lunedì 30 settembre 2013

La Buona Annata's Literary Supplement: Borges al cinema

Wells, preveggente (Sur, n. 26, novembre 1936). L'autore dell'Uomo invisibile, dei Primi uomini sulla luna, della Macchina del tempo e dell'Isola del dottor Moreau (ho citato i suoi migliori romanzi, che non sono certamente gli ultimi) ha pubblicato in un volume di centoquaranta pagine il testo minuzioso del suo recente film Things to Come. Lo ha fatto forse per sganciarsi un poco dal film, perché non lo giudichino responsabile di tutto il film? Il sospetto non è illegittimo. Intanto c'è un capitolo iniziale di istruzioni che lo giustifica o lo tollera. Vi sta scritto che gli uomini del futuro non si maschereranno da pali telegrafici né sembreranno evasi da una sala operatoria elettrica né gironzoleranno da un posto all'altro insaccati in abiti luminosi di cellophane, in recipienti di cristallo o in cuccume d'alluminio. "Voglio che Oscar Cabal", scrive Wells, "sembri un garbato gentiluomo, non un gladiatore con la sua panoplia o un demente imbottito... Niente jazz né artefatti d'incubo. In quel mondo più organizzato deve esserci più tempo, più dignità. Che tutto sia più vasto, più grande, ma che non sia mai mostruoso". Sventuratamente, il grandioso film che abbiamo visto - grandioso nel senso peggiore di questa brutta parola - somiglia assai poco a tali intenzioni. E' vero che non abbondano le cuccume di cellophane, le cravatte d'alluminio, i gladiatori imbottiti e i dementi luminosi con la loro panoplia; ma l'impressione generale (molto più importante dei dettagli) è "da artefatto d'incubo". Non mi riferisco alla prima parte, dove il mostruoso è deliberato; mi riferisco all'ultima, la cui disciplina dovrebbe contrastare con la farragine sanguinolenta della prima, e che non solo non contrasta, ma la supera in bruttura. Wells comincia col mostrarci i terrori del futuro immediato, visitato da piaghe e bombardamenti; tale esposizione è efficacissima. (Ricordo un cielo aperto annerito e insudiciato dagli aeroplani, osceni e nocivi come cavallette). Poi - lo dirò con parole dell'autore - "il film si amplia a dispiegare la visione grandiosa di un mondo ricostruito". L'ampliamento è poco felice: il cielo di Alexander Korda e di Wells, come quello di tanti altri escatologi e scenografi, non differisce troppo dal suo inferno, ed è ancor meno incantevole.
Altra constatazione: le frasi memorabili del libro non corrispondono (non possono corrispondere) agli istanti memorabili del film. A pagina 19, Wells parla "di un miscuglio di istantanee che mostrano la confusa efficacia inadeguata del nostro mondo". Com'era da prevedersi, il contrasto fra le parole confusione ed efficacia (per non menzionare il giudizio che c'è nell'epiteto inadeguata) non è stato tradotto in immagini. A pagina 56, Wells parla dell'aviatore mascherato Cabal, "stagliato contro il cielo, un alto prodigio". La frase è bella; la sua versione fotografica non lo è. (Anche se lo fosse stata, non avrebbe mai corrisposto alla frase, poiché le arti del retore e del fotografo sono, oh classico fantasma di Efraim Lessing!, del tutto incomparabili). Vi sono fotografie riuscite, invece, che nulla devono alle indicazioni del testo. A Wells spiacciono i tiranni, ma i laboratori gli piacciono; dal che la sua previsione che gli uomini dei laboratori si uniranno per rammendare il mondo fatto a brani dai tiranni. La realtà non somiglia ancora alla sua profezia: nel 1936, quasi tutta la forza dei tiranni deriva dal loro possesso della tecnica. Wells venera gli chauffeurs e gli aviatori; l'occupazione tirannica dell'Abissinia fu opera degli aviatori e degli chauffeurs - e della paura, forse un po' mitologica, dei perversi laboratori di Hitler.
Ho censurato la seconda parte del film; insisto nell'elogio della prima, di un'operazione così salutare per coloro che ancora si figurano la guerra come una cavalcata romantica o un'occasione di picnic gloriosi e di turismo gratuito.

(Borges al cinema. A cura di Edgardo Cozarinsky. Il Formichiere, 1979)



