Visualizzazione post con etichetta Tangerine Dream. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Tangerine Dream. Mostra tutti i post

lunedì 17 marzo 2014

La Buona Annata's Literary Supplement: Terra degli uomini

Noi siamo abitatori d'un pianeta errante. Grazie all'aereo, il pianeta ci lascia vedere di quando in quando la sua origine: i rapporti di uno stagno con la luna rivelano parentele nascoste - ma ne ho avuto altri indizi. 
Di tratto in tratto, lungo la costa del Sahara tra Cap Juby e Cisneros, si sorvolano altipiani di forma tronco-conica, d'una larghezza che varia da poche centinaia di passi a una trentina di chilometri. L'altezza, notevolmente uniforme, è di trecento metri. Ma oltre a questa parità di livello, essi presentano le stesse colorazioni, la stessa grana del suolo, la stessa sagomatura del dirupo. Come le colonne di un tempio rimaste sole in piedi e affioranti sulle sabbie mostrano ancora le vestigia dell'intavolato crollato, così quei pilastri solitari sono la testimonianza d'un vasto altipiano che un tempo li univa.
Durante i primi anni della linea Casablanca-Dakar, in un'epoca in cui il materiale era fragile, i guasti, le ricerche, i salvataggi, ci costrinsero spesso ad atterrare in territorio ribelle. Ora, la sabbia inganna: si crede che sia solida, e si affonda. Dal canto loro, le saline abbandonate, che sembrano provviste d'una rigidità d'asfalto e che danno un suono duro sotto il tacco, talvolta cedono sotto il peso delle ruote, e allora la bianca crosta di sale si squarcia sul fetore di una palude nera. Perciò, quando le circostanze lo consentivano, noi sceglievamo le superfici lisce di quei pianori: non nascondevano mai insidie.
Questa garanzia derivava dalla presenza di una rena resistente, dai granelli di sabbia pesanti. Era un cumulo enorme di conchiglie minuscole. Ancora intatte alla superficie del pianoro, a mano a mano che si scendeva lungo un canalone si scopriva ch'esse si sminuzzavano ed agglomeravano sempre più. Nel deposito più antico, alla base del massiccio, costituivano già un puro calcare.
Ora, al tempo in cui Reine e Serre, compagni catturati dai ribelli, erano prigionieri, accadde che, avendo atterrato sopra uno di quei campi di fortuna per scaricare un messaggero mauro, cercai insieme con lui, prima di lasciarlo, se c'era una via dalla quale potesse scendere. Ma la nostra terrazza, in tutte le direzioni, finiva in un dirupo che cadeva verticale nell'abisso, con pieghe da panneggio. Non vi era evasione possibile.
Tuttavia, prima di decollare per andare a cercare altrove un altro campo, indugiai qui. Provavo un piacere forse puerile per il fatto di lasciare l'orma dei miei passi su un suolo che ancora nessuno, né animale né uomo, aveva contaminato. Nessun mauro avrebbe potuto lanciarsi all'assalto di quella roccaforte. Nessun europeo aveva mai esplorato quel territorio. Misuravo col passo una sabbia infinitamente vergine. Ero il primo a fare scorrere da una mano all'altra, come oro prezioso, quella polvere di conchiglie. Il primo a turbare quel silenzio. Su quella specie di banchisa polare che, da un tempo immemorabile, non aveva formato un sol filo d'erba, io ero, come un seme portato dal vento, la prima testimonianza della vita.
Splendeva già una stella e la contemplai. Riflettei che quella superficie bianca era rimasta esposta solo agli astri da centinaia di migliaia di anni. Una tovaglia immacolata stesa sotto un cielo puro. E provai un tuffo al cuore, come alle soglie d'una rivelazione, nello scoprire su quella tovaglia, a quindici o venti metri da me, un ciottolo nero.
Io avevo sotto i piedi uno spessore di trecento metri di conchiglie. Lo strato enorme negava tutto intero, come una prova perentoria, la possibilità della presenza d'una pietra. Forse nelle profondità sotterranee dormivano delle selci, nate dalle lente digestioni del globo; ma qual miracolo avrebbe potuto farne risalire una fino a quella superficie troppo nuova? Col cuore che batteva, raccolsi dunque la mia scoperta: un ciottolo duro, nero, grosso come un pugno, pesante come metallo e colato a forma di lacrima.
Una tovaglia stesa sotto un melo non può ricevere che mele, una tovaglia stesa sotto le stelle non può ricevere che pulviscolo d'astri: mai un aerolito aveva indicato con altrettanta evidenza la propria origine.
Fu del tutto naturale che, nell'alzare il capo, io pensassi che altri frutti dovevano essere caduti, dall'alto del melo celeste. Li avrei trovati nel punto medesimo della loro caduta, poiché, da centinaia di migliaia di anni, nulla aveva potuto spostarli. E poiché non si confondevano affatto con altri materiali. Partii subito in esplorazione, per cercare conferma alla mia ipotesi.
Fu confermata. Feci collezione delle mie scoperte, al ritmo di circa una pietra per ettaro. Sempre quell'aspetto di lava intrisa. Sempre quella durezza di diamante nero. Così, dall'alto del mio pluviometro di stelle, assistetti in uno scorcio impressionante al lento scroscio di quella pioggia di fuoco.
Ma veramente meraviglioso era il fatto che là, in piedi sulla schiena rotonda del pianeta, tra quel lenzuolo calamitato e quelle stelle, ci fosse una coscienza d'uomo, in cui tale pioggia potesse rispecchiarsi. Su uno strato di minerali un sogno è un miracolo.

