giovedì 31 ottobre 2013

La Buona Annata's Literary Supplement: Il tovagliolo dei poeti

Sospeso sul limite della vita, ai confini dell'arte, Justin Prérogue era pittore. Un'amica viveva con lui e dei poeti venivano a fargli visita. A turno uno di loro cenava nello studio dove la sorte metteva, sul soffitto, delle cimici a mo' di stelle. 
C'erano quattro commensali che non s'incontravano mai a tavola.
David Picard veniva da Sancerre; discendeva da una famiglia ebrea cristianizzata, come se ne trovano tante nella città.
Léonard Delaisse, tubercoloso, sputava via la sua vita da ispirato con smorfie da morire dal ridere.
Georges Ostréole, gli occhi inquieti, meditava, come un tempo Ercole, tra le entità del bivio.
Jaime Saint-Félix conosceva tutte le storie possibili e immaginabili; la sua testa poteva girare sulle spalle come se il collo fosse soltanto avvitato al corpo.
Ed i loro versi erano stupendi.
I pasti non finivano mai, e lo stesso tovagliolo serviva a turno ai quattro poeti, ma non glielo si diceva.
A poco a poco il tovagliolo divenne sudicio.
Ecco del giallo d'uovo accanto ad una scura striscia di spinaci. Ecco dei cerchi di bocche sporche di vino e cinque impronte grigie lasciate dalle dita d'una mano in riposo. Una lisca di pesce ha forato la trama del lino come una lancia. Un chicco di riso s'è seccato, incollato in un angolo. E della cenere di tabacco rende scure certe parti più delle altre.
"David, ecco il suo tovagliolo" diceva l'amica di Justin Prérogue.
"Bisognerà anche pensare a comprare dei tovaglioli, - diceva Justin Prérogue - segnatelo per quando avremo soldi".
"Il suo tovagliolo è sporco, David, - diceva l'amica di Justin Prérogue - glielo cambierò la prossima volta. La lavandaia non è venuta questa settimana".
"Léonard, prenda il suo tovagliolo, - diceva l'amica di Justin Prérogue - potrà sputare nella cassa del carbone. Come è sporco il suo tovagliolo. Glielo cambierò non appena la lavandaia m'avrà riportato un po' di biancheria".
"Léonard, dovrò proprio farti il ritratto nell'atto di sputare, - dieva Justin Prérogue - ed ho anche voglia di farne una scultura".
"Georges, mi vergogno di darle sempre lo stesso tovagliolo, - diceva l'amica di Justin Prérogue - non so proprio cosa va facendo la lavandaia: non mi riporta più la biancheria".
"Mettiamoci a mangiare" diceva Justin Prérogue.
"Jaime Saint-Félix, sono costretta a darle ancora lo stesso tovagliolo. Non ne ho altri oggi" diceva l'amica di Justin Prérogue.
E il pittore faceva girare la testa del poeta durante tutto il pasto ascoltando parecchie storie.
E passò così qualche stagione.
I poeti si servivano a turno del tovagliolo ed i loro poemi erano stupendi.
Léonard Delaisse sputava via la sua vita ancor più comicamente, e anche David Picard si mise a sputare.
Il tovagliolo velenoso contagiò a turno, dopo David, Georges Ostréole e Jaime Saint-Félix, ma essi non lo sapevano.
Simile ad un indecente straccio da ospedale, il tovagliolo si macchiò del sangue che veniva alle labbra dei quattro poeti, e le cene non finivano più.
All'inizio dell'autunno, Léonard Delaisse sputò quel che gli restava di vita.
In diversi ospedali, scossi dalla tosse come donne dalla voluttà, gli altri tre poeti morirono a pochi giorni l'uno dall'altro. E tutti e quattro lasciavano poemi così belli che sembravano magici.
Si attribuì la loro morte non al cibo ma alla fame canina ed alle veglie poetiche. E' infatti veramente possibile che un solo tovagliolo possa uccidere, in così poco tempo, quattro poeti incomparabili?
Morti i commensali, il tovagliolo divenne inutile.
L'amica di Justin Prérogue decise di metterlo nella biancheria sporca. Si mise a spiegarlo pensando; "E' veramente troppo sporco e comincia a puzzare".
Ma appena spiegato il tovagliolo l'amica di Justin Prérogue ebbe un moto di sorpresa e chiamò l'amico che esclamò meravigliato:
"E' un vero miracolo! Questo tovagliolo così sporco, che sciorini con condiscendenza, presenta, grazie alla sporcizia rappresa e di diversi colori, i tratti del nostro amico defunto, David Picard".
"Non è vero?" mormorò l'amica di Justin Prérogue.
Tutti e due, in silenzio, guardarono per qualche istante l'immagine miracolosa e poi, dolcemente, fecero girare il tovagliolo.
Ma subito impallidirono vedendo apparire spaventosa l'immagine da morire dal ridere di Léonard Delaisse che si sforzava di sputare.
Ed i quattro lembi del tovagliolo offrivano lo stesso prodigioso spettacolo.
Justin Prérogue e la sua amica videro Georges Ostréole con la sua aria irresoluta e Jaime Saint-Félix in procinto di raccontare una delle sue storie.
"Lascia questo tovagliolo" disse bruscamente Justin Prérogue.
Il panno cadde stendendosi sul pavimento.
Justin Prérogue e la sua amica girarono a lungo come degli astri intorno al sole, e questa Santa Veronica, col suo quadruplice sguardo, ingiunse loro di fuggire sul limite dell'arte, ai confini della vita.

