Wells, preveggente (Sur, n. 26, novembre 1936). L'autore dell'Uomo invisibile, dei Primi uomini sulla luna, della Macchina del tempo e dell'Isola del dottor Moreau (ho citato i suoi migliori romanzi, che non sono certamente gli ultimi) ha pubblicato in un volume di centoquaranta pagine il testo minuzioso del suo recente film Things to Come. Lo ha fatto forse per sganciarsi un poco dal film, perché non lo giudichino responsabile di tutto il film? Il sospetto non è illegittimo. Intanto c'è un capitolo iniziale di istruzioni che lo giustifica o lo tollera. Vi sta scritto che gli uomini del futuro non si maschereranno da pali telegrafici né sembreranno evasi da una sala operatoria elettrica né gironzoleranno da un posto all'altro insaccati in abiti luminosi di cellophane, in recipienti di cristallo o in cuccume d'alluminio. "Voglio che Oscar Cabal", scrive Wells, "sembri un garbato gentiluomo, non un gladiatore con la sua panoplia o un demente imbottito... Niente jazz né artefatti d'incubo. In quel mondo più organizzato deve esserci più tempo, più dignità. Che tutto sia più vasto, più grande, ma che non sia mai mostruoso". Sventuratamente, il grandioso film che abbiamo visto - grandioso nel senso peggiore di questa brutta parola - somiglia assai poco a tali intenzioni. E' vero che non abbondano le cuccume di cellophane, le cravatte d'alluminio, i gladiatori imbottiti e i dementi luminosi con la loro panoplia; ma l'impressione generale (molto più importante dei dettagli) è "da artefatto d'incubo". Non mi riferisco alla prima parte, dove il mostruoso è deliberato; mi riferisco all'ultima, la cui disciplina dovrebbe contrastare con la farragine sanguinolenta della prima, e che non solo non contrasta, ma la supera in bruttura. Wells comincia col mostrarci i terrori del futuro immediato, visitato da piaghe e bombardamenti; tale esposizione è efficacissima. (Ricordo un cielo aperto annerito e insudiciato dagli aeroplani, osceni e nocivi come cavallette). Poi - lo dirò con parole dell'autore - "il film si amplia a dispiegare la visione grandiosa di un mondo ricostruito". L'ampliamento è poco felice: il cielo di Alexander Korda e di Wells, come quello di tanti altri escatologi e scenografi, non differisce troppo dal suo inferno, ed è ancor meno incantevole.
Altra constatazione: le frasi memorabili del libro non corrispondono (non possono corrispondere) agli istanti memorabili del film. A pagina 19, Wells parla "di un miscuglio di istantanee che mostrano la confusa efficacia inadeguata del nostro mondo". Com'era da prevedersi, il contrasto fra le parole confusione ed efficacia (per non menzionare il giudizio che c'è nell'epiteto inadeguata) non è stato tradotto in immagini. A pagina 56, Wells parla dell'aviatore mascherato Cabal, "stagliato contro il cielo, un alto prodigio". La frase è bella; la sua versione fotografica non lo è. (Anche se lo fosse stata, non avrebbe mai corrisposto alla frase, poiché le arti del retore e del fotografo sono, oh classico fantasma di Efraim Lessing!, del tutto incomparabili). Vi sono fotografie riuscite, invece, che nulla devono alle indicazioni del testo. A Wells spiacciono i tiranni, ma i laboratori gli piacciono; dal che la sua previsione che gli uomini dei laboratori si uniranno per rammendare il mondo fatto a brani dai tiranni. La realtà non somiglia ancora alla sua profezia: nel 1936, quasi tutta la forza dei tiranni deriva dal loro possesso della tecnica. Wells venera gli chauffeurs e gli aviatori; l'occupazione tirannica dell'Abissinia fu opera degli aviatori e degli chauffeurs - e della paura, forse un po' mitologica, dei perversi laboratori di Hitler.
Ho censurato la seconda parte del film; insisto nell'elogio della prima, di un'operazione così salutare per coloro che ancora si figurano la guerra come una cavalcata romantica o un'occasione di picnic gloriosi e di turismo gratuito.
(Borges al cinema. A cura di Edgardo Cozarinsky. Il Formichiere, 1979)