domenica 22 settembre 2013

La Buona Annata's History Channel: Ermes Visconti

Tra i condòmini o signori di Crenna nel Settecento si ricordano i marchesi Visconti di San Vito (di Somma), ed in particolare Carlo Francesco, che nella seconda metà del secolo è uno dei più importanti continuatori di un ramo visconteo del nostro paese. Egli sposò Margherita Dal Verme, dalla quale ebbe due figli, Ermes, primogenito ed erede del titolo nobiliare, e Giuseppe, ed una figlia, Luigia.
Ermes nacque a Milano, in parrocchia di S. Giovanni alle Quattro Facce nel 1784; ricevette la prima educazione presso i Padri Somaschi nel Collegio di Merate ove ebbe compagno Alessandro Manzoni, poi a Roma, presso il Collegio Nazareno, tenuto dai padri Calasanziani; a Modena, nel Collegio S. Carlo, terminò gli studi che gli aprirono le porte dell'Università di Pavia, nella quale e entrò nel 1803 matricola della facoltà di filosofia, ma non giunse alla laurea perché avvenimenti politici (epoca napoleonica e ritorno degli Austriaci in Lombardia) e familiari lo chiamarono a Milano.
La capitale lombarda era allora il centro intellettuale di tutta Italia: Ermes Visconti strinse amicizia con i più eletti ingegni del tempo, quali il Manzoni, Romagnosi, Porta, Cuoco, Giuseppe Bossi per il quale, il 16 maggio 1819, recitò nella Biblioteca Ambrosiana un discorso commemorativo.
Sorta la controversia tra classici e romantici, il Visconti militò con questi ultimi e si trovò a vivere in rapporti di cultura con i più eminenti scrittori e pensatori del suo tempo, entrando in grande dimestichezza con Alessandro Manzoni; s'iscrisse al cenacolo letterario romantico La Cameretta, che faceva capo a Carlo Porta e quando nel 1818 Il Conciliatore, foglio azzurro dei romantici, nacque per volere di Silvio Pellico, Luigi Porro, Federico Confalonieri e Giovanni Berchet, il nostro Ermes diede la propria collaborazione letteraria, che si espresse anche in opere monografiche, quali: Idee elementari sulla poesia romantica, completate da un Memoriale; il Dialogo sulle unità drammatiche di tempo e di luogo; l'operetta Di alcuni significati delle parole poesia e poetico; e le Postille agli Sposi promessi dell'amico Manzoni.
[...] Ma un fatto nuovo mutò completamente l'indirizzo intellettuale e il tenore di vita del nostro: nella quaresima del 1827 avvenne quello che comunemente si chiama conversione. Essa fu presentata come un'improvvisa illuminazione spirituale; ma noi, data l'educazione cristiana avuta da Ermes Visconti, possiamo ritenerla un semplice e fervoroso ritorno alla pratica religiosa, dopo un notevole periodo d'indifferenza, maturato nei contatti con l'amico Manzoni e coll'abate Antonio Rosmini, conosciuto nel 1826 tramite Niccolò Tommaseo. 
La conversione si manifestò in lui con una vita di pietà ed una pratica religiosa che confinarono con lo scrupolo; abbandonò i circoli letterari, distrusse parte degli scritti e documenti personali, quasi per rinnegare visibilmente il suo passato; scrisse ancora, ma dedicandosi alla letteratura ascetica.
Trascorse gli ultimi anni a Crenna, interrompendo il suo isolamento con qualche viaggio a Milano e a Brusuglio, per ritrovarsi con il suo grande amico, Alessandro Manzoni.
L'ambiente che si era scelto era l'ideale per le aspirazioni della sua anima: il silenzio che invita al raccoglimento e alla meditazione; la pace serena dei campi e la vita semplice e buona dei contadini, da lui largamente beneficati; l'esempio stimolante di un parroco zelante e benefico, del quale si sentiva amico.
Due letterine, indirizzate a don Ottavio Rosnati, ricordano l'interessamento di Ermes Visconti per la torre campanaria, ultimo residuo dell'antica chiesa parrocchiale, e per il nuovo concerto di campane.
[...] Nemmeno cinque anni dopo, questo "signore" beneamato da tutti, fu colpito da una violenta infiammazione polmonare che lo portò alla tomba.
L'atto del suo decesso [...] è così formulato: "March. Visconti Ermes d'anni 57, cattolico, nubile, possidente, abitante in Crenna, del March. Don Carlo Francesco Visconti e D.na Margherita Dal Verme, morì il 23 gennaio 1841 nel cimitero di Crenna; motivo della morte: peripneumonia".
Nel suo testamento, pubblicato il 22 gennaio successivo alla sua morte, Ermes Visconti dispose: "...Raccomando alla misericordia di Dio l'anima mia. Voglio che il mio corpo sia seppellito nel cimitero di Crenna, ... ponendo al luogo del suo terrestre riposo una croce di ferro inverniciato col mio nome e colle parole: Pregate per l'anima di un vostro fratello in Gesù Cristo".
Fu esaudito; il suo cadavere venne sepolto nel nostro vecchio camposanto; sulla sua tomba fu posta una croce di ferro con le parole da lui redatte, la quale scomparve quando il cimitero mutò sede; nemmeno delle sue ossa nessuno si curò; andarono disperse.
Le ultime volontà di quest'uomo umile e pieno di fede cristiana rivelano la preoccupazione di non dimenticare nessuno nelle generose elargizioni da lui disposte: il personale di casa, la famiglia del fratello Giuseppe, nominato erede universale, quella della sorella Luigia, i nipoti ed i cugini. Segue una lunga lista di donazioni ai poveri di diverse parrocchie, e di legati a varie chiese ed ospedali.
Crenna ebbe la parte più vistosa di tanta beneficenza [...]. Se è vero che "non c'è al mondo più bell'eccesso di quello della riconoscenza", dobbiamo concludere che Crenna non peccò di generosità verso questo suo condòmino, illustre per ingegno e benèfico per carità evangelica: l'aver dedicato al suo nome un vicolo è troppo povera cosa.
Anche noi abbiamo lesinato con quest'uomo che ha amato il nostro paese con intelletto d'amore profondendo a larghe mani le proprie risorse a beneficio della nostra comunità. Ci siamo accontentati di deporre sul suo capo una ghirlandetta agreste, lasciando ad altri di cingere la sua nobile fronte con una corona d'alloro.