(Guillamme Apollinaire, L'eresiarca & C., Guanda, 1987)



sabato 26 ottobre 2013

La Buona Annata's Literary Supplement: Soppressione degli oceani

Alphonse Allais, Soppressione degli oceani, mari, fiumi e, in generale, dei differenti specchi d'acqua che ornano la superficie del globo (Le Journal, 1905)

"Io," disse una signora con accento inglese, "l'ho visitato l'Hohenzollern. E' una nave magnifica."
Seguì la descrizione dettagliata dell'imperial bastimento.
Tutti noi, in quello scompartimento, ascoltavamo la signora, non risparmiando sforzo alcuno per dare alle nostre fisionomie l'apparenza dell'interesse più acceso.
Solo un signore dì età, in un angolo, non sembrava provare alcun piacere ai particolari di quel germanico e galleggiante splendore.
Ben presto, perse anche la pazienza, alzò le spalle e mugugnò: "Navi! Ah? sì, parliamone pure! Davvero qualcosa di speciale, le navi! E a che cosa servono, ditemi un po'?"
"Scusi, signore," lo interruppi io garbatamente. "Le navi sono ancora quanto di meglio si sia trovato per andare sull'acqua."
"Scusi lei!" ribatté il vecchio signore. "Ho trovato io qualcosa di meglio, io che le parlo!"
"Meglio che le navi?... per andare sull'acqua?"
"Sì, signore, per andare sull'acqua!"
"Ah! E per esempio?... Io non sono affatto curioso, ma mi piacerebbe proprio sapere..."
"Dipende soltanto da lei, signore. Se vuole farmi l'onore di venire a farmi visita, la farò assistere a dei curiosi esperimenti."
E mi tese il suo biglietto: Duca di Penuria, castello di Penuria (Musintrògolo).
Avevo spesso sentito parlare di questo vecchio gentiluomo come di un eccentrico sdegnoso, ma era la prima volta che mi trovavo alla sua presenza.
Come potete supporre, mi guardai bene dal mancare al suo allettante invito.
La tenuta di Penuria, come tutte le tenute appartenenti a coloro che sono dominati da un'idea fissa, è molto trascurata.
Nel bel mezzo dei sentieri spunta l'erba e i vecchi alberi secolari non perderebbero nulla a essere potati con maggiore frequenza.
Eravamo arrivati in fondo al parco, davanti a una superficie piana piuttosto ampia di cui, a prima vista, non riuscivo a spiegarmi la natura.
Un immenso maneggio, si sarebbe detto, un maneggio all'aria aperta e coperto da uno spesso strato di segatura.
"Che cos'è questo, secondo lei?" mi chiese bruscamente il mio ospite... "Non si sforzi, non ci arriverebbe: è uno stagno."
"Uno stagno?... Uno stagno senz'acqua, allora."
"Al contrario, uno stagno pieno d'acqua, ma dove l'acqua è coperta da uno strato di sughero sminuzzato."
"Comincio a capire."
"Questo strato di sughero sminuzzato ha uno spessore di trenta centimetri, spessore sufficiente per sopportare non soltanto il passaggio di persone, ma anche la circolazione automobilistica."
"Quasi incredibile."
"L'esperienza è a portata di mano."
Infatti ci incamminammo sul sughero del brav'uomo e costatai che non affondavamo affatto.
Si aveva la sensazione di camminare sopra un tappeto elastico, su un materasso di gomma e senza affondare.
Il duca di Penuria inforcò un vecchio triciclo e fece diversi giri sul laghetto.
Stesso risultato.
"Ebbene, disse il brav'uomo trionfante, "è convinto, adesso?... Poiché nulla impedisce di realizzare in grande, sul mare, quel che si può fare sopra uno stagno."
"Be', mi permetta..."
"Prevedo le sue obiezioni e le demolirò una dopo l'altra, così come potrebbe fare un abile tiratore con le pipe di una fiera paesana."
E infatti questo demonio d'inventore mi convinse totalmente. 
Soltanto, cari miei, ce ne vorrebbe di sughero per coprire tutta la superficie liquida del globo, altro che se ce ne vorrebbe!
Il duca ha calcolato che se tutti i paesi civili della terra ci mettessero un poco di buona volontà, costringendo i cittadini del mondo intero a coltivare il sughero nelle loro proprietà, sul ciglio delle strade, insomma dappertutto dove il sughero possa germogliare, sarebbero sufficienti una ventina d'anni per arrivare a un risultato definitivo.
Però, quale risultato!
Niente più marina! Niente più costosi e fragili navigli alla mercè d'una raffica di vento o di una collisione!
E il treno diretto tra Parigi e New York (tre giorni e mezzo di viaggio).
Non insisto su tutti i progressi, su tutti i vantaggi che il successo di questa magnifica impresa porterebbe all'umanità
Disgraziatamente, c'è l'Inghilterra; l'Inghilterra meno disposta che mai a metter da parte la sua supremazia marittima, l'Inghilterra egoista e mercantile, quell'Inghilterra cioè pronta a schiacciare nell'uovo l'idea splendida e apportatrice di civiltà del duca di Penuria.

