Peccato. Sono passato davanti a lui facendo un lungo giro tortuoso, per non dargli la sensazione di un prepotente sopruso. Sono sicuro che non si è accorto di niente. Di certo neanche i tanti altri che ho superato prima di lui hanno capito la ragione delle mie delicate precauzioni. Quelli che verranno dopo nell'ordine, cercherò di portarli lontano col pensiero dalla mia prudente azione di superamento. Tutto questo costante impiego di energie volte all'unico definitivo risultato è sostenuto da una sottilissima concentrazione. Più il cerchio si allarga, meno si fa evidente agli altri il mio inarrestabile progredire. Quanti, come me, ho superati! Di loro ricordo la nuca fissata mentre avanzavo con implacabili giri. Quanti ancora ne dovrò sopravanzare, per sentirmi sicuro che non resterò dimenticato in coda? Peccato che un arresto involontario, ma prestabilito (ne sono certo, anche se ignoro da chi), stia rivelando davanti a me una nuca già vista. E la mia nuca davanti a una nuca già vista. Dietro, una nuca già vista davanti. Qualcuno ha fissato le distanze e rende assolutamente inutili le mie straordinarie attitudini.
La strada diritta. Le gambe non mi servono più. Anche le braccia, che dopo laboriosi tentativi ero riuscito ancora una volta a sollevare all'altezza delle spalle, ora mi ricadono inerti lungo i fianchi. Il peso del capo mi schiaccia il mento sul petto e i miei occhi socchiusi vedono soltanto la punta del naso. Proprio ora che dentro di me si è fatto strada un ordine preciso, maturato col tempo, arricchito per via da mille dubbi risolti o anche soltanto tenuti sospesi. Infatti, ora so che le braccia non possono mulinare, né le gambe, lanciate in un galoppo incosciente, tener dietro l'una all'altra, girando intorno intorno in cerchi l'uno all'altro uguali per trovare nel centro dei centri la fine. Eppure sarebbe bastato che qualcuno cui poter credere, ma non l'ho conosciuto, vedendomi passare di slancio dicesse: "Arrèstati. E' tempo perduto. La strada è diritta e l'inizio non vede la fine".
Se avessi saputo. Se avessi saputo, non avrei lasciato crescere la casa alta sul prato. Avrei fermato il tetto all'altezza del fungo porcino, sottoterra. Invece, avrei scavato la nicchia del fuoco e, scolpito il mio letto fra le radici della pianta più solida, avrei sistemato lì accanto la botte del vecchio vino. Avrei stretto le mani intorno, e avrei detto bene bene, perché no, perché no. Io non voglio decidere niente. Lasciatemi andare per la mia strada.
(Felice Andreasi. L'uomo spaventoso. Il Formichiere, 1974)
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