Prima che mi sparassero, avevo sempre pensato di non essere del tutto presente: ho sempre avuto l'impressione non di vivere, ma di guardare la TV. Spesso si dice che il modo in cui le cose avvengono nei film è irreale, ma è come accadono nella vita che è irreale. I film mostrano emozioni forti e reali, ma quando ti capita qualcosa davvero, è come guardare la TV: non senti niente.
Da quando sono stato ferito ho saputo che stavo guardando la TV. I canali cambiano, ma la televisione è sempre la stessa. Quando si è veramente interessati a qualcosa, di solito è perché si sta pensando a qualcos'altro. Quando sta succedendo qualcosa, si fantastica qualcos'altro. Quando mi sono svegliato in quel luogo - non sapevo di essere all'ospedale e che Bobby Kennedy fosse stato colpito il giorno dopo di me - ho sentito voci parlare di migliaia di persone che pregavano a St. Patrick, e poi ho sentito la parola "Kennedy" e questo mi ha riportato al mondo della televisione e mi sono reso conto che ero ancora vivo, nel dolore.
Come dicevo mi hanno sparato sul posto di lavoro: la Andy Warhol Enterprises. In quel periodo, nel 1968 la Andy Warhol Enterprises consisteva di poche persone che lavoravano per me con una certa continuità, di molti indipendenti che lavoravano su progetti specifici, e di molte "superstar" o "iperstar", o comunque si voglia chiamare la gente molto dotata, ma di un talento che è difficile definire ed impossibile commercializzare. Era questo, in quei giorni, lo "staff" di Andy Warhol. Un intervistatore mi ha fatto, una volta, molte domande su come dirigo l'ufficio, ed io ho cercato di spiegargli come non sia veramente io a dirigere l'ufficio ma lui a dirigere me. Ho usato molte frasi del genere "guadagnarsi la pagnotta", e lui non capiva molto bene di cosa stessi parlando.
Per tutto il tempo in cui sono rimasto all'ospedale, lo "staff" ha continuato a lavorare, così mi sono reso conto che avevo veramente messo su un business dinamico che procedeva anche senza di me. Ne sono stato contento perché avevo già deciso che il business era la migliore forma d'arte.
La Business Art è il gradino subito dopo l'arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business. Dopo aver fatto la cosa chiamata "arte", o comunque la si voglia chiamare, mi sono dedicato alla Business Art. Voglio essere un Business-Man dell'Arte o un Artista del Business. Essere bravi negli affari è la forma d'arte più affascinante. Durante l'epoca hippy la gente aveva rifiutato l'idea del business e diceva: "I soldi fanno schifo" e "Lavorare fa schifo", ma far soldi è un'arte, lavorare è un'arte, fare buoni affari è la migliore forma d'arte.
All'inizio, non proprio tutto era organizzato alla Andy Warhol Enterprises. Siamo passati dall'arte al business, quando ci siamo messi d'accordo con un teatro per fornirgli un film alla settimana. La nostra produzione è diventata commerciale e siamo passati dai corto ai lungometraggi. Abbiamo imparato qualcosa sulla distribuzione e in breve tempo abbiamo provato a metterci a distribuire i nostri film da soli, ma altrettanto in fretta ci siamo accorti che era troppo difficile. Non mi aspettavo che i nostri film fossero commerciabili. Mi bastava che l'arte fosse entrata nel flusso del commercio, nel mondo reale, in una sala cinematografica, invece che nel mondo dell'arte. La Business Art. Il Business dell'Arte. Il Business della Business Art.
Mi è sempre piaciuto lavorare con gli scarti. Cose che vengono scartate, che non sono buone e tutti lo sanno: ho sempre pensato che hanno un grande potenziale di divertimento. E' un lavoro di riciclaggio. Ho sempre pensato che ci fosse più humour negli scarti. Quando vedo un vecchio film di Esther Williams, con le solite cento ragazze che si tuffano dall'altalena, penso a come dovevano essere le audizioni, e a tutte le riprese nelle quali poteva capitare che una delle ragazze non avesse il coraggio di saltare quando doveva, e penso a lei, scartata, sull'altalena. La ripresa diventava uno scarto sul pavimento della sala di montaggio - e a quel punto anche la ragazza diventava uno scarto: era probabilmente silurata.
La scena senza tagli sarebbe stata molto più divertente della scena dove le cose erano tutte a posto. La ragazza che non aveva fatto il tuffo, era la star della scena tagliata.
Non voglio dire che il gusto popolare sia cattivo e che tutto ciò che viene scartato dal cattivo gusto sia buono: ciò che voglio dire è che gli scarti sono probabilmente brutte cose, ma che se riesci a lavorarci un po' sopra e renderle belle o almeno interessanti, c'è molto meno spreco. Fai un lavoro di riciclaggio e ricicli persone e mandi avanti i tuoi affari, che sono i prodotti secondari di altri affari. Altri affari che in realtà sono direttamente competitivi. Come si capisce è una procedura operativa molto economica. Ed è anche la più divertente perché, come ho già detto, gli scarti sono intrinsecamente divertenti. La vita a New York fornisce molti incentivi a volere ciò che gli altri non vogliono: a volere tutta la roba di scarto.
C'è tanta gente con cui competere qui, che l'unica speranza di avere qualcosa sta nel cambiare i propri gusti e volere ciò che gli altri non vogliono. A New York, per esempio, nelle belle giornate di sole c'è tanta gente a Central Park che non si riesce nemmeno a vedere, fra tutti quei corpi. Ma se invece esci molto presto, in quelle tremende domeniche di pioggia, quando nessuno vuole alzarsi e nessuno vuole uscire, anche se è già in piedi, allora troverai bellissimo passeggiare ed avere le strade tutte per te.