Poscritto. Un signore che si qualifica ingegnere internazionale mi scrive una lettera in cui rimprovera aspramente al duca di Penuria, autore di questo progetto, di essersi ispirato a una sua idea, che egli ebbe già ad esporre in pubblicazioni specializzate.
Si tratta delle strade galleggianti, il cui ricordo è ancora vivissimo (è l'ingegnere internazionale ad affermarlo) in tutte le persone che si occupano seriamente (seriamente è sottolineato) dei progressi dell'umanità.
Come indica il suo nome, la strada galleggiante è una lunga coda di solide zattere attaccate l'una all'altra, ancorate in mare per mezzo di ancore e di catene a molla. 
Queste catene a molla permettono alle nostre zattere di disgiungersi momentaneamente per far passare le navi; dopo di che le suddette zattere non hanno altro da fare che tornare a congiungersi.
Grosse ciambelle ad hoc attenuano gli inconvenienti degli urti e dell'attrito.
L'ingegnere internazionale afferma che non c'è niente di più pratico della sua idea e, in un poscritto davvero commovente, mi offre, se io intendo caldeggiare il suo progetto e procurargli, io stesso (!) o attraverso i miei amici, la dozzina di milioni di franchi necessari a impiantare una strada galleggiante Calais-Dover, mi offre, dico, una forte percentuali sugli utili.
Avviso agli amatori.
Oltre gli enormi profitti che l'affare apporterà, i Signori Azionisti avranno diritto a una tessera di libera circolazione sulle strade galleggianti per sé e i loro familiari.
Confessate che è allettante.
Altre comunicazioni mi sono pervenute sul medesimo argomento.
Vi tornerò sopra, ne vale la pena.

(Il pianeta Hellzapoppin. A cura di Valentino De Carlo. De Carlo editore, 1968)





Terra Serpentes

Nel post dedicato ai Somewhere in Europe accennavamo alla loro partecipazione alla compilazione Terra Serpentes. Ecco oggi nella sua fosca grandezza il mastodontico sampler della World Serpent. Superfluo discettare sui singoli nomi: ci sono praticamente tutti gli artisti più interessanti dell'orizzonte compreso tra folk apocalittico e musica (post) industriale di metà anni Novanta. Non mancano un paio di nomi del passato ripescati da David Tibet: il bizzarro Tiny Tim e i tedeschi Sand, di cui i Current 93 ripresero When the May Rain Comes nel capolavoro Thunder Perfect Mind.





Disc 1

Arkkon:   T2901E
Martyn Bates:   Bahnhofstrasse
Chris and Cosey:   One Minute More (Serpent Mix)
Coil:   Earthworms
Current 93:   Frolicking
Bryin Dall:   May You Never Be Alone Like Me
Death in June present Kapo!:   Only Europa Knows
Roger Doyle:   Dark Scenery Court Games
Elijah's Mantle:   Wise Words of  Eve
In Gowan Ring:   Still Water Bonne
Lemon Kittens:   What the Cat Brought In
Loretta's Doll:   Love is Regret
The Moon Lay Hidden Beneath A Cloud:   Untitled



Disc 2

Nature and Organisation:   By a Foreign River
Neither / Neither World:   All's God's Dogs
Nurse with Wound:   Window of Possible Organic Development
Orchis:   Come Unto Me
Boyd Rice feat. Joel Haertling:   Music from the Movie 'Pearls Before Swine' 
Sand:   On the Corner (Alternative Version)
Death in June present Scorpion Wind:   Some Colossus
Shock Headed Peters:   Oblivion Extract
Sol Invictus:   Did You See
Somewhere in Europe:   Oblique Realities
Strenght Through Joy:   Ways to Strenght and Beauty
Tiny Tim:   The Garden of your Heart, Turn Back the Universe, You can't get Loving Where There ain't Any Love, A Thousand Love Songs
Zone:   The Scavenging Soul




martedì 22 ottobre 2013

La Buona Annata's History Channel: Vita intelligente su Marte

Herbert George Wells, La vita intelligente su Marte (1896)

