lunedì 2 novembre 2015

La Buona Annata's Literary Supplement: Tamlin

In un tempo così antico che nessuno lo ricorda, la Regina delle Fate era solita riunire la sua corte notturna a Carterhaugh, vicino a Selkirk, nel punto dove le acque del fiume Ettrick curvano per unirsi allo Yarrow, ed entrare insieme a lui nel Tweed.

Lungo e crudele era l'inverno nelle alte e solitarie vallate della Terra di Confine, quando il vento del nord fischiava e ululava attraverso gli alberi spogli e soffiava la neve più in alto delle mura dei granai e delle case. Le ragazze dei villaggi di Ettrickdale e di Yarrow, sedute nelle loro stanze a cucire la seta, lasciavano cadere il lavoro sulle ginocchia e sospiravano pensando alla primavera, quando avrebbero potuto di nuovo incontrarsi nella pianura di Carterhaugh.
Pensavano:
"In nessun posto della Terra di Confine l'erba è verde come quella di Carterhaugh! In nessun posto le rose di campo hanno un colore così delicato, e le campanule un colore così puro, la ginestra è di un oro tanto splendente! Come è bello quando ci andiamo a raccogliere i fiori, a giocare a palla e ridere, ballare e cantare, prima di tornare a casa al tramonto, perché, noi lo sappiamo, quando è buio la pianura appartiene al Piccolo Popolo!"
Fra tutte le ragazze che giocavano, parlavano, ridevano e danzavano sull'erba verde a primavera, la più bella e coraggiosa era Lady Janet: i suoi genitori l'amavano moltissimo, e suo padre le aveva regalato la terra di Carterhaugh.
Era una luminosa mattina di maggio, e Janet giocava con altre ventiquattro ragazze, lanciando in alto una palla colorata, e ridevano sollevando le vesti di seta per correre con i piedi scalzi a riprenderla. All'improvviso, apparve in mezzo a loro la Regina delle Fate e disse con voce fredda:
- Questa è l'ultima volta che potete giocare in questo posto. Vi proibisco di rimettere i piedi sull'erba di Carterhaugh sia di giorno che di notte, perché ora appartiene al giovane Tamlin.
E in un attimo la fata scomparve.
Le ragazze, spaventate, andarono di corsa a infilarsi le pantofole, e a raccogliersi i capelli, pronte ad obbedire a quell'ordine. Solo Janet rimase ferma, e gridò con furia:
- Che diritto ha di dire che non possiamo più giocare in questo posto? Questa terra è mia, me l'ha donata mio padre. Di notte ci viene il Piccolo Popolo, ed è benvenuto, ma durante il giorno mi appartiene, e io ci verrò ogni volta che vorrò. E anche voi verrete a giocare!
- No, Janet, non verremo! - rispose una delle amiche.
- Non possiamo fare arrabbiare la Regina delle Fate! - disse un'altra.
- Ci dispiace, addio! - disse una terza.
E le ventiquattro compagne corsero alle loro case lungo lo Yarrow e l'Ettrick.
Janet, rimasta sola nella distesa verde, sospirò profondamente e se ne andò: ma quando arrivò a casa sua, a Bowhill, non raccontò niente di quello che era accaduto ai suoi genitori.
Il mattino seguente, appena sveglia, stirò le braccia verso il cielo, prese in faccia il primo raggio di sole e pensò:
"Cosa farò di bello quest'oggi? Ecco cosa farò: raccoglierò fiori per mia madre, che mi ama tanto. Raccoglierò per lei le rose di campo, che hanno quella tinta leggera così bella, e crescono sul cespuglio di rovi accanto al pozzo di Carterhaugh, la mia terra..."
Allora indossò il vestito di seta, verde come l'erba, e le pantofole, che erano rosse come bacche di sorbo, si pettinò i lunghi capelli biondi, fece una treccia, l'avvolse attorno alla testae la fissò con due pettini d'oro ornati di smeraldi, verdi come il vestito e come l'erba di Carterhaugh. Poi raccolse la lunga gonna fra le mani e corse sul prato, fino al cespuglio di rovi che cresceva accanto al pozzo.
Aveva appena raccolto il primo bocciolo di rosa, così delicatamente colorato, quando sentì una voce arrabbiata alle sue spalle che gridava:
- Chi sei? Che ci fai, tu, qui a Carterhaugh?
Janet si voltò, e si trovò davanti un cavaliere su un cavallo bianco come il latte, che aveva agli zoccoli due ferri d'argento e due d'oro. Anche il cavaliere era vestito di bianco dalla testa ai piedi, e sui capelli bruni e ricciuti portava un bel cappello dalla piuma rosa.