Quando non avevamo i soldi per fare dei lungometraggi, con quelle migliaia di tagli e tutte le riprese da ripetere ecc., tentai di semplificare il nostro modo di fare i film, usando ogni metro di pellicola che avevamo girato, perché costava meno ed era anche più facile e divertente. Ed inoltre non avremmo avuto più scarti. Nel 1969 poi cominciammo a montare i nostri film, ma anche così ho continuato a preferire gli scarti. Le scene tagliate sono tutte magnifiche. Le conservo scrupolosamente. Soltanto in due casi faccio un'eccezione per quanto riguarda la mia filosofia d'uso degli scarti: 1) il mio cane, e 2) il cibo. So che sarei dovuto andare al canile a prendermi il cane, ma invece me lo sono comprato. E' successo poco tempo fa. Me ne sono innamorato a prima vista e me lo sono comprato: in questo caso le emozioni mi hanno fatto abbandonare il mio solito stile.
Devo ammettere anche che non riesco a tollerare di mangiare degli scarti. Il cibo è la mia grande stravaganza. Devo dire che mi vizio, salvo poi cercare di compensare, mettendo scrupolosamente via ogni avanzo per portarlo in ufficio o lasciarlo in strada dove può essere riciclato. La mia coscienza non mi lascia cacciare via niente, neanche se una cosa non la voglio proprio. Come ho già detto, mi vizio per quanto riguarda il cibo. E capita quindi spesso che i miei scarti siano scarti lussuosi: il gatto del mio parrucchiere mangia paté almeno due volte alla settimana. Di solito gli avanzi sono avanzi di carne, perché spesso ne compro un pezzo molto grosso, mi metto a cucinarlo per cena, e proprio quando è lì lì per essere pronto, mi arrendo e mangio ciò che volevo mangiarmi fin dall'inizio: pane e marmellata. Mi racconto solo delle storie quando mi propongo di cucinare delle proteine: l'unico mio vero desiderio è lo zucchero. Il resto è solo tutta apparenza: è che non puoi invitare a pranzo una principessa e ordinare per antipasto un biscotto, per quanto lo desideri ardentemente. La gente si aspetta che mangi proteine e tu le mangi per non farla parlare. (Se hai deciso invece di fare il cocciuto e di ordinarti il biscotto, va a finire che ti tocca discutere del perché lo hai fatto e di tutta la tua filosofia riguardo il mangiare un biscotto a cena. E sarebbe veramente un problema, per cui ordini l'agnello e lasci perdere).
(Andy Warhol, La filosofia di Andy Warhol. Costa & Nolan, 1983)
Registrato nella madrepatria ma pubblicato in Francia, terra di elezione di Kevin Ayers, Still Life with Guitar è il penultimo album del musicista inglese. Bisognerà attendere ben quindici anni prima di poter vedere un suo lavoro nei negozi di dischi: il testamento umano e artistico The Unfairground del 2007. Caldo e avvolgente come una serata fra vecchi amici il disco si avvale di uno stuolo impressionante di collaboratori: dal fido Ollie Halsall a Mike Oldfield, Anthony Moore (Slapp Happy, Henry Cow), Danny Thompson (Pentangle), Gavin Harrison (King Crimson, Porcupine Tree). Curiosamente, ma nemmeno troppo, almeno un paio di brani riecheggiano la scrittura di Lou Reed. Ayers e Reed, due artisti che all'epoca avevano raggiunto una maturità tale da non sentire più la necessità di dover dimostrare qualcosa, due grandi artisti che non ci stancheremo mai di riascoltare.
Dato che non avevo più sentito niente da un pezzo, andai al suo laboratorio e bussai: bip-bip, bam-bam. - Ehi, avanti - disse la voce di Stromberg, e mi chiamò per nome.
Conosco Stromberg da trentotto anni, e quell'immediato riconoscimento del mio modo di bussare, quell'immediato Ehi, avanti! sono cose di cui vado molto, molto fiero. Non ho mai capito come me le sono guadagnate. Una volta ho saputo da terze persone che a lui faceva piacere avermi intorno perché con me poteva parlare di tutto, ma proprio di tutto, di tutte le cose che fanno ribollire di continuo quel suo cervello grandioso: fisica, chimica, arte, musica, poesia, gastronomia, amore, politica, filosofia, umorismo. Però l'ho detto in modo sbagliato. Lui poteva parlare a me. Non con me. Nessuno poteva parlare con lui di quelle cose. Non di tutte quelle cose.
Così entrai e attraversai l'ufficio buio e arrivai al laboratorio, con le file di boccette, le cappe, il bellissimo labirinto di tubi di cristallo, il computer con il mormorio visivo delle spie luminose e dello schermo, rosso e arancione e bianco e verde, l'enorme tabellone sopra il banco dell'elettronica con le file di utensili e le lucide scatole nere e i fasci di fili, come cortei di serpentelli ammaestrati con le fauci di cromo. Attraverso una porta interna, intravvedevo il laboratorio di chimica e biologia dove, se gli schermi mormoravano con le luci, lo scintillio dei vetri era un bisbiglio complesso. Intorno alla parete di fondo, dove adesso non potevo vederli, sapevo che c'erano gabbie e strumenti chirurgici, un lavabo con le valvole controllate, un tavolo da veterinario di acciaio inossidabile, microscopi, microtomi, due centrifughe, uno sterilizzatore e un lavello. Due pareti intere, fino al soffitto, erano armadi di sostanze chimiche, con gli sportelli di vetro. Al di là di un'altra porta, lo sapevo, c'era una biblioteca con il suo terminale del computer per rintracciare istantaneamente la posizione dei volumi e per consultare le fonti esterne.
Il laboratorio principale dov'ero appena entrato era illuminato soltanto dalla luce gialla che entrava dalla porta aperta dello stanzino dove Stromberg teneva soltanto la branda e il caffè, e un abbagliante cono di fluorescenza "a giorno" che usciva dal soffitto. Su un basso sgabello, al centro del disco di luce, stava seduto Stromberg, vestito per metà - la metà superiore - e con le gambe allungate e allargate, rispettivamente verso sud e verso ovest; e si ungeva la zona pubica con una densa pasta grigio-blu. Mi rivolse un sorriso, disse: - Niente di allarmante - e continuò con il suo lavoro.