Anno dopo anno, quando gli avvenimenti politici non sono fonte di preoccupazione, si riaffaccia il problema dell'esistenza di una vita intelligente, senziente, sul pianeta Marte. L'ultima ondata di speculazioni è stata alimentata dalla scoperta di Monsieur Javelle di una proiezione luminosa sull'orlo meridionale del pianeta. Da molti punti di vista, la luce era singolare, e, tra le altre interpretazioni, si è congetturato che gli abitanti di Marte inviassero messaggi luminosi agli abitanti ipotetici del pianeta-fratello, la Terra. Non è stato compiuto alcun tentativo di risposta. In effetti, se potessimo trasportare su Marte il nostro Astronomo-Reale con il miglior telescopio a nostra disposizione, egli non riuscirebbe neppure a scorgere una marea rossa di fiamme che attraversasse l'intera città di Londra. Il problema rimane irrisolto, e probabilmente è irrisolubile. Senza dubbio, Marte assomiglia molto alla Terra. Giorni e notti, estati e inverni marziani differiscono dai nostri solo nella lunghezza. Marte possiede terre e oceani, continenti e isole, catene montuose e mari interni. Le sue regioni polari sono coperte di nevi, e ci sono un'atmosfera, nuvole, un sole caldo e piogge moderate. Lo spettroscopio, che analizza con tanta precisione le stelle più lontane, ci dà motivo di ritenere che gli  elementi chimici a noi familiari esistano anche su Marte. Dal punto di vista chimico e fisico, il pianeta è così simile alla Terra che non esiste nessun vero ostacolo alla convinzione che su Marte, come sulla Terra, si sia manifestata l'esistenza di protoplasma, l'unico materiale vivente che noi conosciamo. Se ci lasciamo guidare dalla ragione, sappiamo che, sul nostro pianeta, il protoplasma, dapprima amorfo e disperso, è stato diretto da forze naturali fino a modellarsi nella successione meravigliosa di forme e di integrazioni che noi chiamiamo il regno animale e il regno vegetale. Perché, allora, su Marte, sotto la guida di forze naturali consimili, il protoplasma non dovrebbe essere la radice di un ramo altrettanto ricco dell'evoluzione vivente; perché non dovrebbe produrre frutti altrettanto ricchi di creature intelligenti, senzienti?
Tralasciamo le possibili obiezioni, e supponiamo che, partendo da un semplice protoplasma, ci sia stata sul pianeta Marte una evoluzione di forme organiche diretta dalla selezione naturale e da agenti affini. E' una conclusione necessaria, o anche solo probabile, che l'evoluzione sia culminata in un ordine di creature con una percezione sensoriale del tutto simile a quella dell'uomo? E' immediatamente evidente che qui sorge un problema complicato e, fino ad ora, insolubile - un problema in cui, per usare il linguaggio della matematica, ci sono molte variabili indipendenti. Gli organi sensoriali sono parti del corpo, e, come i corpi stessi e tutte le parti che li compongono, sono il risultato di una serie quasi infinita di variazioni, selezioni, eliminazioni. Ad esempio, l'isolamento geografico è stato uno dei grandi agenti di modificazione. Combinandosi, i movimenti della Terra, il sistema delle correnti, e la natura delle rocce hanno più volte spezzato la massa dei continenti e creato delle isole, e, indipendentemente da altri agenti di modificazione, hanno isolato gruppi di creature, con il risultato che questi gruppi isolati si sono sviluppati secondo linee evolutive divergenti. Soltanto uno zoologo avventato potrebbe dire che gli animali e le piante esistenti sarebbero stati quelli di oggi se fosse stata differente la distribuzione delle terre e delle acque nell'èra cretacea. Dall'epoca delle formazioni calcaree, tutti i grandi gruppi di mammiferi si sono separati dal comune ceppo indifferenziato, e si sono modellati come uomini e scimmie, gatti e cani, antilopi  e cervi, elefanti e scoiattoli. Soltanto in un sogno lontano dalla realtà possiamo supporre che i mutamenti periodici del mare e delle terre, dei continenti e delle isole, che sono avvenuti sul nostro pianeta fin dall'alba della vita, siano stati simili su Marte. La distribuzione geografica è soltanto un mutamento di una vasta sequenza di variazioni tra loro indipendenti che hanno contribuito alla creazione dell'uomo. Se diamo per scontato che su Marte c'è stata un'evoluzione del protoplasma, abbiamo ogni ragione per ritenere che le creature di Marte siano diverse dalle creature della Terra, nella forma e nelle funzioni, nella struttura e nei comportamenti, diverse al di là delle fantasticherie più bizzarre di un incubo.
Se noi approfondiamo il problema delle caratteristiche sensoriali dei Marziani, troveremo motivi ancora più grossi per dubitare dell'esistenza di creature senzienti in qualche modo paragonabili a noi. In una prospettiva metafisica - è vero - non esiste un mondo esterno al di fuori di noi. L'intero universo, dalla stella più remota all'atomo chimico più minuto, è solo un prodotto della nostra mente. Ma, in senso più lato, noi distinguiamo tra una realtà esterna e quei poveri aspetti di essa che percepiscono i nostri sensi. Noi pensiamo all'esistenza di qualcosa che non si identifica in noi stessi, sulla cui natura esprimiamo delle congetture - almeno finché annusiamo, gustiamo, tocchiamo, soppesiamo, vediamo, udiamo. Ma i nostri sensi sono le uniche sonde immaginabili dentro la natura della materia? L'universo non ha altre facce se non quelle che rivolge all'uomo? Eppure ci sono delle variazioni anche nell'ambito dei nostri sensi. A seconda della intensità delle vibrazioni, il suono prodotto da una colonna d'aria può essere alzato o abbassato al di là dell'udito dell'uomo. Tuttavia, la capacità di udire le note più alte o più basse varia da individuo a individuo. Se vi fossero orecchie in grado di ascoltare, vi sarebbero armonie e suoni articolati sopra e sotto la portata della percezione acustica dell'uomo.
Con la più piccola differenza anatomica dei loro organi, le creature di Marte potrebbero udire, e tuttavia essere sorde ai suoni che noi udiamo - parlare, e tuttavia, per noi, essere mute. Da tutte e due le estremità di uno spettro visibile in cui la luce è rotta da un prisma, si dispiegano raggi attivi, a noi invisibili. Un occhio dalla struttura appena diversa da quella del nostro potrebbe vedere, e tuttavia essere cieco dove noi vediamo. E questo accade per tutti i sensi. Anche se supponessimo che la creatura inimmaginabile di Marte avesse organi sensoriali direttamente paragonabili ai nostri, non ci potrebbe essere alcun modo in comune di misurare quello che è possibile udire, vedere, gustare, odorare, toccare a noi e a loro. Inoltre, è già una ipotesi azzardata pensare che possano essersi formati organi e sensi simili. Perfino tra gli animali della Terra riteniamo che esistano dei sensi non posseduti da noi. I nostri rapporti consapevoli con l'ambiente sono solo una piccola parte della più vasta sfera d'influenza che l'ambiente ha su di noi: perciò sarebbe facile suggerire dei sensi ipotetici diversi dai nostri. Parlando di creature la cui evoluzione si è sviluppata secondo linee diverse, e ha prodotto forme, strutture, relazioni con l'ambiente che non possiamo immaginarci, dobbiamo riconoscere come evidente che la loro percezione dell'ambiente potrebbe o dovrebbe seguire modalità a noi imperscrutabili. Nessuna visione antropomorfica è più ingenua di quella che suppone l'esistenza di uomini su Marte. Nell'universo intellettuale, una simile concezione si colloca nell'ambito delle cosmogonie e delle religioni antropomorfiche inventate dalla presunzione infantile dell'uomo primitivo.