(Eugenio Cazzani, Crenna. La sua bimillenaria vicenda. Grafica P. Luigi Monti, 1987)



sabato 21 settembre 2013

Ten from Five

Nati nel 1982 nel New Jersey per iniziativa di John Easdale e Chris Carter, i Dramarama esordiscono due anni dopo con l'EP di cinque pezzi Comedy. Il buon riscontro ottenuto in Francia porta la New Rose a pubblicare l'album Cinéma Vérité. Negli Stati Uniti il disco esce per la Posh Boy grazie a Rodney Bingenheimer che lo promuove dai microfoni della KROQ di Los Angeles ritenendo che il gruppo fosse francese!
Il successo locale della canzone Anything, Anything convince la band a trasferirsi a L.A., dove inizia un'intensa attività compositiva che porterà all'uscita ravvicinata di cinque album e numerosi singoli, EP e partecipazioni a compilazioni. Tra queste una cover di Private World dei New York Dolls, pubblicata in The Best of Rodney on the ROQ come ringraziamento a Bingenheimer e Robbie Fields della Posh Boy. Le canzoni dei Dramarama sembrano nascere già come dei piccoli classici prodotti da giovani dalle idee chiare, innamorati di Stones e New York Dolls (ma anche i Beatles grazie al devoto bassista e produttore Chris Carter). Grazie alla buona reputazione raggiunta col duro lavoro i nostri coronano il sogno di ospitare nei loro dischi musicisti del calibro di Mick Taylor, Sylvain Sylvain, Jim Keltner, Nicky Hopkins, Bentmont Tench degli Heartbreakers e il produttore Don Smith. 
Dopo lo scioglimento del gruppo John Easdale inizia una proficua carriera solista dividendosi tra il New Jersey e Los Angeles, sino alla rinascita dei Dramarama nel 2003.
10 from 5 è una bella antologia che offre un'adeguata introduzione al mondo dei Dramarama. Manca Anything, Anything ma contiene una inedita versione acustica di Work for Food e una cover, tratta dall'album Vinyl, di Memo to Turner, la celebre canzone di Mick Jagger contenuta nella colonna sonora del film Performance di Donald Cammell e Nicolas Roeg. Work for Food!





1 - Work for Food
2 - What are We gonna do?
3 - Last Cigarette
4 - Haven't got a Clue
5 - Shadowless Heart 
6 - Some Crazy Dame
7 - Would You Like
8 - Memo to Turner
9 - It's Still Warm
10 - Work for Food (Acoustic Version)



Autunno

La nebbia d'autunno m'attornia:
In grigio vapore dissolti
Passano gli spettri dei monti.
Il sole vermiglio piegando
Il suo capo sempre più fosco,
Nell'abisso dell'onde discende.

Intorno la nebbia d'autunno;
Nella caligine umida,
Che fa presentire la notte,
Trema stanca di vita la foglia.
Tristi volano adesso gli uccelli
Che furon lieti in estate.

Intorno la nebbia d'autunno;
Stride la civetta funesta,
Storniscon gemendo la quercia e l'abete.
E fantasmi notturni pallidi,
Che la nebbia forma e dilacera,
Tremano sui cippi e le fosse.

Friedrich Nietzsche





venerdì 20 settembre 2013

La Buona Annata's History Channel: Draghi del lago d'Orta

Questo lago suggestivo, situato nella provincia piemontese di Novara, esprime un fascino tutto particolare, un incanto sottile, e possiede anche uno dei riferimenti più famosi ai draghi. Una bellissima visione d'insieme si può godere dall'alta rupe del Santuario della Madonna del Sasso, sulla sponda occidentale.
Di origine glaciale (come gli altri grandi laghi subalpini), attualmente misura circa 13 km di lunghezza, è largo da 1 a 2 e raggiunge la profondità di 143 metri; un promontorio collinoso ad est ospita la pittoresca cittadina di Orta San Giulio, dalla quale riceve il nome.
Alimentato da alcuni torrenti e da forti sorgenti subacquee, il lago era un tempo ricchissimo di fauna e di flora, ora compromesse dall'inquinamento. L'estremità settentrionale è molto vicina al ramo ovest del lago Maggiore, al quale è in effetti collegata tramite il torrente Strona e il fiume Toce. Questa zona era certamente abitata già in epoca romana, quando il lago era chiamato "Cusius"; l'evangelizzazione si attribuisce ai santi Giulio e Giuliano, intorno al secolo IV, e da san Giulio infatti prende il nome l'isola di 30.000 mq situata verso il centro del lago, di fronte a Orta.
Narra dunque la tradizione che il pescosissimo lago fosse in antico abitato anche da uno (o più) degli ultimi "draghi" e da altri rettili minori, rifugiati in particolare sull'allora disabitata isola.
Verso il secolo IV, i fratelli greci Giulio e Giuliano dell'isola di Egina, abbracciato lo stato clericale, giunsero fino qui: il diacono Giuliano fondò una chiesa a Gozzano (all'estremità sud del lago), mentre il presbitero Giulio la costruì sull'isola del lago. Fu così che san Giulio prete dovette affrontare gli animali mostruosi dell'sola, scacciandoli e fondando nel 390 circa una chiesa dedicata agli apostoli Pietro e Paolo.
L'attuale basilica di S. Giulio fu completamente rifatta in stile romanico nei secoli XVII e XVIII; oggi è tutelata come monumento nazionale. Le ossa di san Giulio - morto secondo la tradizione a 70 anni il 31 gennaio del 400 - dapprima custodite in una piccola catacomba, furono nel 1748 vestite di abiti sacerdotali e poste in una bacheca nella cripta della basilica. Nella basilica stessa troviamo molte raffigurazioni delle imprese del santo e di draghi, fra le quali notevole un bassorilievo in pietra nera.
Tornando alla tradizione, essa narra che i mostri scacciati dall'isola si rifugiarono sulle due rive del lago; ad ovest nelle selvagge ed acquitrinose propaggini dei monti intorno a Pella, e ad est sulla riva orientale della penisola di Orta. Qui infatti, appena entrati nel golfetto di Bagnara, si trova una grotta, dalla quale sgorga una polla d'acqua dolce, che gli antichi abitanti di Orta chiamavano 'l bus d'l'Orchera. Nella grotta si stabilì appunto uno dei mostri, chiamato l'Orchera, e da questo riparo continuò a terrorizzare gli uomini. Attualmente la grotta è proprietà privata della villa Frescafonte - così detta appunto per la sorgente - situata sul lungolago della Punta Movero.
Fantasie? Forse, ma tutto ciò ebbe una inaspettata conferma dal ritrovamento, nella grotta, di una gigantesca vertebra, che aveva lo sviluppo, con le apofisi, di circa un metro!
Il ritrovamento avvenne nel 1600, ma non gioisca lo scettico, perché l'anello vertebrale esiste ancora, e lo possiamo ammirare - pur privato delle apofisi - appeso ad una catena nella sacrestia della basilica di S. Giulio!
Notiamo ancora che il ricordo dei "draghi" rimase vivo a lungo nelle tradizioni di tutto il novarese, e sopravvive ancora in una curiosa superstizione popolare: portare con sé la terra rossa dell'isola di San Giulio preserva dai serpenti. Nella stessa sacrestia di S. Giulio, nel vano di una finestra, possiamo scorgere un artistico drago in ferro battuto del secolo XV: è un esemplare dei draghi che nelle campagne si usavano portare in testa alle processioni delle rogazioni, nei giorni antecedenti all'Ascensione, con un fascetto di spighe in bocca. Al significato propiziatorio agricolo delle rogazioni, si aggiungeva così il simbolo del drago, allo stesso tempo nemico dell'uomo e dei raccolti.
Draghi mobili, con ali e code snodati, sono menzionati nelle cronache novaresi; anche il vescovo Bascapé ne fa una descrizione.
A queste tradizioni va aggiunto il culto di san Giorgio, il noto uccisore del drago. Ad esempio, nel giorno della ricorrenza del santo, una grande festa popolare si tiene a Casale Corte Cerro (Novara), paese posto nella valle che unisce il lago d'Orta con il lago Maggiore.