Io non avevo niente da dire e perciò non dissi niente mentre lui finiva. Poi si asciugò le dita con una serie di fazzoletti di carta, rimise il coperchio al barattolo di pasta, applicò vari tamponi di garza sulla parte trattata, dove aderirono entusiasticamente, e si alzò. Lo seguii nella stanza branda-e-caffè. - Non avevo bisogno di dirlo - fece sorridendo Stromberg. - Di non allarmarti. Non avevo bisogno di dirlo a te. Tu hai una virtù... nessuno te lo ha mai detto? Sembra che accetti tutto. Non giudichi. Non applichi metri morali e sociali a ciò che fanno gli altri. Assorbi e aspetti. E' molto simpatico. - Entrò nel piccolo bagno d'angolo e si lavò le mani con impegno, come un chirurgo. - Fai il caffè.
Era già fatto. Preparai il mio, miele e latte, e il suo, senza aggiunte, nelle grosse tazze di ceramica. Avrei potuto correggere il suo riconoscimento. Ho molti pregiudizi e faccio valutazioni morali come chiunque altro, forse un po' più della media. Quello che Stromberg non poteva sapere era che io non li applicavo a lui, non volevo e non potevo. Tanto per dare un esempio immediato, quando uscì dal bagno indossando soltanto una maglietta, con l'apostrofe mascolina sporgente da un nido di garza bianca appiccicata che si macchiava lentamente di grigio, non lo si poteva dire ridicolo. Stromberg non era mai ridicolo. Non per me.
Aprì un cassetto a muro e tirò fuori un paio di calzoncini bianchi da pugile e una tuta bianca, di quelle che si usano e poi si buttano via. Li indossò e infilò i piedi nelle pantofole, prese da un altro cassetto un grosso sacco di plastica, lo aprì e me lo porse. Spogliò completamente la branda, arrotolando il materasso di gommapiuma, i lenzuoli e le coperte, e mentre io tenevo aperto il sacco, cacciò dentro tutto quanto. Chiuse il sacco rigirandone l'imboccatura, andò nell'ufficio e tornò con una grossa etichetta, rossa e vistosa, con la scritta: CONTAMINATO.
- Vai a lavarti le mani - disse, trascinando il sacco verso la porta d'ingresso. - Non è letale - mi assicurò mentre entravo nel bagno.
Nel bagno c'erano scritte sui muri. Non molte.
NIENTE E' SEMPRE ASSOLUTAMENTE COSI'.
"E = MC2 può essere dopotutto un fenomeno locale."
Albert Einstein
"Una risposta qualunque non è necessariamente l'unica risposta."
Charles Fort
...e, sorprendentemente:
TU GONFIA LA MIA MENTE
e
IO SUCCHIERO' LA TUA
- Joey si è fratturato il pollice - dissi io, uscendo dal bagno.
- Fratturato? Come? Quando? Con che cosa? E'...
Alzai le mani per placarlo. Qualche volta Stromberg è capace di parlare così, a mitraglia. - Una frattura semplice, tre settimane fa, nessuna complicazione. Ha infilato il pollice fra i raggi della puleggia della mola per pietre preziose.
- Perché non c'era sopra una protezione?
- La protezione c'è. Lui l'ha sollevata per mostrare a un altro ragazzino perché c'era.
La tensione defluì dalle spalle e dal collo di Stromberg e increspò gli angoli della bocca, prima di sparire. Lui alzò la mano sinistra e agitò il mignolo. Così flesso, era un po' fuori allineamento alla seconda giuntura. Non l'avevo mai notato. - Anch'io ho fatto la stessa cosa quando avevo la sua età - disse. - Bene... Come va Curie?
- Perfettamente. Sta incominciando a scoprire che essere una ragazza non è la stessa cosa che essere un ragazzino.
A lui piacque quella risposta. Sapevo che gli sarebbe piaciuta. Mi guardò con gli occhi che brillavano e disse, scherzando: - Sciovinismo incipiente?
- Mio, non suo. Mai suo.
Andammo nel laboratorio principale, e lui raccolse l'unguento e i fazzolettini di carta che aveva lasciato sul pavimento vicino allo sgabello. Molto ordinato. Finalmente lo chiese; doveva farlo.
- Mitty?
- Benone. Benone. Ha portato i bambini ad Arrowhead per una settimana. Ha un cappotto verde nuovo.
- Senti, è felice?
Dovetti attendere un po' prima di rispondere a questa domanda. - Più felice - dissi, cautamente.
- E' logico. - Lui annuì, poi annuì di nuovo. Nessun posto dove andare, se non su. - Io... capiterò presto da quelle parti, andrò a trovarli.
- Buona idea.
Mi lanciò una di quelle sue occhiate speciali. Quando fa così, ti fa sbattere le palpebre. I laser non hanno bisogno di mirini. - Li vedi spesso.
- Uhm. - Quasi tutti i giorni, e molte sere, ma non c'era bisogno di dirlo.
- Bene. - Stromberg rimase per un momento immobile, poi fece un suo gesto caratteristico, alzando le mani e lasciandole ricadere contro le cosce. Cambiò d'argomento. Andò alla porta dell'ufficio e fece scattare gli interruttori. Le lampade si accesero, sotto i paralumi al disopra dei banchi lontani, e il cono che feriva gli occhi e che scendeva dal soffitto si spense. Era molto più piacevole, così.
- Tanto, tutto fa parte di tutto - disse lui.
- Chi l'ha detto? - Perché sapevo che era una citazione.
- Donovan, il cantante. E anche l'I Ching, i bastoncini del joss, le viscere di pecora, e io.
- Okay. - Poi attesi.
- "Per misurare un cerchio, incomincia da un punto qualunque."