(Il Palazzo di cristallo. A cura di Carlo Pagetti. Mondadori, 1991)





Sweethome Under White Clouds: Crenna



lunedì 21 ottobre 2013

Grazie per le tremila visite!


Sweethome Under White Clouds: Pro(g) Gallarate



Buone nuove per gli amici progster del gallaratese (e non solo). Il blog Verso la stratosfera, in assoluto uno dei nostri preferiti, ha pubblicato la registrazione di un concerto del Banco del mutuo soccorso tenuto il 30 luglio 1974 presso la discoteca Nautilus di Cardano al Campo, periodo Io sono nato libero. Buon ascolto!




La Buona Annata's Literary Supplement: Una volta vivevo qui

Jean Rhys, Una volta vivevo qui

Stava sulla riva del fiume guardando le pietre che servivano ad attraversarlo e ricordandole una a una. C'era quella rotonda malferma, quella appuntita, quella piatta in mezzo - quella sicura, dove ti potavi fermare a guardarti attorno. La successiva non era altrettanto sicura, perché quando il fiume era in piena l'acqua la ricopriva e anche quando sembrava asciutta era scivolosa. Ma dopo quella pietra tutto diventava facile, e ben presto si trovò sull'altra sponda.
La strada era molto più ampia di un tempo ma il lavoro era stato fatto male. Gli alberi abbattuti non erano stati portati via e i cespugli sembravano calpestati. Eppure era la stessa strada e lei la percorse straordinariamente felice.
Era una bella giornata, una giornata azzurra. L'unica cosa era che il cielo aveva un aspetto vitreo che non ricordava. Non le veniva in mente nessun'altra parola. Vitreo. Svoltò l'angolo, vide che la vecchia pavimentazione era stata tolta, e anche qui la strada era molto più ampia, ma aveva lo stesso aspetto incompiuto.
Arrivò agli scalini di pietra consunti che portavano alla casa. E incominciò a batterle il cuore. Il pandano non c'era più, e neppure la finta casa estiva che chiamavano ajoupa, ma l'albero spaccato c'era ancora e in cima agli scalini il prato ruvido si stendeva in lontananza, proprio come lo ricordava. Si fermò e guardò la casa che era stata ampliata e dipinta di bianco. Era strano vedere un'automobile parcheggiata lì davanti.
C'erano due bambini sotto il grande mango, un bambino e una bambina, e li salutò con la mano dicendo "Ciao" ma non le risposero né volsero il capo. Erano bambini molto biondi come lo sono tanto spesso gli europei nati nelle Indie occidentali: come se il sangue bianco volesse affermarsi contro ogni eventualità.
L'erba era gialla sotto il sole caldo mentre si avvicinava a loro. Quando fu molto vicina disse di nuovo, timidamente: "Ciao". E poi: "Una volta vivevo qui" disse. 
Continuarono a non risponderle. Quando disse "Ciao" per la terza volta era vicinissima. Le sue braccia si tesero istintivamente nello struggimento di toccarli.
Fu il bambino ad alzarsi. Gli occhi grigi guardarono dritto nei suoi. La sua espressione non cambiò. "Ha fatto freddo all'improvviso" disse, "l'hai notato? Rientriamo."
"Sì, rientriamo" disse la bambina.
Le ricaddero le braccia mentre li guardava correre sull'erba verso casa. E per la prima volta capì.

