lunedì 29 settembre 2014

Work

Prima che mi sparassero, avevo sempre pensato di non essere del tutto presente: ho sempre avuto l'impressione non di vivere, ma di guardare la TV. Spesso si dice che il modo in cui le cose avvengono nei film è irreale, ma è come accadono nella vita che è irreale. I film mostrano emozioni forti e reali, ma quando ti capita qualcosa davvero, è come guardare la TV: non senti niente.
Da quando sono stato ferito ho saputo che stavo guardando la TV. I canali cambiano, ma la televisione è sempre la stessa. Quando si è veramente interessati a qualcosa, di solito è perché si sta pensando a qualcos'altro. Quando sta succedendo qualcosa, si fantastica qualcos'altro. Quando mi sono svegliato in quel luogo - non sapevo di essere all'ospedale e che Bobby Kennedy fosse stato colpito il giorno dopo di me - ho sentito voci parlare di migliaia di persone che pregavano a St. Patrick, e poi ho sentito la parola "Kennedy" e questo mi ha riportato al mondo della televisione e mi sono reso conto che ero ancora vivo, nel dolore.
Come dicevo mi hanno sparato sul posto di lavoro: la Andy Warhol Enterprises. In quel periodo, nel 1968 la Andy Warhol Enterprises consisteva di poche persone che lavoravano per me con una certa continuità, di molti indipendenti che lavoravano su progetti specifici, e di molte "superstar" o "iperstar", o comunque si voglia chiamare la gente molto dotata, ma di un talento che è difficile definire ed impossibile commercializzare. Era questo, in quei giorni, lo "staff" di Andy Warhol. Un intervistatore mi ha fatto, una volta, molte domande su come dirigo l'ufficio, ed io ho cercato di spiegargli come non sia veramente io a dirigere l'ufficio ma lui a dirigere me. Ho usato molte frasi del genere "guadagnarsi la pagnotta", e lui non capiva molto bene di cosa stessi parlando.
Per tutto il tempo in cui sono rimasto all'ospedale, lo "staff" ha continuato a lavorare, così mi sono reso conto che avevo veramente messo su un business dinamico che procedeva anche senza di me. Ne sono stato contento perché avevo già deciso che il business era la migliore forma d'arte.
La Business Art è il gradino subito dopo l'arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business. Dopo aver fatto la cosa chiamata "arte", o comunque la si voglia chiamare, mi sono dedicato alla Business Art. Voglio essere un Business-Man dell'Arte o un Artista del Business. Essere bravi negli affari è la forma d'arte più affascinante. Durante l'epoca hippy la gente aveva rifiutato l'idea del business e diceva: "I soldi fanno schifo" e "Lavorare fa schifo", ma far soldi è un'arte, lavorare è un'arte, fare buoni affari è la migliore forma d'arte.
All'inizio, non proprio tutto era organizzato alla Andy Warhol Enterprises. Siamo passati dall'arte al business, quando ci siamo messi d'accordo con un teatro per fornirgli un film alla settimana. La nostra produzione è diventata commerciale e siamo passati dai corto ai lungometraggi. Abbiamo imparato qualcosa sulla distribuzione e in breve tempo abbiamo provato a metterci a distribuire i nostri film da soli, ma altrettanto in fretta ci siamo accorti che era troppo difficile. Non mi aspettavo che i nostri film fossero commerciabili. Mi bastava che l'arte fosse entrata nel flusso del commercio, nel mondo reale, in una sala cinematografica, invece che nel mondo dell'arte. La Business Art. Il Business dell'Arte. Il Business della Business Art.
Mi è sempre piaciuto lavorare con gli scarti. Cose che vengono scartate, che non sono buone e tutti lo sanno: ho sempre pensato che hanno un grande potenziale di divertimento. E' un lavoro di riciclaggio. Ho sempre pensato che ci fosse più humour negli scarti. Quando vedo un vecchio film di Esther Williams, con le solite cento ragazze che si tuffano dall'altalena, penso a come dovevano essere le audizioni, e a tutte le riprese nelle quali poteva capitare che una delle ragazze non avesse il coraggio di saltare quando doveva, e penso a lei, scartata, sull'altalena. La ripresa diventava uno scarto sul pavimento della sala di montaggio - e a quel punto anche la ragazza diventava uno scarto: era probabilmente silurata.