Sapevo di chi era quella frase. Era di Charles Fort.
Finalmente, lui trovò un punto dove incominciare. E aveva ragione, avrebbe potuto cominciare da qualunque punto. Lo conoscevo, l'avevo già visto di quell'umore. Faceva perdere la pazienza a molti, con il modo in cui passava da una cosa all'altra, anche se con autorevolezza; loro volevano un titolo preciso, come l'etichetta su un barattolo d'unguento per sapere in anticipo cosa c'era dentro, di che cosa era fatto, a che serviva. Con Stromberg, bisognava aspettare mentre lui fabbricava un mattone, lo metteva da parte, aspettare mentre tagliava una trave e la metteva da parte, aspettare mentre lui fabbricava i chiodi e il catrame e le condutture e le finestre a saliscendi. Quando aveva finito, era un edificio: di questo si poteva star sicuri.
- Certuni - disse, - hanno il dono, o forse è l'afflizione, di una scala temporale diversa da quella degli altri. Non pensano in termini biografici... voglio dire, la mia epoca, le cose da quando io sono nato, o nel mio tempo storico, il misero trascorrere del tempo... - e schioccò le dita - ... da quando abbiamo incominciato a scrivere le nostre avventure e le nostre menzogne su quelle avventure. Pensano in termini di tempo geologico, di tempo astronomico, di tempo cosmologico. Sto parlando degli idioti appassionati di fantascienza, che la leggono e la scrivono. Begli scienziati. Bei filosofi.
- Bei mistici. - Non avrei dovuto interromperlo. Sapevo che non era il caso. Ma lui quasi mi diede ragione.
- Può darsi. Forse, anche se io tendo a pensare che molti di loro, molti compositori e artisti e anche la più vasta gamma dei teologi, partono perpendicolarmente rispetto a quella che io vedo come la linearità delle cose, il progresso dalla causa all'effetto. Non so. Forse questo dà loro una prospettiva importante quanto il pensiero del tempo cosmologico. Non so. Non so. Non si escludono a vicenda. C'è posto per tutti. L'universo è grande.
Sedemmo. Stromberg si sedette letteralmente sulle mani, adagio. - Mi sto sforzando di non grattarmi - spiegò. - Comunque, le persone con una mentalità del genere vengono considerate un po' meno che umane. Fredde. Indifferenti, prive di qualcosa... non è così. Non lo è. E' soltanto che i contratti di matrimonio e la cavalleria e il fatto che tu vada in chiesa o non o porti infilato nel naso l'osso distintivo del clan... queste cose non possono avere un gran peso di fronte alla presenza della deriva dei continenti e alla nascita e alla morte delle stelle. Puoi amarla e massaggiarle i piedi e cercare di procurarti i biglietti per la prima, per renderla felice, ma che cosa te ne fai della certezza che lei, e tu, e tutte le vostre opere e i vostri pensieri siete banalità? Soprattutto quando a lei non puoi dirlo. Mai, mai.
- Oh.
Mi lanciò un'occhiata. - Credo di aver sentito accendersi una luce.
- L'hai sentita. Non l'ho mai saputo veramente, prima. E soprattutto... lei non l'ha mai saputo, non lo sa. Crede di averti deluso. Ci soffre molto, i giornali: PREMIO NOBEL ALL'IPPODROMO. Il dottor Stromberg visto a Hollywood in compagnia di. Il dottor Stromberg fermato dopo una rissa al porto. Lei è convinta di essere responsabile di tutto.
- Bè, non lo è. - Lui agitò la mano in direzione del computer. - Quella è la responsabile. La grande estrapolazione. Ehi. Una volta ti sono stato vicino durante una cosa del genere. Tua sorella.
Annuii. Ancora adesso, mi torceva lo stomaco. - Aveva sfondato una porta a vetri. Faccia, mani, braccia, gambe. Sprizzava venti zampilli di sangue.
- Orribile - ammise lui. - Ma passato il pericolo immediato, dopo che l'avevano rimessa insieme e avviata sulla via di guarigione, che cosa ti ha fatto perdere la testa?
Lo ricordavo: - Che cos'ha fatto per meritarlo?
- Giusto. E io ho potuto dirti che "giusto" e "ingiusto" e "meritare" appartengono a un'altra scala, a un altro territorio e a un'altra lingua, a qualcosa di diverso dalla sequenza causa-ed-effetto che fece scorrere tutto quel sangue vergine.
- Mi fece bene.
- Sicuro. Purtroppo, è impossibile versare lo stesso balsamo su mia moglie senza insultarla.
Io dissi, cautamente: - E' stato così improvviso. Un giorno, un uomo, un uomo di famiglia molto abitudinario. Il giorno dopo, lettere di avvocati e banchieri, un accordo di divorzio sensazionale, e l'indomani incominciano i titoloni. E' troppo facile attribuirlo a un prurito della mezza età, all'inseguimento della gioventù che svanisce. E' successo qualcosa.
Lui annuì, si batté la mano sulla testa, poi rimise la mano sotto la natica destra. - Era tutto qui dentro, c'era da un pezzo. Ma quel giorno, per me si accesero le luci. - Accennò di nuovo ai computer.
Io aspettai fino a quando lui prese una decisione e cominciò a parlare. - Ascolta: "Lei ti ferisce, come ti ferisce una rosa, "Non sempre, come ti aspetti, con la spina. "Una rosa ti ferirà sempre con il suo rosa."
- Roba da pelle d'oca.
- Pelle d'oca. Giusto. Lo scrisse Harry Martinson, uno svedese. Pelle d'oca per Passacaglia e Fuga in Do minore di Bach, per l'ultimo movimento della Nona di Beethoven, per un aliante, per Nureyev, per Gagarin, che disse "Io sono un'aquila". Pelle d'oca per la volta di una cattedrale gotica e per Ellington e per Dylan Thomas. Pelle d'oca, se vuoi, per il pons asinorum e l'unghia del mignolo del tuo primo figlio. Ma con quale gigantesca arroganza attribuiamo importanza e permanenza a una di queste cose? Importanza per noi, dato che queste cose ci appartengono, naturalmente. Ma per un pidocchio? Cosa c'entra la trascendenza umana con un pidocchio, se non forse per il fatto che può indurre un singolo umano a stare un po' più fermo per farsi mordere?