(Umberto Cordier, Guida ai draghi e mostri in Italia. SugarCo, 1986)





lunedì 16 settembre 2013

The Iron Trees are in Full Bloom


I Somewhere in Europe erano un duo formato da Andrea James e David Tiffen, fiancheggiatori dei Death in June (collaborarono ad esempio al capolavoro Brown Book). Tra il 1986 e il 1996 pubblicarono quattro cassette e due cd per la propria etichetta These Silences, distribuita dalla World Serpent insieme a label più note come Durtro, NER, Tursa e United Dairies. Proprio come associati a questa importante e controversa casa di distribuzione pubblicarono un brano, Oblique Realities, nel sampler Terra Serpentes del 1996. Quattro anni prima Douglas Pearce aveva ricambiato il favore ai Somewhere in Europe facendo uscire per la sua NER l'antologia Gestures, contenente materiale registrato fra il 1983 e il 1991. Semplice ma fortemente evocativa la musica del duo si presta ad accompagnarci all'incombente autunno.





1 - Outgate to the Sea
2 - Betrayal
3 - Shadow and Flesh
4 - Isolated
5 - Gods of Strife
6 - Return to Zero
7 - Black Lodge (2)
8 - Festival of the Oppressed
9 - Beyond the Horizon
10 - Pursuit of the Elusive
11 - Sacred Song
12 - Tragedy of Existence
13 - Never Go Back (2)
14 - Slaughter