(Antoine de Saint-Exupéry, Terra degli uomini. Garzanti, 1974)




domenica 11 agosto 2013

La Buona Annata's History Channel: Sorcerer

Le riprese del film [Sorcerer di William Friedkin] ebbero inizio a Parigi nell'aprile 1976. Per le location in America Latina Friedkin si diresse con Walon Green alla volta dell'Ecuador, dove trovò l'ambientazione ideale per la storia. Sulle Ande scoprì il posto dove costruire il pozzo petrolifero di Poza Rica, e nella cittadina di Puerto Bolivar, di proprietà della Texaco, quella che senza ulteriori modifiche avrebbe potuto essere la Porvenir del film. Purtroppo, il paese si trovava in uno dei suoi tanti periodi d'instabilità politica, il rischio di attentati terroristici era alto e la Universal si rifiutò di finanziare la pellicola a queste condizioni. Con l'intervento di Bludhorn, proprietario di piantagioni nella Repubblica Dominicana, divenne gioco forza spostarsi nella zona. Gli interessi della Gulf & Western sul posto erano tali che, sostiene Friedkin, "il Presidente della Repubblica stava sul loro libro paga", e la produzione avrebbe potuto contare su tutto l'aiuto di cui avesse avuto bisogno. I problemi, per il regista, anche produttore del film, iniziarono quando bisognò trovare il fiume adatto per la scena in cui Lazaro e Sorcerer, i due camion col carico di nitroglicerina, attraversano un ponte di legno nel bel mezzo di una tempesta. Si fecero ricerche per trovare un fiume impetuoso, di grande portata, su cui costruire la complessa armatura del ponte sostenuto e "mosso" da congegni idraulici: La scelta cadde su un corso d'acqua che in centocinquant'anni non era mai sceso al di sotto dei tre metri di profondità. Il ponte venne costruito, e un'improvvisa, anomala siccità investì il paese riducendo il fiume ad un rigagnolo. La stessa cosa avvenne con la seconda scelta, un luogo nella foresta pluviale del Messico del Sud, il budget crebbe spaventosamente (la costruzione del ponte costò un milione di dollari) e il risultato finale, per quanto straordinario, dovette essere ottenuto con l'aiuto di pompe, elicotteri, indios che buttavano detriti nel corso d'acqua per simulare la tempesta: il perfezionista Friedkin non ne rimase soddisfatto. Metà della troupe si ammalò di malaria (una sorte che toccò allo stesso regista), molti abbandonarono un set in cui l'atmosfera era tesa e, a metà lavorazione, il direttore della fotografia John M. Stephens venne sostituito da Dick Bush. Lo stesso Friedkin ammette di essere stato, all'epoca, viziato dal successo e "molto arrogante". Certo è che Il salario della paura rafforzò ulteriormente la sua reputazione di regista difficile. Dove la fortuna e il suo proverbiale fiuto per la musica invece lo assistettero, è nella scelta dei musicisti a cui affidare la colonna sonora. Durante il tour promozionale de L'esorcista in Germania, William Friedkin era venuto a sapere di un concerto tenuto in una chiesa sconsacrata nella Foresta Nera, a mezzanotte, da tre giovani musicisti. Rimasto grandemente impressionato dalla qualità delle improvvisazioni dei Tangerine Dream (questo il nome del gruppo), che si esibivano al buio in una chiesa totalmente immersa nell'oscurità, inviò loro il copione, con delle note sulla storia e sulle atmosfere del film, commissionandogli la prima colonna sonora della loro carriera. Il risultato fu l'invio di una serie di nastri che raggiunsero Friedkin sul set, dove, nonostante le difficoltà logistiche, riuscì ad ascoltarli. Con un lavoro di riadattamento durato alcuni mesi, ne trasse una delle colonne sonore più suggestive, sperimentali e inquietanti che si siano sentite in un film almeno dichiaratamente mainstream

(Daniela Catelli. Friedkin. Il brivido dell'ambiguità. Transeuropa, 1997)