"E con quale enorme presunzione crediamo che un pidocchio non abbia i suoi Shakespeare e i suoi Mozart? Nessuno ci ha mai pensato... mai. Tolleriamo un pidocchio non pensandoci, qualche volta non credendo che esista, ma quando ce ne accorgiamo, lo soffochiamo con il burro blu, senza pensare che tutti i pidocchi potrebbero avere in comune l'equivalente, per i pidocchi, di "Una città rosso-rosata, antica quanto la metà del tempo."
Si sporse in avanti e parlò, con terribile intensità. - Sta bene, ti dirò che cosa ho visto quando le luci si sono accese, quando il computer mi ha letto l'estrapolazione finale. Noi siamo tutti pidocchi sulla Terra, esseri viventi che vivono della sostanza della stessa terra. E fino ad ora la terra non ha saputo o non se ne è curata. Adesso sa, adesso se ne cura. Non come entità conscia, naturalmente: non ti racconto fesserie tipo "Quando la Terra urlò". Catena lineare di cause ed effetti; il caso rarissimo della nostra atmosfera e la sua speciale orchestrazione di componenti hanno prodotto la vita, e adesso la vita si è fatta notare abbastanza per sconvolgere l'equilibrio.
- Accidenti. Non ti sto parlando delle solite storie alla moda sull'ecologia e la conservazione dell'ambiente. La conservazione non servirà a nulla; siamo sul piano inclinato. La morte degli oceani e la perdita di un'atmosfera respirabile non sono la fine del mondo... il mondo, in se stesso, non finirà ancora per molti miliardi di anni.
"Nel suo modo passivo e inconsapevole, la Terra ha sempre lottato contro di noi. La lotta per l'esistenza, per la vita, è sempre stata una lotta perché per sua natura la Terra non ci voleva. Come noi con i pidocchi: possiamo sopportarlo finché non sentiamo il prurito. Bene, abbiamo fatto prurito alla Terra, e quando non abbiamo reagito a una grattatina o due, a un'epidemia o a un terremoto, è venuto il momento del burro blu.
"Adesso sta tornando indietro, fino in fondo, a metano e ammoniaca, a solfuro d'idrogeno, vapore acqueo e idrogeno per atmosfera, alle piogge cinquantennali e a una terra non protetta da uno strato di ozono. Non sarà esattamente l'atmosfera primordiale, ma qualcosa di molto simile, almeno per quel che riguarda la vita terrestre. Non sarà una sciocchezza come un'altra era glaciale. Sarà un netto ritorno a prima dell'inizio.
"Sarà così. Non sto fantasticando, non sto tirando a indovinare. Sarà così.
"E allora, quando l'ho scoperto, mi sono guardato... cinquantun anni, fedele, serio, un buon rischio per il credito. Non avevo mai bevuto o giocato d'azzardo, non mi ero mai azzuffato e non avevo rimorchiato una donna in un bar, non avevo mai pattinato o sciato, non avevo mai mangiato haggis o cuscus. Quindi adesso ho intenzione di vivere fino a quando morirò: voglio sentire, voglio essere. Ho denaro, e, finora, anche la salute, e perdio, ho intenzione di approfittarne!
Per un po' non riuscii a parlare. Quando ci riuscii, indicai i computer con un cenno e chiesi: - Allora non c'è proprio speranza?
Lui rise sonoramente. - Speranza? Certo che c'è speranza! Per la sua stessa natura, la Terra è condannata ad avere parassiti! - Liberò una mano e la batté sull'inguine. - Durante quel diluvio di unguento mercuriale - un rimedio antiquato ma efficiente - tra le grida di morte della civiltà dei pidocchi ho sentito la voce di un vecchio pidocchio filosofo che diceva: "Sperate, amici miei, sperate, sta soltanto preparando il terreno per un'altra dose di pidocchi." Sono sicuro che aveva ragione e quindi spero, per il futuro della pidocchieria, che il nuovo ambiente pulito produca un pidocchio che non prude.
Allora mi alzai e me ne andai, e andai in cerca di Mrs. Stromberg, per dirle il perché, se potevo.
(Theodore Sturgeon. Il mondo di Theodore Sturgeon. Editrice Nord, 1982)
Perché esistono diverse specie di morte: alcuni conservano il corpo, e di altri il corpo svanisce insieme allo spirito, ma questo di solito accade in solitudine (tale è il volere di Dio) e, non vedendo la sua fine, noi diciamo che l'uomo è morto o partito per un lungo viaggio - come infatti avviene. In una specie di morte, anche lo spirito muore, e questo può accedere pur rimanendo per molti anni il corpo vigoroso. Talora, come è testimoniato veridicamente, lo spirito muore insieme al corpo, ma dopo un certo tempo rivive nel luogo ove il corpo si è putrefatto. Hali
Stavo meditando le parole di Hali (che Dio gli dia pace) per penetrarne appieno il significato, come chi, cogliendo un'allusione, si domanda se dietro le parole non ci sia qualcosa d'altro, e non feci caso al luogo in cui mi ero smarrito. Finché un improvviso alito di vento freddo non risuscitò in me il senso di ciò che mi circondava. Con stupore osservai che nulla mi era familiare. Ai miei lati si stendevano campi desolati, fitti di alti arbusti secchi che frusciavano e stridevano nel vento autunnale, evocando suggestioni Dio sa quanto misteriose e inquietanti. In alto, a breve distanza l'uno dall'altro, si ergevano picchi cupi, che parevano aver stretto tra loro un'intesa e si scambiavano sguardi di dubbio significato, quasi levassero il capo a sorvegliare l'adempimento di un evento da lungo tempo previsto. Pochi alberi morti apparivano qua e là in quella malevola cospirazione di tacita attesa.