domenica 15 settembre 2013

La Buona Annata's History Channel: Imperial Zeppelin

In questa uscita, fatta il 17 marzo del 1915, il capitano Lehmann impiegò una novità nel campo della ricognizione con i dirigibili. Un meccanico di Colonia, un certo Herr Hagen, aveva ideato un metodo per filare dalla cabina di comando dell'aeronave una piccola navicella d'osservazione appesa a un cavo d'acciaio. Con questo mezzo lo Zeppelin poteva restare nascosto in un banco di nuvole. La navicella con un osservatore a bordo veniva abbassata fin sotto le nubi, dove si poteva fare una completa ricognizione del terreno e della zona dell'obiettivo. Lehmann aveva fatto costruire al meccanico di Colonia un modello sperimentale in cui una specie di tinozza dotata di una pinna stabilizzante veniva abbassata da un verricello a mano, all'estremità di centottanta metri di cavo. Per essere più sicuro Lehmann stesso provò coraggiosamente l'invenzione e ne fu soddisfatto pensando che l'idea avesse grandi meriti.
A bordo del Sachsen, il congegno fu migliorato. Al verricello fu applicato un motore e la sua campana portava ottocento metri di cavo d'acciaio nel quale era intrecciato un cavo telefonico in modo che l'osservatore, da sotto le nuvole, potesse riferire direttamente alla cabina di comando sovrastante.
Nel suo viaggio verso l'Inghilterra il capitano Lehmann incontrò un fitto banco di nebbia, ma continuò a incrociare al largo della costa orientale fino al cader della notte. Poco prima di mezzanotte attraversò la linea della costa, ma la nebbia era anche più fitta, così salì a milleottocento metri di quota. Ciò nonostante non riuscì a forare la nebbia; continuò allora a incrociare sul posto nella speranza di trovare il Tamigi. Ma non ebbe fortuna.
Diresse allora per Calais, e a un tratto si accorse che alla quota di centodieci metri, sul canale della Manica, la nebbia si era dissolta, ed ebbe una splendida veduta del porto di Calais. Decise quindi di provare la sua navicella d'osservazione e fece invertire il senso di rotazione delle eliche. Un ufficiale dello stato maggiore dell'esercito, l'Oberleutnant Max von Gemmingen, nipote del conte Zeppelin, si offrì volontario di provare l'invenzione. Fu calato, mentre il dirigibile percorreva quasi un chilometro, e quindi, sospeso a circa ottocento metri di altezza su Calais, von Gemmingen, non visto dai francesi che però udivano il battito dei motori dello Zeppelin, dette le indicazioni per dirigere l'aeronave sugli obiettivi nemici e per lanciare le bombe. L'effetto fu tremendo. Gli uomini dei pezzi contraerei udivano il Sachsen, ma non potevano vederlo e non sapevano a che cosa puntare; i proiettili sparati così alla cieca furono del tutto inutili.
Dopo questa crociera fantastica, a von Gemmingen fu concessa la croce di ferro di seconda classe per la sua audacia, e bisogna ammettere che questo gentiluomo di mezza età se la meritò largamente. Non aveva un paracadute e nessuno sapeva esattamente quanto ci si potesse fidare di quel cavo.
V'è una storia molto nota le cui origini sono forse incerte, la quale racconta che il comandante Strasser decise un giorno di provare la navicella d'osservazione penzolante dal dirigibile, e fece installare una copia dell'apparato nel locale delle bombe, su una nuova aeronave. Quindi si levò in volo per provarla. L'aeronave girò sul campo parecchie volte, quindi si alzò a novecento metri. La prova di Strasser venne seguita sul campo dai comandanti e dai membri degli equipaggi delle altre aeronavi, e ognuno di loro probabilmente si chiedeva se sarebbe toccato a lui il prossimo agghiacciante esperimento.
Tutto andò bene da principio. Strasser saltò a bordo della bagnarola affusolata e quelli che osservavano dal basso notarono che la piccola navicella sembrava risentisse molto del flusso dell'aria provocato dal moto del dirigibile. La navicella dondolava e girava intorno a se stessa, quindi si vide che la pinna stabilizzatrice era rimasta impigliata e per minuto Strasser parve penzolare quasi rovesciato. Intanto il cavo si aggrovigliava nell'uscire dal verricello a mano, e a grandi spire pendeva dalla navicella d'osservazione, ma Strasser restò attaccato paurosamente, mentre tutti si aspettavano di vederlo sbalzare fuori e precipitare sul campo.
Finalmente la pinna si disimpigliò, le spire si distesero e la navicella cadde come una pietra. Per quale ragione il cavo non si sia rotto sotto quello sforzo fu un mistero, ma è certo che resisté, e il comandante del reparto dirigibili della marina agitò una mano vivacemente per rassicurare tutti che era salvo. Ignorando la sua spaventosa esperienza, Strasser si convinse che l'idea era realmente buona e ordinò che ogni Zeppelin fosse equipaggiato con un verricello e una navicella da osservazione.

(Arch Whitehouse, Le battaglie degli Zeppelin. Longanesi, 1968)




Pack your bags, we're leaving
earth, where hate is seething,
nothing's worth believing.
There's no time, make up your mind!
Imperial Zeppelin...

Quick, the engines are turning,
cabin lights are burning,
now there's no returning.
We'll have love a mile above...
Imperial Zeppelin, Imperial Zeppelin, Imperial Zeppelin!

We, the undersigned, being of sound mind, 
hereby to declare:
'We henceforth pledge ourselves
unto the power of the Upper Air.'

Doesn't that sound simply super,
Zeppelin visions of the future?
Of course we all know very well it wouldn't work, but what the hell -
every dice deserves a throw,
and when we get back home below
we can say we had a go!

Overboard we are throwing
seeds of love we are sowing,
hope to God they're growing.
Flying high across the sky:
Imperial Zeppelin!

We will try to do some good,
I don't know why we really should,
I only wish that we could!
Down below they'll see and know all about
Imperial Zeppelin, Imperial Zeppelin, Imperial Zeppelin!




