Conoscevo un tale... vediamo... sarà stato quarant'anni fa... che aveva preso alloggio in alcune stanze vecchie, umide e mezze marce in una delle locande più antiche, locali rimasti chiusi e vuoti ormai da anni. Riguardo al posto le storie delle vecchie comari si sprecavano, un posto, quest'è certo, tutt'altro che allegro; senonché quel tale era povero e i locali venivano poco, ragione più che valida ai suoi occhi, quand'anche fossero stati in condizioni dieci volte peggiori. Per giunta, si vide costretto a rilevare dei mobili marcescenti rimasti all'interno, fra cui un grosso, ingombrante stipo di legno per i documenti con ampi sportelli a vetri e una tenda verde dentro: cosa perfettamente inutile per lui, che di carte da riporci non ne aveva; quanto ai vestiti, se li portava addosso, e non è che facesse tutto questo sforzo.
Una volta traslocato il suo mobilio (che un carro non riempiva) e sparpagliate ch'ebbe le sue quattro sedie, sì da farle sembrare per quanto possibile una dozzina, scesa la sera si era andato a piazzare davanti al fuoco, per bersi il primo bicchiere di whisky dei due galloni ordinati a credito, chiedendosi se mai l'avrebbe pagato e, in tal caso, quanti anni ci avrebbe impiegato, quando l'occhio gli cadde sugli sportelli a vetri dello stipo.
- Ah! - esclamò - Se non fossi stato costretto a rilevare questa specie d'attrezzo come pattuito col sensale, ci avrei preso qualche cosa di più utile a quel prezzo. Sai che ti dico, vecchio mio - disse rivolto ad alta voce allo stipo, visto che non c'era nient'altro cui parlare - se me ne venisse anche solo qualcosa a farti a pezzi e a buttarti nel fuoco, farei un falò della tua vecchia carcassa in men che non si dica.
Non aveva fatto in tempo a pronunciare quelle parole che un suono simile a un fievole lamento parve giungere dall'interno del contenitore. Sulle prime ebbe un sussulto ma, a rifletterci, pensò che si trattasse di qualche giovanotto che rientrava dopo cena nella stanza accanto, e poggiò i piedi sul parafuoco, sollevando l'attizzatoio per sbraciare il fuoco.
In quell'istante il suono si ripeté, e uno degli sportelli a vetri, schiudendosi lentamente, offrì alla vista una figura pallida ed emaciata in vesti lerce e lacere, dritta in piedi nello stipo. La figura era lunga e magra, in un'espressione d'affanno e d'angoscia impressa in volto; c'era però qualcosa nel colore della pelle, nell'aspetto sparuto e innaturale di tutta la persona, quale non è dato vedere in nessun essere vivente.
- Chi siete? - disse il nuovo inquilino sbiancando come un cencio, pur soppesando in pugno l'attizzatoio e puntando con precisione alla testa di quell'essere -. Chi siete?
- Non mi tirate l'attizzatoio - replicò la figura -. Anche se lo scagliaste con la mira più precisa, mi attraverserebbe senza incontrare resistenza, andando a urtare contro il legno alle mie spalle. Io sono uno spirito.
- E cosa cercate qui, di grazia? - balbettò l'inquilino.
- In questa stanza - replicò l'apparizione -, si è compiuta la mia rovina terrena e io e i miei figli ci siamo ridotti alla miseria. In questo stipo si son venute per anni accumulando le scartoffie di un lungo, lunghissimo processo. In questa stanza, quando sono morto di crepacuore e di speranza sempre delusa, due subdole arpie si sono spartite i beni per i quali mi ero battuto durante tutta un'esistenza miserabile, e di cui nemmeno un soldo è poi toccato alla mia sfortunata progenie. Di qui io le ho cacciate con terrore e da quel giorno mi aggiro di notte, unico momento in cui mi è dato rivisitare la Terra, sulla scena della mia interminabile miseria. Questa stanza è mia: lasciatemela!
- Se insisterete nelle vostre apparizioni - disse l'inquilino, che aveva avuto tempo di ritrovare la presenza di spirito, nel mentre lo spettro si profondeva in spiegazioni -, vi lascerò padrone del campo con il massimo piacere ma, se permettete, vorrei farvi una domanda.
- Dite pure - disse lo spirito con cipiglio.
- Non è che mi riferisca a voi personalmente - disse l'inquilino -; per quanto ne so la cosa vale per la maggior parte dei fantasmi ma io trovo piuttosto illogico che, con l'opportunità che avete di visitare i luoghi più incantevoli del globo (giacché la distanza, m'immagino, per voi non conta niente), dobbiate tornare sempre e puntualmente nei luoghi dove avete maggiormente tribolato.
- Perbacco, ma è verissimo; non ci avevo mai pensato prima - disse lo spettro.
- Il fatto è che, signore mio - proseguì l'inquilino -, questa stanza è assai poco accogliente. Dall'aria che ha, io direi che lo stipo non va del tutto esente dalle cimici; secondo me un alloggio più accogliente dovreste ben trovarlo; e non parliamo poi del clima di Londra, pessimo quant'altri mai.
- Voi avete tutte le ragioni, signor mio - disse con cortesia lo spettro -; non mi era mai passato per la testa prima d'ora; proverò a cambiare aria immantinente.
Difatti, mentre ancora parlava, cominciò a svanire; anzi, le gambe eran già belle che sparite!
- A proposito - gli lanciò dietro l'inquilino -, se aveste la bontà di suggerire agli eventuali altri signori e signore attualmente impegnati a bazzicar le vecchie case disabitate che potrebbero trovarsi molto più comodi altrove, rendereste un grandissimo servigio alla società.
- Lo farò - rispose lo spettro -. Certo che noi fantasmi siamo proprio fessi, ma fessi davvero; come abbiamo potuto essere così stupidi, io non so capacitarmene.
Con queste parole lo spirito scomparve e, cosa alquanto insolita, non si fece più vedere.
(Charles Dickens, I racconti di fantasmi. Theoria, 1989)
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