La giornata doveva essere vicino a concludersi. Sebbene sentissi l'aria fredda e cruda, la mia coscienza di questo fatto era più mentale che visiva; non provavo alcun senso di disagio. Su tutta la scena gravava un ammasso di nuvole basse, plumbee, come una visibile maledizione. C'era nell'aria una minaccia, il presagio di un prodigio, un che di malefico, un'allusione ad una sorte avversa. Non si vedevano uccelli, né animali, né insetti. Il vento sospirava tra i nudi rami degli alberi spogli, e l'erba verde si piegava a sospirare il suo terrificante segreto alla terra, ma nessun altro suono o movimento rompeva la spaventosa pace di quel luogo desolato.
Osservai tra l'erba numerose pietre consumate dal tempo, palesemente tagliate con arnesi maneggiati da mano umana. Spezzate, coperte di muschio, mezzo interrate; qualcuna a terra, altre inclinate ad angolazioni diverse, nessuna verticale. Erano ovviamente pietre tombali, sebbene le tombe da lungo tempo non esistessero più, nemmeno come tumuli o depressioni del terreno: gli anni avevano tutto livellato. Sparsi qua e là, dei blocchi più massicci indicavano dove tombe pompose e ambiziosi monumenti funerari erano stati un giorno eretti, a sfida dell'oblio. Così antichi apparivano quei relitti, quei vestigi della vanità umana, quei segni di affetto e di pietà, così rovinati, macchiati, disfatti, così negletto, deserto, abbandonato il luogo che non potei fare a meno di immaginarmi nelle vesti di uno che scopre casualmente un cimitero dove è sepolta una razza d'uomini preistorici, il cui nome è da secoli estinto.
Assorto in meditazione, per un po' dimenticai me stesso e i miei casi personali. Poi mi chiesi: "Come sono capitato qui?". Bastò un attimo di riflessione per rendermi tutto chiaro, e anche per spiegare, se pure in maniera inquietante, il singolare carattere di cui la mia fantasia rivestiva ciò che vedevo e sentivo. Io ero ammalato.
Adesso ricordavo di essere stato prostrato da una subitanea febbre. I miei familiari mi avevano raccontato come nel delirio gridassi senza sosta, chiedendo aria e libertà. Avevano dovuto legarmi al letto per impedirmi di fuggire all'aperto. E adesso, eludendo la vigilanza di chi mi assisteva, ero riuscito ad evadere ed ero qui! Qui, dove? Non potevo nemmeno immaginarlo, privo come ero di punti di riferimento. Chiaramente, mi trovavo a notevole distanza dalla città dove abitavo, l'antica e famosa città di Carcosa.
Non c'era intorno a me segno di vita umana, né visibilmente né auditivamente; non si levava fumo nell'aria, né abbaiavano cani, né belavano pecore, né bambini gridavano, intenti ai loro giuochi. Nulla, se non quel vecchio cimitero in rovina, con la sua aria di mistero e di incubo, dovuta certo alla mia mente turbata. Stavo delirando di nuovo, in un posto sconosciuto, senza possibilità di aiuto? O tutto era un'illusione della mia follia, un'allucinazione? Chiamai per nome le mie mogli e i miei figli, allungai le mani in cerca delle loro, pur continuando a camminare tra tombe fatiscenti ed erba secca.
Un rumore alle mie spalle mi fece voltare. Un animale selvatico, una lince, si stava approssimando... Pensai;:"Se fuggo nel deserto, se mi torna la febbre e cado al suolo, quella bestia mi azzanna, mi divora...". Così preferii andarle incontro, gridando nella speranza di spaventarla in maniera che fosse lei a fuggire. Ma la lince trotterellò tranquilla sino a giungere a pochi passi da me, poi girò a sinistra e scomparve dietro una roccia.
Pochi minuti dopo la testa di un uomo spuntò dalla terra, non lontano dal punto in cui mi trovavo. Stava risalendo il pendio di una bassa collina la cui cresta si distingueva appena dalle ondulazioni naturali del terreno. L'uomo era mezzo nudo, i capelli arruffati, la barba lunga e incolta. Portava in una mano un arco e una freccia, e con l'altra reggeva una torcia accesa che si lasciava dietro una lunga scia di fumo nero. Camminava piano, con prudenza, come se temesse di cadere in qualche tomba aperta e nascosta tra l'erba. Questa bizzarra apparizione mi sorprese senza allarmarmi, tanto che, avvicinatomi, rivolsi all'uomo il saluto abituale: "Dio vi guardi!".
Non rispose né si fermò. Io dissi: "Sto male e mi sono perduto. Vi prego d'indicarmi la strada per Carcosa".
Invece di rispondere, l'uomo prese a cantare una specie di inno barbarico in una lingua sconosciuta, continuando a camminare, e dopo pochi minuti scomparve.
Sul ramo secco di un albero morto, una civetta emise il suo lugubre verso, e lontano un'altra civetta rispose. Alzando gli occhi, vidi uno squarcio di improvviso sereno tra le nuvole; in quel lembo azzurro, Aldebaran e le Pleiadi brillavano come diamanti! In tutto il paesaggio dominava un presagio notturno; la lince, l'uomo con la torcia accesa, la civetta... Eppure... Vedevo le stelle splendere nel cielo azzurro! Vedevo, ma apparentemente non ero visto né udito. Nelle maglie di quale sortilegio ero rimasto impigliato?
Sedetti ai piedi di un grande albero per riflettere con calma a ciò che più mi conveniva fare. Che fossi pazzo, non potevo ormai dubitare, ma nella mia convinzione sussisteva un'ombra di incertezza. La febbre era caduta, provavo anzi una sensazione di euforia e di vigore finora a me ignota; una esaltazione mentale e fisica. I miei sensi erano vigili; sentivo lo spessore dell'aria, percepivo il silenzio.