giovedì 12 settembre 2013

La Buona Annata's History Channel: Korla Pandit

Nato nel 1921 a Delhi da una cantante francese d'opera e da padre bramino, Korla Pandit aveva cominciato a suonare il piano all'età di due anni e mezzo. A dodici si era trasferito con la famiglia negli Usa, dove in seguito avrebbe frequentato l'Università di Chicago. Infine si era stabilito a Los Angeles, divenendo un vero e proprio maestro della tastiera. Quando nel 1935 la Hammond Co. immise sul mercato il primo organo elettrico, di certo non pensava al ruolo che lo strumento avrebbe assunto nell'ambito della musica popolare. Piuttosto aveva puntato al vasto mondo delle sonorizzazioni (radiofoniche, cinematografiche) e a un sicuro impiego in ambito ecclesiastico.
Pandit era, invece, convinto che l'Hammond avrebbe potuto rivoluzionare l'intero mercato della musica, bastava solo ampliarne le possibilità musicali.
Mentre con la mano destra mantenevo l'armonia e la melodia, con la sinistra ero in grado di ottenere effetti percussivi, - racconta il musicista. - Questo era possibile sperimentando con le timbriche che mescolavo al suono proveniente dalla pedaliera dei bassi; così potevo imitare bonghi, piatti e tom.
L'artista era in grado di evocare una vera e propria orchestra, come quelle big band che si esibivano negli anni Quaranta a Balboa e che durante gli intervalli gli "lasciavano" il palcoscenico. Pochi minuti per intrattenere il pubblico, ma a Korla Pandit erano sufficienti. Di lui si era accorto anche Art Tatum, importante pianista jazz, che lo aveva spesso invitato ad alcune session musicali tra amici. Anche Peggy Lee, Mel Tormé, i Sons Of The Pioneers o Roy Rogers avevano notato quel ragazzino indiano. Addirittura Yogananda, l'autore di Autobiografia di uno Yogi, gli aveva chiesto di esibirsi dinanzi ai suoi discepoli.
Prima di approdare in televisione Korla Pandit aveva lavorato anche con Chandu The Magician, conduttore dell'omonimo programma radiofonico. Chandu aveva bisogno di un pianista in grado di evocare lande esotiche e distanti, di meravigliare gli ascoltatori trasportandoli fin sulle rive del Gange. Solo Korla avrebbe potuto accontentarlo. Sulle note di Misirlou o di The Trance Dance i suoni dell'artista si propagavano nell'aria scatenando i sogni di fuga di migliaia di ascoltatori. Del resto erano tempi in cui solo la radio era in grado si sollecitare l'immaginazione del pubblico; e Korla era il re indiscusso di ogni fantasia pagana. Nonostante l'ampio seguito e l'enorme successo, la carriera del musicicsta sarà però costellata di discriminazioni e razzismi.
RJ Smith ricorda come negli anni Quaranta il sindacato dei musicisti di Los Angeles fosse ancora segregato e diviso in "bianchi", "neri" e "latini". Nessuna voce per gli "indiani". Pandit fu costretto a riporre il turbante, cambiare nome in Juan Orlando e farsi "passare" per messicano. Non finì qui. Un incendio distrusse i registri del sindacato e l'artista non riuscì a farsi pagare i diritti dei pezzi depositati a nome Orlando. Con la Ktla, presso cui aveva lavorato fino alla metà degli anni Cinquanta, sarebbe andata anche peggio. Nonostante il record di ascolti i responsabili dell'emittente avevano deciso di non concedergli alcun aumento. Pandit abbandonò subito il posto di lavoro. Infine la Fantasy, etichetta prevalentemente jazz con cui Pandit avrebbe inciso quattordici dischi: a stento onorerà gli impegni economici presi con l'artista.
Negli anni Sessanta-Settanta Korla Pandit avrebbe avviato la sua piccola casa discografica, la India, partecipando a seminari e concerti New Age, esibendosi nelle università e in centri quali il Philosophical Research Center.
Con il tempo la sua musica ha perso quell'alone di mistero e novità che la contraddistingueva agli esordi, e anche gli effetti percussivi con cui "strapazzava" l'organo sono divenuti una consuetudine in ambito jazz e pop. Resta comunque un nome di riferimento dell'ondata Exotica e della musica popolare americana in genere.
Echi delle sue canzoni si avvertono addirittura nei Doors e nell'organo che introduce Light my Fire, uno dei loro brani più noti. Gli stessi Beach Boys si sarebbero ispirati a lui durante le registrazioni di Smiley Smile (1967), un disco caratterizzato da un uso reiterato dell'organo e sotteso da una forte vena di misticismo. Infine negli anni Ottanta e Novanta anche gruppi come Dead Kennedys o Cramps avrebbero considerato l'artista un'importante fonte di ispirazione.
Con il revival Exotica Korla Pandit è apparso nel film Ed Wood, ha suonato dal vivo e pubblicato, nel 1996, Exotica 2000, un nuovo disco sullo stile degli album che lo avevano reso famoso. Nello stesso anno è uscito anche Journey to the Ancient City, un cd a nome Karla Pundit, divertente pseudonimo di Lance Kaufman che, imitando lo stile di Pandit e ironizzando sul suo misticismo, aveva reso omaggio al musicista indiano.Il 2 ottobre 1998 Korla Pandit è morto per cause naturali nella sua casa di Los Angeles. Nelle interviste asseriva che la sua età si aggirava "tra i 2028 e i 2039 anni".

(Francesco Adinolfi, Mondo Exotica. Einaudi, 2000)




Cantique

Ritorniamo a distanza di tempo sui Lyonesse, oggetto del nostro primo storico post, per parlare del loro secondo album, pubblicato nel 1975 dalla PDU. Concepito nel raccoglimento del villaggio di Le Petite Marche, venne registrato tra Parigi, Milano e Lugano nei mesi di febbraio e marzo di quell'anno. I Lyonesse si presentano come trio, con Pietro Bianchi e Mireille Ben affiancati da Eoin O'Duignan, proveniente dal gruppo scoto-irlandese Wild Geese, in cui militò il futuro Capercaillie Manus Lunny.
Con l'eccezione dell'introduttiva Quintessence, suggestivo strumentale composto da Pietro Bianchi, tutti i brani provengono dal repertorio tradizionale irlandese, canadese, bretone e del Berry.
Nell'attesa di tornare su questo grande gruppo cogliamo l'occasione per segnalare i siti Mes Archives Sonores e Memoire du folk en Nord Pas-de-Calais, ricchi di informazioni e registrazioni di un genere musicale meno conosciuto del folk e del folk revival britannico ma di grande interesse e attualità. 