(Trionfo della notte. A cura di Robert Phillips. Mondadori, 1990)





giovedì 10 ottobre 2013

Sweethome Under White Clouds: Virgin Prunes


Sweethome Under White Clouds: Sesto Calende


Hope and Pray

Nati come gruppo folk dedito alla tradizione nel 1966, i Forest si convertirono al verbo psichedelico dopo il trasferimento a Birmingham avvenuto due anni dopo. Grazie a John Peel vennero scritturati dalla Blackhill Enterprises e pubblicarono un singolo per la Harvest, nata da poco ma destinata a imperitura fama. Dopo due album che restano tra le pietre miliari del folk psichedelico, riediti dalla Beat Goes On in doppio cd nel 1994, il gruppo si sciolse nel 1971. Dopo quasi trent'anni Martin Welham ricomparve sulle scene con The Story, un duo creato con il figlio Tom. Il gruppo esordì nel 2006 con il disco Tale Spin uscito per i tipi della Sunbeam, primo titolo contemporaneo di un'etichetta dedicatasi sino ad allora esclusivamente alle ristampe. La continuità tra l'acid folk degli esordi e, letteralmente in questo caso, i figli viene sancita dalle partecipazioni di The Story a due importanti compilazioni della Cold Spring: John Barleycorn Reborn e John Barleycorn Reborn: Rebirth. Non siamo in grado di precisare la data di registrazione di questo live dei Forest, uscito in vinile nel 1989 per la Hablabel; in tutta franchezza la qualità della registrazione fa abbastanza schifo ma l'interesse storico è fuor di dubbio. Nell'attesa che qualcuno si prenda la briga di pubblicare le sessions effettuate negli studi della BBC godiamoci questo  vinyl rip meschinello. 



Side A
You Could Have Been A Gipsy
Leftover Wright
Everyday laugh

Side B

What Happened To You?
Leave My Woman Alone
Regarding
Love's Memory Gone
Turning Of The Day



The Story, Tale Spin (2005)

1 - The Story
2 - Hope And Pray
3 - Roll Of The Dice
4 - Down To The Trees
5 - Windmills
6 - Walking The Wall
7 - Anyway
8 - Strange World
9 - Winterborn
10 - All Around Me
11 - Between The Lines







Sweethome Under White Clouds: Ponte Tresa


mercoledì 9 ottobre 2013

La Buona Annata's Literary Supplement: Il vecchio contadino e lo spaventacchio

Arturo Loria, Il vecchio contadino e lo spaventacchio
Un vecchio contadino, trovandosi infermo, poteva guardar nel campo dal letto altissimo e posto in maniera che di là il suo sguardo mirasse diritto alla finestruola della camera. Esercitava così la propria sorveglianza sul fianco di un poggio a vigna e su tutto un gran seminato, nel mezzo del quale si ergeva da lungo tempo uno spaventacchio in brache penzolanti, giacchetta e cappelluccio a cono. Ma quei cenci ch'egli conosceva bene per averli, in più degno stato, portati addosso, anni addietro, ora andavano a pezzi senza che nessuno di famiglia, provvedendo a sostituirli, ripristinasse l'efficacia dell'arnese pauroso. Oggi ne faceva preghiera ai figli; domani ai generi, con l'insistenza dei vecchi quando hanno a cuore una faccenda o cercano, in modo querulo, la prova di essere ormai inascoltati. Gli uni e gli altri, dopo aver risposto di sì, trascuravano di contentarlo, presi dai lavori della stagione e poco curanti di un danno che ritenevano minimo, fuggiti altrove moltissimi uccelli per le sparatorie e le stragi fatte recentemente da cacciatori venuti di città. Ma in questo loro calcolo si sbagliavano. Non appena l'operosità del vento e delle piogge ebbe strappato via con gli ultimi brandelli di stoffa stinta anche il cappelluccio, e lì non rimasero che due magre pertiche in croce, gli uccelli riacquistarono baldanza, mentre il vecchio imprecava, cupo d'ira impotente, vedendoli calare in frotte gaie sul seminato. Perfino un colombaccio di passo si fermò, alla prima luce del sole, per riposare in vetta alla pertica ritta; né quella significativa impertinenza sfuggì all'infermo, dal suo giaciglio.
- Lo spaventacchio è proprio finito, - fece al più piccolo dei suoi nipoti, il quale di buon'ora gli portava una ciotola di latte caldo. - Parlane tu, a tavola; di' che va rivestito da capo a fondo, prendendo quei panni malandati che serbo nel cassettone. Dillo, mi raccomando. A te, forse, daranno ascolto. Se poi non sanno come si fa, potrò guidarli io da questo letto.
Ma rimasto di nuovo solo e con gli occhi fissi a guardar fuori della finestra, non ricordava più la ragione di così nuda struttura, da barca senza vela, in mezzo a un campo. Eppure, gli baluginava alla mente che servisse di appoggio alla stanchezza; e via via, cadendo in una specie di vertigine, gli pareva di esser lui quel colombaccio che dopo aver posato un poco sul sostegno, ripartiva a volo per chissà dove.