Una grossa radice dell'albero a cui mi appoggiavo racchiudeva nelle sue volute una lastra di pietra rettangolare, e la parte inferiore di questa lastra (inferiore o superiore, come dirlo?) si protendeva in una cavità formata da un'altra radice. La pietra era così parzialmente protetta dalle intemperie, sebbene apparisse assai malridotta. Gli angli smussati, i bordi consunti, la superficie scavata. Quella lastra evidentemente ricopriva la tomba su cui l'albero era poi cresciuto. Le prepotenti radici avevano derubato la tomba, facendone prigioniera la pietra.
Di colpo, il vento fece volar via foglie secche e ramoscelli che si erano accumulati sulla lastra, ed io vidi le lettere in bassorilievo di una iscrizione. Mi chinai a leggerle. Dio del cielo! Il mio nome e cognome, la data della mia nascita, la data della mia morte!
Mentre scattavo in piedi, terrorizzato, un raggio di luce illuminò il tronco dell'albero, dal mio lato. Dall'oriente rosato stava sorgendo il sole. Io ero in piedi tra l'albero e il grande disco di fuoco, ma nessuna ombra si proiettava sul tronco.
Un coro di lupi ululanti salutava l'alba. Li vidi isolati o in gruppi, seduti sui posteriori in vetta alle piccole irregolari alture e tumuli che popolavano il deserto, sino alla linea dell'orizzonte.
E improvvisamente seppi che quelle alture, quei tumuli erano le rovine dell'antica e famosa città di Carcosa.
Questi sono i fatti rivelati al medium Bayrolles dallo spirito di Hoseib Alar Robardin.
(Ambrose Bierce, Una cosa infernale. Del Bosco, 1972)
Any music can be psychedelic, no stimulants needed. Just use your brain to drift through the melodies, harmonies, and rhythms. Dream aloud.
(Jim Cuomo)
Impropriamente gettati nel calderone della musica folk i Mormos, gruppo americano che operò prevalentemente in Francia, si muovevano lungo coordinate ben differenti. Sarebbe come a dire, insomma, che la Penguin Cafe Orchestra o la Third Ear Band erano gruppi folk perché utilizzavano strumenti acustici (a onor del vero bisogna ricordare che la svolta acustica di questi ultimi fu "propiziata" dal furto della strumentazione elettrica...). Fonte autorevole di questa interpretazione è lo stesso fondatore del gruppo, Jim Cuomo, che in un'interessante intervista a It's Psychedelic Baby nega influenze o collegamenti con il folk, preferendo accostare le esibizioni dal vivo del gruppo allo spirito dei Grateful Dead acustici. Un altro parallelo può essere fatto con i primi Pearls Before Swine, considerata l'spirazione letteraria di Tom Rapp (Great Wall of China contiene due brani su testi di Shakespeare e W.B. Yeats).
Ripercorriamo in sintesi la storia dei Mormos attingendo alla suddetta intervista e a un'analisi di Bad Cat Records dei loro due album.
Progenitori dei Mormos furono gli Spoils of War, fondati nel 1968 da Cuomo mentre studiava all'Università dell'Illinois a Urbana. Il bizzarro nome deriva da uno dei tanti originali strumenti musicali inventati da Harry Partch. Il gruppo pubblica un disco omonimo sotto forma di sette pollici a trentatre giri contenente un lungo brano per ciascuna facciata. Edito in mille copie l'EP verrà incluso nel 1999 in una raccolta della tedesca Shadoks comprendente diversi brani inediti, alcuni dei quali ripresi successivamente in chiave acustica nei due dischi dei Mormos. Le composizioni degli Spoils of War ben riflettono gli ampi interessi musicali di Cuomo: clarinettista classico, appassionato di jazz, sperimentatore elettronico e di musica concreta. La musica che ne scaturisce è sorprendentemente simile a quella dei ben più noti United States of America di Joseph Byrd, uno dei più felici connubi tra elettronica e psichedelia di fine Sessanta.
Trasferitosi a New York Cuomo assume l'incarico di direttore musicale del La Mama Experimental Theatre Club. Durante un tour francese avvengono due incontri decisivi per Cuomo: nel corso del primo riceve i complimenti di Eugene Ionesco -e scusate se è poco...- mentre grazie a un giornalista musicale parigino ottiene degli ingaggi per un progetto musicale collaterale all'attività teatrale. Il gruppo prende il nome di Misty Mountain Mormos e, oltre a Cuomo, comprende Sandy Spencer e Dianne Taylor. Un breve ritorno negli Stati Uniti porta nella band Elliott Delman, Rick Mansfield e Annie Hat, quest'ultima già parte degli Spoils of War. Con il nome abbreviato in Mormos si stabiliscono definitivamente in Francia e nel 1971 pubblicano per la CBS Great Wall of China, contenente sia registrazioni effettuate dal precedente trio sia composizioni registrate dalla nuova formazione.
Il buon riscontro ottenuto dall'album induce la CBS francese a pubblicare l'anno successivo un secondo disco, The Magic Spell of Mother's Wrath, a cui segue di lì a poco lo scioglimento del gruppo. Delman, Mansfield e Annie Hat si aggregano agli Sky Farmer, band sorta dalle ceneri dei Mountain Bus e che opera come comune nel Wisconsin. Cuomo, dopo una lunga permanenza in Francia, si trasferisce a Melbourne continuando la sua attività di compositore, al pari di Delman, tornato nel frattempo a Chicago. Nel corso degli anni non sono nemmeno mancate occasionali riformazioni e concerti dei Mormos.
La ristampa Spalax di Great Wall of China del 1997 contiene anche al singolo Listen to the Flavour / Paranoid Nightdream. L'altro singolo dei Mormos (Magic Stone / Hey Gilles) può essere recuperato su Left and to the Back, prezioso blog dedito alla riscoperta di oscure gemme a sette pollici.