Produced by Roy Tarrant & Lyonesse

1 - Quintessence (Pietro Bianchi)
2 - La Pincesse Pendue (Paroles trad. Canada, Musique Pietro Bianchi)
3 - Cantique (Trad. Bretagne, Arr. Lyonesse)
Gigue a Bouche (Trad. Canada, Arr. Lyonesse)
Port Luasca (Trad. Irlande, Arr. Lyonesse)
4 - Coppers & Brass (Trad. Irlande, Arr. Lyonesse)
5 - Branle de Beauce (Trad. Berry, Arr. Lyonesse)
6 - Belle Nanon (Trad. Canada, Arr. Lyonesse)
The Rights of Man (Trad. Irlande, Arr. Lyonesse)
7 - The Faerie's Hornpipe (Trad. Irlande, Arr. Lyonesse)
8 - Voilà le Printemps (Trad. Haut Berry, Arr. Lyonesse)
9 - Anterdro (Trad. Bretagne, Arr. Lyonesse)
10 - The Three Sea Captains (Trad. Irlande, Arr. Lyonesse)

Mireille Ben:  chant, dulcimer
Pietro Bianchi:   piano, clavecin orgue, violon, chant
Eoin O'Duignan:   uillean pipes, tin whistle





sabato 7 settembre 2013

La Buona Annata's Literary Supplement: Storia naturale

Come Georges-Louis Buffon:
Storia naturale
di Paul Réboux



Il Pidocchio
Il Creatore trattò mediocremente il pidocchio, cui furono date non più che una mente gracile e una debole complessione. Il pidocchio è lento, impacciato, limitato quanto è fiero il cavallo, ardente e impetuoso. Niente denti né unghie, niente zoccoli per battere il suolo; troppo corte le gambe e mal messe, un volto senza espressione, rado il pelo e incolore, il passo imbastito, nessun modo di difesa se non la tenacia.
Per quanto disgraziati, i pidocchi restano degni di nota per le virtù domestiche, la temperanza, la probità. La pietà filiale che mostrano verso i parenti e le tenere cure che gli prodigano sono state osservate sovente. Furon visti giovani pidocchi vigorosi aiutare il vecchio padre languente o indebolito a forare la pelle donde doveva zampillare il sangue nutritore. Abbiamo il diritto di credere che, come affermarono gli antichi, la natura abbia veramente situato in questo rozzo cuore un pio sentimento cui l'anima degli umani è troppo spesso infedele.
Le femmine durano gravide, si dice, per due mesi. Partoriscono verso la fine dell'inverno e fanno tre o quattro piccoli, detti pinocchi. Nulla si ha di più commovente che la cura ch'esse mettono nell'allattarli, curarli, allevarli fino a che i pinocchi siano capaci a loro volta di pascere.

La Cimice
Durante il giorno le cimici cercano ricetto nelle rientranze. Lo splendore del sole le ottenebra. Vivono in compagnia, premute le une contro le altre. Occupano le fessure degli impiantiti, i buchi dei muri. Sembra che si riuniscano in tal modo per considerazioni morali e che barattino volentieri le loro comodità pur di darsi a rimediare un difetto del nostro alloggio.
Tuttavia la cimice non è proprio tenuta in considerazione. Le si fa rimprovero della forma piatta del corpo. Si è che tale piattezza non ha riprova soltanto nell'ordine fisico. La cimice è umile, adulatrice, melliflua, circospetta, insinuante. Cammina ostinata, cerca di arrivare ai fini che si è proposti. Essa si sforza di sembrar timida, austera, attenta a non ometter nulla delle pratiche religiose. Per farsi attribuire la modestia delle divote, non ha cura lacuna del proprio corpo; ben lo si vede quando la si smuova con un pò vivacità, ch'essa esala un odore da certi giudicato indisponente.

La Pulce
La pulce è per natura assai petulante. Salta senza sforzo, possente quanto leggiera. Fiera della propria indipendenza, è agile, molto guardinga, molto pronta, capricciosa e vagabonda; le piace arrampicarsi sui luoghi ripidi, si mostra, si nasconde o fugge e tutta la scioltezza dei suoi organi basta appena a quella rapidità di movimenti che per lei è naturale.
La sua veste è bruna e lucente. La sua testa sembra poco proporzionata all'addome. Tuttavia ha orecchi che sono ben fatti e di giusta grandezza, né corti come quelli del toro né troppo lunghi come quelli dell'asino.
Ha fisionomia fine e sguardo vivace. Il suo istinto non la porta a sfuggire gli altri animali, anzi al contrario. Divide i giuochi, i lavori, il sonno del cane, e dell'uomo porta una fedeltà degna di elogi.
Il maschio della pulce si chiama il pulcello. Il pulcello, contrariamente alla fama d'ignoranza che la malignità pubblica legga a tal nome, compie i suoi doveri in maniera che non gli merita rimprovero alcuno.
Benché mammifera, la pulce è ovipara. Depone una larva nella quale la sua progenitura si forma a poco a poco durante un paio di settimane. Questa larva ha ricevuto il nome di prepulzio.
La pulce è suscettibile d'educazione, e se ne son viste di addestrate assai bene in modo da costituire curiosità da spettacolo. Trainano carrettini, fan capriole come i saltimbanchi e danzano al suono del flautino. Ma è deplorevole che le pulci siano in tal modo esibite in pubblico, in quanto esse non tardano a esser corrotte dalla vanità, come accade troppo spesso alle persone che si fan mestieri di divertire.

(Guido Almansi, Guido Fink. Quasi come. Parodia come 
letteratura, letteratura come parodia. Bompiani, 1976)





