, McPhee abbandona l'attività musicale a tempo pieno ma continua a pubblicare una serie di godibilissimi dischi, per lo più dal vivo. I Groundhogs non si esibiscono più davanti a platee oceaniche ma in piccoli club, magari davanti a David Tibet, o in situazioni come quella documentata da Gone with the Wind
Dedichiamo questo post all'amico Sonny, presente quel giorno, autentico bluesman nell'animo e oggi attivo ambientalista. E, con infinita gratitudine, a Tony McPhee.

As you spin
On the sad-go-round
And the world is a blur
Of confusing sound
You forget your troubles
You forget your fun
Now you're just a word
Moving round the sun







Shake for me (Burnett) - 3'17"
Eccentric Man (McPhee) - 4'30"
Garden (McPhee) - 5'07"
3744 James Road (McPhee) - 7'07"
I want you to love me (Morganfield) - 5'02"
Split Part One & Part Two (McPhee) - 13'11"
Still a Fool (Morganfield) - 7'22"
Mistreated ( trad. arr. McPhee) - 6'28"
Groundhog Blues (trad. arr. McPhee) - 4'44"
Down in the Bottom (Burnett) - 4'00"


Tony McPhee's Groundhogs:

Tony (T.S.) McPhee - Guitar & Vocals
Eric Chipulina - Guitar
Alan Fish - Bass
Peter Correa - Drums









sabato 27 ottobre 2012

Lyonesse Live in Milan 1978

Bonsoir tout’ la compagnie de cette maison
Dieu vous envoie bonn’ année
Et un’ bonn’ saison

Lyonesse è il nome di un’isola ubicata secondo la leggenda presso l’estremità sudoccidentale della Cornovaglia. Come altre isole della mitologia celtica Lyonesse non ha mancato di ispirare poeti e musicisti. Se Ys viene citata da Claude Debussy, Alan Stivell e Balletto di bronzo, Tir na nOg e Lyonesse hanno dato il nome a due grandi gruppi folk, irlandese il primo, dalle radici più ramificate il secondo. Lyonesse prende forma nel 1973 dall’incontro tra un gruppo di musicisti francesi, lo svizzero Pietro Bianchi e l’inglese Trevor Cozier. Quest’ultimo si presentava con un precedente di tutto rispetto, avendo partecipato due anni prima alla realizzazione dell’album No Roses di Shirley Collins, atto di nascita della Albion Band. Negli anni successivi il gruppo, stabilizzatosi intorno a Mireille Ben e Pietro Bianchi, si trasferì in Italia, dove pubblicò quattro album e tenne numerosi concerti, fino allo scioglimento avvenuto in un momento imprecisato dei primi anni Ottanta.
Una dettagliata storia del gruppo è reperibile sul sito Folkvinyls, dove possiamo incontrate persone e situazioni curiose che hanno incrociato il cammino dei Lyonesse: da Claudio Rocchi al lungimirante produttore Roy Tarrant, dall’apparizione al festival del parco Lambro nel 1976 all’incontro con Carlo Petrini. L’album con cui esordisce il nostro blog fu registrato la sera del 25 ottobre 1978 presso il teatro Verdi di Milano, nel corso di una fortunata serie di concerti tenutisi fra ottobre e novembre. Trattandosi di un live non abbiamo separato le singole tracce: i due file corrispondono pertanto ai lati del disco.
256 kbps – mp3

FACE A
LE ROI BOIT  (Chant de quete pour l’Epiphanie) – 2’ 46”
OU ALLEZ-VOUS LA BELLE  (Chanson berrichonne apprise de Jean Blanchard) – 3’ 43”
BAL SUR LE PONT DE L’ILE  (Version canadienne d’une ballade francaise) – 3’ 11”
M’EN REVENANT DES NOCES  (Laride a 8 temps, Bretagne) – 3’ 53”
REEL DU SAUVAGE  (Reel de Louisiane, qu’on a appris de Dewey Balfa) – 2’ 45”
LA FILLE DE 14 ANS  (Ballade acadienne) – 4’ 18”
CONTREDANSE DE MAMOU ET CONTREDANSE FRANCAISE  (Merci a Shelby Vidrine et Isom Fontenot, musiciens de Mamou, Louisiane) – 2’ 26”

FACE B
BONSOIR MAITRE DE MAISON  (Chant de marriage du sud-ovest francais) -  4’ 45”
CANTIQUES  DU PARADIS  (Bretagne, merci a Andre Thomas) – 3’ 00”
LES ROCHERS Y SONT DE PIERRE  (Chanson du repertoire de Ben) – 2’ 55”
LE MAURICE S’EN VA-T-EN VIGNE  (Rond d’Argenton) – 3’ 06”
J’AI FAIT UN REVE – 4’ 05”
SOTTEESI BATSKARSNAASISTA  (Suite de ‘Scottish’ suedois et norvegiens) – 5’ 02”

LYONESSE:
LILI BEN:  chant, violon, dulcimer, percussions
MIREILLE BEN:  chant, mister stepper, baguettes
ARMEL SORVEYRON:  tin whistle, bombarde, biniou, bodhran, chant
PIETRO BIANCHI:  violon, vielle a roue, chant