(La bottega dello stregone. A cura di E. Ghidetti e L. Lattarulo.
Editori Riuniti, 1985)



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La Buona Annata's History Channel: Gallaratesi brusa balloni

Leggiamo ancora negli Annali del nostro Riva [Annali di Gallarate, del panieraio Luigi Riva, dall'anno 1760 al 1805]: "L'anno 1784, alli 26 di febbraio, essendo il giovedì grasso fecesi volare un ballone qui in Gallarate di altezza di brazi (braccia) 20 e larghezza 12, fatto a vari colori; il quale si fece volare nel mezzo della piazza nominata Pasquaro e incomincionsi ad alzare talmente nell'aria che stentavasi comprendere e andò a cadere cinque miglia lontano da Gallarate dove si dice le fornaci di Fagnano; quando alzosi detto ballone era ore venti vuna , ed calò abbasso alle ventitre circa; la forma del sudetto era simile a un uovo fatto di carta imperiale e tinta, rosso, giallo e bianco, dentro il quale vi era una padella di fuoco acceso, nella quale metevano il spirito di quelle acque che formava l'aria infiammatoria, e così restava pieno di fuoco in modo da non abruciarsi".
In una pagina seguente, l'attento cronista-panieraio ci narra che il 5 giugno 1785 si cercò di far volare un altro pallone della stessa forma, ma più grande del precedente, nella brughiera tra Busto e Gallarate, presenti moltissimi forestieri. Ma, mentre questa moltitudine di popolo stava mirando e aspettando che il pallone si alzasse, avvenne che una piccola goccia di alcool "scoppiasse" nell'interno di esso, causandone subito il totale abbruciamento, con grande mortificazione dei circostanti, specie dei gallaratesi. Tutti si avviarono presso il proprio paese malcontenti e niente soddisfatti "massime quelli di Busto", che ritrovandosi come beffeggiati di tale incendio, seguitarono gran tempo a coglionare quelli di Gallarate, dicendogli "brusa balloni" e facendo anche satire per questo. Ma il più bello e da ridere si è che "dopo l'incendio del ballone formosi subito un grandissimo temporale e tutti vennero a casa inzuppati nell'acqua che parea fossero state un lago".
Da ciò derivò lo scherzoso appellativo di "brusa balloni" ai gallaratesi.

(Luigi Aspesi, Gallarate nella storia e nella tradizione
Società Gallaratese Studi Patri, 1978)



martedì 8 ottobre 2013

A Message from our Sponsors: Sing while you may


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La Buona Annata's History Channel: "You, too!"

