sabato 12 luglio 2014

La Buona Annata's History Channel: Geo Chavez, trasvolatore

Blériot aveva attraversato il Canale d'Inghilterra con una calma aumentata dal salvagente sotto la camicia, dal cielo turchino e dai gabbiani in disinteressato volo circolare. Il testardo Chavez, invece, traversò in volo per primo le Alpi, fidando nel suo ostinato ardire, ma stordito dalla frivola eccitazione che gli italiani, infidi quanto più sono ingenui, tessevano al loro intorno. Fu infatti per colpa di quegli striduli pensieri che infiammano provvisoriamente i cervelli nelle sere estive, che s'istituirono gara e premio per chi avesse tra il 18 e il 24 settembre del 1910 volato lungo il percorso Briga-Sempione-Domodossola-Milano. Alla chiusura delle iscrizioni risultarono in lista dieci piloti; ma durante i voli di prova la metà di essi dovette ritirarsi a cause d'incidenti vari. Cupe nuvole gravide di pioggia, il 18, dissuasero i cinque temerari rimasti, nessuno partì. Nei giorni seguenti rinunciarono, dimostrando ogni buon senso, Wiencziers tedesco, Aubrun francese, l'italiano Cattaneo: gli aerei erano allora teli malamente incollati come ombrelli, e i vortici di una anche lieve corrente o un temporale sarebbero bastati a rovesciarli. L'americano Weymann e il glabro Geo Chavez, pallido ventitreenne francese con passaporto peruviano, invece attesero che finissero i temporali. Il 23 da Briga alte nuvole illuminavano un'aria che si era illimpidita; e non pioveva. Ma, come fantasmi, albe nuvole basse erano in salita veloce attraverso le Alpi. Weymann vide che le correnti erano ormai troppo mutevoli, biasimò l'ovvia sciocchezza criminale degli organizzatori, pure lui rinunciò. E Chavez pareva quel mattino deciso a imitarlo; ma come tutti coloro insicuri di avere coraggio, inclinava a esagerare. Risolini di dame in altro affaccendate, e non a lui rivolti, l'agitarsi ingenuo di molti berretti, l'abitudine al volo solamente da qualche mese, il primato d'alta quota che aveva sì ottenuto, ma non meritato: il ventitreenne Chavez indossò sopra l'impermeabile alcuni maglioni. Goffo, come un pulcino ingrassato, scaldò il suo Blériot XI monoplano con motore Gnome da cinquanta cavalli, e decollò piuttosto nervoso. L'euforia di una piccola folla composta per lo più da italiani, notoriamente a loro agio in quale che sia ostentata leggerezza, sommerse il lento, sempre più lontano, andare scoppiettante del motore. Sospiri generali; ma subito delusi accompagnarono una iniziale perdita di quota del monoplano. Ma scivolò a onda e si riprese, come su una montagna russa. Salì in morbose lente spirali; e sparì, dirigendo da Briga verso il Sempione. A terra fu un unico grido: via, tutti in automobile. Così mentre il monoplano di Chavez, che era lungo e sbilanciato, ronzava nelle valli, come un zanzaro, la festante carovana di veicoli attraversava, con lui ma ben incollata a terra, quel desolato passo del Sempione bruciato di continuo dal vento. Chavez dall'alto li guardava rassicurandosi; ma tremava e non solo per il freddo. Gli parve che le mani non facessero più presa sui comandi, quando in una vertigine s'accorse che un mobile muro di turbini di vento gl'impediva d'infilarsi nel passo di Monscera. Calcolò addirittura di tornare indietro, e tentare un atterraggio sul Sempione. Ma l'aereo non virava e le ali tese dalle continue ventate e dai sali e scendi sinistramente iniziarono a scricchiolare. Si infilò senza volerlo nelle paurose gole di Gondo. E nel burrone tra due pareti scoscese non badò al farmacista Garimberti, che agitando il berrettone quasi rischiava di cadere nel baratro, soddisfatto di aver indovinato il percorso nel quale le correnti avrebbero trascinato il monoplano. Chavez distinse il pizzo, e persino il pomo d'Adamo pulsante di felicità di costui; ma non sorrise. Era tutto bianco come un lampadario d'alabastro e per la paura respirava con dei piccoli fiati nervosi ma frenetici. Arrivò in vista di Domodossola contro ogni sua già pessimistica previsione, e persino scorse un reggimento di fazzoletti bianchi e scomposti che lo salutava. Sorrise senza aprire la bocca, ma allungandola, guardò per aria, in cielo, e vide. Vide che a ogni oscillazione l'attaccatura delle ali si piegava segandosi di un poco: solo dei cavi, sempre più cigolanti, reggevano le ali sulla loro verticale. Pianse. Ma dai binocoli che si distribuivano tra la folla davanti a un lungo filare d'abeti che parevano cipressi nessuno se ne accorse. Risuonavano evviva entusiasti, ed epidemie d'applausi. Risa, congratulazioni di tutti a tutti, incassi di scommesse, signorine col muso, fidanzati che si vantavano di poterlo rifare loro, molto delusi che non ci fosse scappato ancora il morto: l'aura di fatua idiozia che accompagnò la prima trasvolata delle Alpi. Videro il monoplano lento avvicinarsi con regolare volo al prato per atterrare; cento, cinquanta, quindici metri. Già era scoppiato l'applauso, quando l'aereo s'arrestò: le sue ali si richiusero a libro. Il monoplano Blériot XI a cinquanta cavalli cadde con un rumore d'aquilone rotto tra le ferraglie. Il povero Chavez fu estratto dai rottami ancora vivo e a prima vista senza ferite, e addirittura nulla di rotto. Fu portato all'ospedale di Domodossola. Morì quattro giorni dopo, forse di stupore. "Perché non avrà sosta colui che cerca finché non abbia trovato. E quando avrà trovato rimarrà attonito e invaso di stupore."

(Geminello Alvi, Vite fuori del mondo. Mondadori, 2001)





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