venerdì 6 settembre 2013

La Buona Annata's History Channel: Vampirismo medianico

Si suole indicare con questa espressione un fenomeno più volte riscontrato, per il quale alcune persone sembrano avere la facoltà, più o meno inconsapevole e più o meno volontaria, di trarre energie vitali da altre persone che vivono con loro o sono loro vicine. Questi "vampiri" possono anche non essere medium e i fenomeni possono avvenire nella vita normale come in sedute medianiche.
Fin dall'antichità i medici hanno sconsigliato di far dormire nella stessa stanza un giovane e un vecchio. Le ragioni che ne sono state date, e se ne danno, sono varie e più o meno vaghe, ma evidentemente derivano da una lunga esperienza: il giovane perde vitalità a vantaggio del vecchio. Il reverendo Townsend, nel secolo scorso, citava il caso di una vecchia signora che cercava cameriere giovani offrendo loro alti stipendi a patto che dormissero nel suo letto; le ragazze deperivano in breve tempo ed erano costrette a lasciare il servizio. David Gow, che fu direttore della rivista Light, cita a sua volta casi di persone dalla vitalità aggressiva, sanguigne e corpulente, che, solo stando per un'ora o due a contatto con giovani di temperamento passivo e impressionabile, provavano un improvviso benessere mentre il giovane si sentiva prostrato. Il fisiologo tedesco Heufeland notò che i maestri delle classi elementari sono per lo più longevi e spiegava il fatto con il loro continuo contatto con giovani organismi. Il medico Robert Fielding Ould riferisce nel Journal of the American Society for Psychical Research del 1921 di un suo paziente il quale provava un improvviso miglioramento ogni volta che lo visitava, mentre egli si sentiva, all'opposto, stanco e indebolito. Miss H.A. Dallas narra che, essendo rimasta a lungo al capezzale della medium Florence Cook, alla vigilia della sua morte, se ne allontanò in uno stato di straordinario esaurimento. 
Nelle sedute medianiche è ormai accertato il fatto che le energie necessarie per le varie manifestazioni vengono attinte non solo dal medium ma anche, e probabilmente per suo tramite, dai presenti, i quali tutti più o meno ne risentono. Maxwell sperimentò una volta questo fenomeno dopo una seduta con Eusapia Paladino, constatando, col dinamometro, che i presenti alla destra della medium avevano subito una perdita di energie fino a 6 chilogrammi, quelli alla sua sinistra fino a 14. Egli stesso cadde in deliquio per sfinimento dopo una seduta in cui era stato accanto a lei. 
Crawford, sperimentando con la Goligher, notò che, dopo la seduta, i presenti avevano perso un peso che variava dai 140 ai 280 grammi e si sentivano più esauriti della medium. D.D. Home sottraeva spesso energie a chi presenziava ai suoi fenomeni, a eccezione dello sperimentatore, il fisico William Crookes, che non ne risentiva alcun danno: Lord Adare, che fu tra i primi a studiarlo, dovette abbandonare le esperienze con lui per lo stato di prostrazione in cui cadeva dopo ogni seduta. Hyslop, dopo la sua prima seduta con la signora Piper, dovette stare a letto due giorni per rimettersi dall'esaurimento. Si pensa che, in tutti questi casi, il "vampiro" sia lo stesso medium, il quale prende forza dagli astanti per produrre i suoi fenomeni, e talora in misura superiore alle energie prodigate da lui stesso.
Di norma il fenomeno non lascia conseguenze, e, nel peggiore dei casi , bastano alle "vittime" un paio di giorni di riposo per ristabilirsi. Ma vi sono stati alcuni episodi drammatici. La D'Espérance riferì nella rivista Light del 1903 un caso mortale. Pregata da una sua amica, permise che il figlio di lei, quanto mai scettico in fatto di fenomeni medianici, assistesse a una seduta, durante la quale si materializzò una personalità; il giovanotto, sicuro di un inganno, si gettò sulla forma materializzata afferrandola; questa reagì con estrema violenza mentre la madre di lui si abbatteva con un grido. Rifatto luce, la forma era scomparsa e la donna era in preda a convulsioni: morì qualche tempo dopo. Secondo la D'Espérance, la personalità materializzata, per divincolarsi, aveva sottratto ogni energia vitale alla sciagurata. Bozzano, infine, in Luce e Ombra del 1925, dà relazione di una seduta alla quale fu presente e a cui partecipavano due medium fra loro amicissimi: Luigi Poggi e Tito Aicardi. Caduti entrambi in trance, il Poggi "si avvicinò all'altro medium e prese a tracciare dei grandi passi magnetici sulle braccia di lui, cominciando dall'omero e scendendo alle estremità digitali; ogni volta facendo atto di riversare sulle proprie braccia il fluido vitale sottratto alle braccia dell'amico. Quindi fece altrettanto con gli arti inferiori... Dopo di che passò al cuore, sul quale sovrappose ripetute volte la punta delle sue dieci dita riunite, tenendole sul posto un paio di minuti per poi di volta in volta portarle sul proprio cuore. Infine passò al cervello sovrapponendo a esso la faccia palmare delle proprie mani distese e riunite abbassandole poi lentamente verso la nuca per poi toglierle di scatto e sovrapporle al proprio capo... Dopo circa un quarto d'ora si svegliò spontaneamente (caso mai capitato con lui), si guardò attorno e domandò: 'Che cosa è successo? Mi sento invaso da un benessere straordinario.' Intanto l'altro medium, sempre in trance, giaceva prostrato sul seggiolone e appariva sbiancato come un pannolino. Ci affrettammo a risvegliarlo coi soliti metodi e quando vi riuscimmo dopo reiterati sforzi, trovammo che il povero Aicardi non aveva la forza di reggersi in piedi. Egli rivolse intorno uno sguardo spaurito domandando a sua volta: 'Che cosa è successo?' Ma purtroppo il motivo della sua interrogazione era diametralmente opposto a quello dell'altro. Egli disse di sentirsi letteralmente esausto e di provare una sensazione generale penosissima come se lo avessero svuotato". Gli effetti di questo vampirismo durarono una settimana e solo dopo un paio di mesi Aicardi poté riprendere come di consueto la sua attività di medium. Inoltre si manifestò in lui un senso di antipatia verso l'amico, che perdurò per parecchi mesi e non si estinse mai del tutto.

(L'altro Regno. Enciclopedia di metapsichica, di parapsicologia
 e di spiritismo. A cura di Ugo Déttore. Bompiani, 1973)