Alle quattro e mezza del mattino del 14 luglio 1955 l'U-2 fu caricato su un C-124 e spedito in Nevada. Per il 4 agosto era stato montato ed era pronto a volare.
Il pilota del test, Tony LeVier, che aveva scelto come nome in codice per il progetto quello di Anthony Evans, aveva quarantadue anni, era all'apice di una carriera in cui aveva tirato il collo al P-38, per la Lockheed, e poi aveva fatto volare il primo aereo della Skunk Works, il jet XP-80. Aveva quattordici anni quando Lindbergh sorvolava l'Atlantico, e aveva immediatamente cominciato a guadagnare qualche soldo raccogliendo vecchi copertoni e altra robaccia nella sua Whittier, in California, pagando cinque dollari per la sua prima gita in aereo. Cominciando con il Waco 10, su cui volò d asolo, tre anni dopo, LeVier avrebbe fatto volare più di duecentocinquanta velivoli. Per l'epoca in cui era giunto alla Lockheed, nel 1941, era già ben noto come stuntman e come pilota acrobatico. Fece volare aerei esotici come il Mendenhall Special dal lago asciutto di Muroc, nel 1936, e vinse importanti trofei su un velivolo chiamato Schoenfeldt Firecracker. 
Alla Lockheed, fu immediatamente d'aiuto nel risolvere lo strano problema di compressione ad alta velocità dei P-38 - precursore delle onde d'urto alla barriera del suono - e avrebbe passato nell'abitacolo più ore di qualunque altro pilota di test. Nel giugno del 1944 effettuò il primo volo con l'XP-80, e quindi fece volare il suo successore, l'XP-80A, detto 'Fantasma Grigio' - quello che , tra tutti gli aerei che aveva fatto volare, era arrivato più vicino ad ammazzarlo.
Nel marzo del 1945 LeVier stava spingendo il jet oltre gli 880 chilometri orari, quando la pala di una turbina cedette e si trovò nei guai per l'improvvisa mancanza di una coda. L'aereo cominciò a cadere, e LeVier riuscì a malapena a raggiungere la manopola per il rilascio del tettuccio. Quando lo fece, la manopola gli rimase in mano. Tastando dietro il sedile, afferrò il cavo. Infine, l'aereo si ribaltò e lo buttò fuori, LeVier si accovacciò, formando una palla, aspettando che ciò che restava dell'aereo lo colpisse. Ad appena mille metri di altezza, riuscì finalmente a far aprire il paracadute.
Eppure, nonostante tutte le volte che l'aveva scampata a malapena e nonostante la sua stravaganza, LeVier divenne il più scientifico e prudente tra i piloti di test. Non era un tipo alla Yeager, con gli occhi strabuzzati, ma era ossessionato dalla sicurezza. Aveva visto morire troppa gente. Dopo il ritiro, avrebbe fondato un'organizzazione in cui insegnava pratiche di volo migliori e più sicure, ed era continuamente frustrato dalla mancanza di sostegno da parte del governo e dell'industria. Creò sistemi di sicurezza pratici e basilari come il sistema principale di luci d'allarme, l'interruttore sulla leva di controllo e l'accensore 'afterburner'.
Con l'U-2, LeVier non intendeva prendersi più rischi del necessario. Era difficile vedere fuori dall'abitacolo e ricavare un senso dell'orizzonte; volle quindi che la pista d'atterraggio recasse una serie di segnali dipinti sull'asfalto, ma Kelly Johnson, sempre attento ai soldi, trovò un po' eccessiva la spesa di quattrocento dollari. Alla fine LeVier fece mettere delle strisce di nastro sul tettuccio, per indicare l'orizzonte reale.
U-2 - Utilità 2 - era l'etichetta innocua e non impegnativa dell'aereo. Ma sulla fonte di quel nome circolava un'altra storia. 
Le lunghe ali dell'aereo gli conferivano una spinta tale che atterrare era difficile. Il primo volo si verificò per caso: Le Vier aveva portato fuori l'aereo per un test a terra, ma l'U-2 decollò. "Andò su come un angelo con la nostalgia di casa" disse poi Le Vier, più per amor di citazione che per altro. "Vola come una piccola cimice." L'unico problema era che non voleva scendere. Dall'aereo che seguiva da presso l'U-2, Johnson chiedeva con insistenza a LeVier di atterrare a muso in giù, ma l'aereo continuava a stare a muso alto - e tendeva quindi a scendere in 'ground effect', con la vicinanza del terreno che contribuiva a un suo ulteriore sollevamento e provocava un dimenarsi sul davanti e a poppa, il 'porpoise'. Dopo cinque o sei tentativi, con ira crescente da ambedue le parti, LeVier arrivò e atterrò nel modo che aveva deciso fin dal primo momento - stallò l'aereo per farlo scendere.
Una volta atterrati, Johnson e LeVier continuarono a litigare. "Che diavolo stavi cercando di fare, ammazzarmi?" diceva LeVier. Mostrò il medio a Johnson. "Be', vaffanculo."
"E vaffanculo anche tu" rispose Johnson.
Quell'anche tu, you, too, rimase appiccicato all'aereo. O almeno così dice la leggenda. 
A pochi minuti dall'atterraggio cominciò un acquazzone violentissimo, il primo da mesi.
Quella notte ci fu una gran baldoria a base di birra e braccio di ferro che Kelly, orgoglioso della forza che aveva acquisito con le assi in gioventù, incoraggiava sempre. "Hai fatto un lavoro meraviglioso" disse a LeVier, ormai calmo. Quando fecero a braccio di ferro, Johnson stese subito LeVier.
Il mattino successivo, LeVier comparve col braccio fasciato, volendo rendere pubblico il fatto che Johnson aveva ferito il suo capo pilota per i test. Ma Johnson non ricordava nulla della notte precedente.

(Phil Patton, Dreamland. Un reportage dall'Area 51. Fanucci, 2001)





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La Buona Annata's Literary Supplement: Gli spettri sulla corda

Enrico Morovich, Gli spettri sulla corda
Due briganti decisero di ammazzare Silvestro e la moglie per derubarli. Andarono alla loro casa di notte e, incoraggiati dalla solitudine, batterono alle finestre, imponendo di aprire. Ma Silvestro aveva a cena due gendarmi, che si nascosero dietro una tenda, e quando i banditi entrarono colle pistole spianate si presero ognuno una fucilata in petto.
Dopo qualche tempo i fantasmi dei due briganti decisero di vendicarsi di Silvestro facendolo morire di paura. Sapendolo all'osteria lo attesero nell'orto e siccome l'aspettare li stancava si posarono sopra una corda tirata tra due pali.
Quando Silvestro rientrò era brillo. Ma, non ostante la sbornia, capì che la moglie aveva steso la biancheria perché asciugasse col vento della notte. Solo che aveva dimenticato di fermarla, correndo il rischio di non ritrovarla il giorno dopo. Silvestro entrò in casa, cercò i fermagli di legno e tornato fuori assicurò gli spettri sulla corda della biancheria.

(Italia magica. Racconti surreali novecenteschi scelti e 
presentati da Gianfranco Contini. Einaudi, 1988)





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