Per completare la discografia della band va citato infine Ca droit etre bien, pubblicato dalla CBS nel 1971, in cui i Mormos fungono da gruppo di accompagnamento al musicista francese Francois Béranger.
C'era uno sgabello a portata di mano e il robusto sedile sembrava più che sufficiente per i vecchi pannelli. Prima si aprì una spaccatura nel legno e poi la porta cedette, come spinta dalla parte opposta: soffiò una folata di vento gelido che puzzava di segrete senza fondo e si sprigionò un risucchio che non apparteneva a questo mondo, ma che avvinghiò il detective alla braccia e alle gambe e lo trascinò nell'apertura, giù per spazi bui dove risuonavano lamenti, sussurri e ogni tanto una risata di scherno.
Naturalmente si è trattato di un sogno: tutti gli specialisti concordano su questo fatto e Malone non può in alcun modo dimostrare il contrario, anzi preferirebbe che fosse così, perché in tal caso la vista degli squallidi edifici di mattoni e le facce scure degli stranieri non torturerebbero la sua anima. Ma in quel momento sembrò tutto tremendamente reale e niente potrà cancellare dalla sua memoria le catacombe avvolte nelle tenebre, le gigantesche arcate, le figure informi che parevano uscite dall'inferno e che s'aggiravano maestose nel silenzio, reggendo esseri divorati a metà e in qualche caso ancora vivi, imploranti pietà o in preda a risate isteriche. Odori d'incenso e corruzione formavano un insieme ripugnante, e il buio viveva di sembianze nebulose, informi e semi-invisibili ma fornite di occhi. Da qualche parte onde melmose lambivano moli d'onice, e una volta un suono di campanelle sottolineò festosamente l'insano cachinno di un essere nudo e fosforescente che nuotò a riva, emerse dall'acqua e si arrampicò su un piedistallo d'oro dove rimase acquattato.
Da ogni parte s'irradiavano gallerie di notte eterna: quel luogo era il centro d'un contagio destinato a corrompere città e nazioni, a spegnere il mondo in un'ibrida pestilenza. Lì si era infiltrato il male cosmico e lì, alimentato da riti vietati, aveva cominciato la marcia trionfale che avrebbe trasformato noi uomini in orrende anomalie e frutti della corruzione, in qualcosa di troppo orripilante perché anche la tomba volesse accoglierci. Satana teneva in quel luogo la sua corte pagana e le membra contaminate di Lilith venivano lavate col sangue dei bambini. Incubi e succubi gridavano le lodi di Ecate, mostri nati senza testa invocavano la Magna Mater. Capre danzavano al suono di flauti e satiri davano la caccia a fauni deformi su massi che avevano la forma di rospi enormi. Moloch e Astaroth non erano assenti, perché nella quintessenza della dannazione i vincoli della coscienza si allentavano e alla fantasia dell'uomo si aprivano visioni di ogni regno d'orrore o dimensione vietata che il male potesse forgiare. Il mondo della natura era indifeso di fronte all'attacco che procedeva dai pozzi spalancati della notte, e non c'era segno o preghiera che potesse mettere in scacco quel tumulto da notte di Valpurga; una chiave malefica, usata da un evocatore di demoni, aveva spalancato le porte dell'abisso.
A un tratto un raggio di luce materiale filtrò in mezzo ai fantasmi e Malone sentì uno sciabordio di remi fra le blasfemie di creature che avrebbero dovuto essere morte. Apparve una barca con una lanterna a prua, attraccò a un anello di ferro che sporgeva dal molo e vomitò una serie di uomini scuri che reggevano un grosso fardello avvolto in un lenzuolo. Lo portarono al cospetto della creatura nuda e fosforescente accosciata sul piedistallo e quella rise, sfiorando il lenzuolo con una zampa. Gli uomini strapparono il lenzuolo e sollevarono il cadavere di un uomo corpulento, con i capelli bianchi e le guance coperte di stoppia. L'essere fosforescente ridacchiò di nuovo e gli uomini estrassero dalle tasche alcune bottiglie di liquido rosso, che versarono ai piedi della creatura; poi gliele diedero perché ne bevesse.
All'improvviso, da un corridoio sormontato da arcate che si perdevano in lontananza venne il boato di un organo blasfemo, che riassumeva nei suoi toni bassi tutte le beffe dell'inferno. In un attimo tutto ciò che viveva si galvanizzò e una processione rituale prese forma, mentre l'orda d'incubo strisciava verso la fonte della musica: capre, satiri, fauni, incubi, succubi, lemuri, rospi deformi ed elementali senza nome, creature dal muso di cane che urlavano nel buio e creature che avanzavano in silenzio. Davanti a tutti era l'entità fosforescente che ora, scesa dal piedistallo, camminava insolente e reggeva tra le braccia il cadavere dagli occhi vitrei del vecchio. Gli uomini dalla pelle scura danzavano verso il fondo, mentre la colonna si agitava ed eccitava con la passione di un baccanale. Malone barcollò dopo aver fatto pochi passi e al colmo della confusione dubitò del posto che gli spettasse in quello o in qualsiasi altro mondo. Si girò, inciampò e scivolò sulla pietra viscida, mentre l'organo demoniaco gli dava i brividi. I fremiti e i cachinni della folle processione si facevano sempre più distanti.
Si rendeva conto vagamente degli inni d'orrore e dei paurosi gracidii che risuonavano nel buio, mentre di quando in quando una frase gli giungeva dalle nere arcate; alla fine sentì ripetere lo spaventoso incantesimo greco che aveva letto sul pulpito della chiesa.
"O amico e compagno della notte, tu che ti rallegri dell'abbaiare dei cani e degli spargimenti di sangue, tu che cammini in mezzo alle ombre fra le tombe, che brami sangue e porti terrore ai mortali, Gorgo, Mormo, luna dalle mille facce, accetta con favore i nostri sacrifici!"