La scena senza tagli sarebbe stata molto più divertente della scena dove le cose erano tutte a posto. La ragazza che non aveva fatto il tuffo, era la star della scena tagliata.
Non voglio dire che il gusto popolare sia cattivo e che tutto ciò che viene scartato dal cattivo gusto sia buono: ciò che voglio dire è che gli scarti sono probabilmente brutte cose, ma che se riesci a lavorarci un po' sopra e renderle belle o almeno interessanti, c'è molto meno spreco. Fai un lavoro di riciclaggio e ricicli persone e mandi avanti i tuoi affari, che sono i prodotti secondari di altri affari. Altri affari che in realtà sono direttamente competitivi. Come si capisce è una procedura operativa molto economica. Ed è anche la più divertente perché, come ho già detto, gli scarti sono intrinsecamente divertenti. La vita a New York fornisce molti incentivi a volere ciò che gli altri non vogliono: a volere tutta la roba di scarto.
C'è tanta gente con cui competere qui, che l'unica speranza di avere qualcosa sta nel cambiare i propri gusti e volere ciò che gli altri non vogliono. A New York, per esempio, nelle belle giornate di sole c'è tanta gente a Central Park che non si riesce nemmeno a vedere, fra tutti quei corpi. Ma se invece esci molto presto, in quelle tremende domeniche di pioggia, quando nessuno vuole alzarsi e nessuno vuole uscire, anche se è già in piedi, allora troverai bellissimo passeggiare ed avere le strade tutte per te.
Quando non avevamo i soldi per fare dei lungometraggi, con quelle migliaia di tagli e tutte le riprese da ripetere ecc., tentai di semplificare il nostro modo di fare i film, usando ogni metro di pellicola che avevamo girato, perché costava meno ed era anche più facile e divertente. Ed inoltre non avremmo avuto più scarti. Nel 1969 poi cominciammo a montare i nostri film, ma anche così ho continuato a preferire gli scarti. Le scene tagliate sono tutte magnifiche. Le conservo scrupolosamente. Soltanto in due casi faccio un'eccezione per quanto riguarda la mia filosofia d'uso degli scarti: 1) il mio cane, e 2) il cibo. So che sarei dovuto andare al canile a prendermi il cane, ma invece me lo sono comprato. E' successo poco tempo fa. Me ne sono innamorato a prima vista e me lo sono comprato: in questo caso le emozioni mi hanno fatto abbandonare il mio solito stile. 
Devo ammettere anche che non riesco a tollerare di mangiare degli scarti. Il cibo è la mia grande stravaganza. Devo dire che mi vizio, salvo poi cercare di compensare, mettendo scrupolosamente via ogni avanzo per portarlo in ufficio o lasciarlo in strada dove può essere riciclato. La mia coscienza non mi lascia cacciare via niente, neanche se una cosa non la voglio proprio. Come ho già detto, mi vizio per quanto riguarda il cibo. E capita quindi spesso che i miei scarti siano scarti lussuosi: il gatto del mio parrucchiere mangia paté almeno due volte alla settimana. Di solito gli avanzi sono avanzi di carne, perché spesso ne compro un pezzo molto grosso, mi metto a cucinarlo per cena, e proprio quando è lì lì per essere pronto, mi arrendo e mangio ciò che volevo mangiarmi fin dall'inizio: pane e marmellata. Mi racconto solo delle storie quando mi propongo di cucinare delle proteine: l'unico mio vero desiderio è lo zucchero. Il resto è solo tutta apparenza: è che non puoi invitare a pranzo una principessa e ordinare per antipasto un biscotto, per quanto lo desideri ardentemente. La gente si aspetta che mangi proteine e tu le mangi per non farla parlare. (Se hai deciso invece di fare il cocciuto e di ordinarti il biscotto, va a finire che ti tocca discutere del perché lo hai fatto e di tutta la tua filosofia riguardo il mangiare un biscotto a cena. E sarebbe veramente un problema, per cui ordini l'agnello e lasci perdere).

(Andy Warhol, La filosofia di Andy Warhol. Costa & Nolan, 1983)






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