- Chi sei? E cosa fai qui a Carterhaugh? - domandò di nuovo il cavaliere.
- Sono Lady Janet, - rispose con orgoglio la ragazza. - Sto raccogliendo rose di campo per mia madre, perché tutta questa terra mi fu donata da mio padre, e mi appartiene.
Il cavaliere la guardò con occhi freddi e grigi come le acque dell'Ettrick in un giorno di febbraio.
- La Regina delle Fate ha dato questa terra a me, Tamlin! - gridò. - Se tu vieni in questa terra, rischi molto!
- Questa terra è tua dal tramonto all'alba, - disse lei. - Non ne hai abbastanza?
Tamlin scosse la testa, corrucciato, e il cavallo bianco nitrì, colpendo violentemente il suolo con uno zoccolo.
- Ieri ho giocato qui con ventiquattro compagne, - disse Janet. - C'era abbastanza spazio per tutte, e anche di più: oggi ci dovrebbe essere abbastanza spazio per me e per te!
Poi si voltò, e cominciò a raccogliere i bianchi boccioli spruzzati di un rosa delicato.
La rabbia allora scomparve dalla faccia di Tamlin, e il suo sguardo divenne strano e triste.
- Resta pure, per oggi, e raccogli le rose per tua madre, - disse. - Ma poi Carterhaugh sarà solo mia.
Janet non disse niente: raccolse l'ultima rosa di campo, poi guardò il cielo blu, ascoltò il trillo armonioso dell'allodola che volava sopra di lei. Anche il cavaliere bianco guardò in alto con il suo sguardo triste, e disse sospirando:
- Quanto tempo è passato, da quando ho sentito il canto dell'allodola... Era un mattino di maggio, e non ricordavo più come fosse meraviglioso!
Poi diede uno strattone alle redini, e il cavallo bianco come il latte galoppò via, mentre Janet raccoglieva la gonna di seta con la mano sinistra, e tornava lentamente verso casa.
Il mattino seguente, quando si svegliò, si stirò a lungo, e sorrise al sole appena levato, e si chiese cosa avrebbe fatto in quella giornata.
"Raccoglierò fiori per mia madre, che mi ama tanto, - pensò. - Raccoglierò anche ramoscelli di ginestra verde pieni di fiori dorati, quelli del cespuglio che cresce vicino al pozzo di Carterhaugh, che mi appartiene."
Così indossò il vestito di seta verde come l'erba e le pantofole rosse come le bacche di sorbo selvatico, pettinò i lunghi capelli biondi, fece una treccia, se l'avvolse alla testa e la fissò con due pettini d'oro ornati da smeraldi verdi come il vestito e come l'erba di Carterhaugh. Poi raccolse la gonna e corse nel prato, fino alla ginestra che cresceva accanto al pozzo. Aveva appena spezzato il primo rametto, quando sentì dietro di sé una voce arrabbiata:
- Chi sei? Cosa fai qui a Carterhaugh?
Janet si voltò: ecco il cavaliere sul cavallo bianco come il latte, con due ferri d'oro e due ferri d'argento sugli zoccoli: ma questa volta la piuma sul cappello del cavaliere era dorata come il fiore di ginestra.
- Io sono Lady Janet, - rispose tranquilla la ragazza, - e sto raccogliendo ginestra dorata per mia madre, poiché tutta questa terra mi appartiene.
- Appartiene a me! - gridò Tamlin con furia, e i suoi occhi grigi erano crudeli come il fiume Yarrow quando si scioglie la neve sulle colline, e l'acqua precipita giù a caccia di pecore affaticate o viandanti dispersi.
- Non ricordi? - disse la ragazza a bassa voce. - Ieri ho raccolto un mazzo di rose per mia madre, e abbiamo ascoltato l'allodola che cantava. C'era abbastanza spazio per tutti e due: perché non dovrebbe essercene anche oggi?
Poi si voltò, e ricominciò a raccogliere i rami verdi dai fiori dorati.
Sul volto di Tamlin la rabbia si spense, e i suoi occhi grigi si riempirono di uno sguardo triste.
- Poiché sei qui a raccogliere ginestre per tua madre, rimani pure, - disse. - Ma dopo, Carterhaugh sarà soltanto mia.
Senza parlare, la bella Janet raccolse l'ultimo rametto di ginestra dorata, e poi sedette sull'erba a guardare, oltre lo Yarrow, le lontane brughiere, ascoltando il canto lamentoso del chiurlo: e Tamlin la guardava con i suoi occhi tristi e sospirava.
- E' passato tanto tempo dall'ultima volta che ho ascoltato il chiurlo, in una mattina di maggio, che quasi avevo dimenticato come è meraviglioso, - disse, poi diede uno strattone alle redini e il cavallo bianco come latte galoppò via.
Janet si alzò, raccolse con la sinistra la gonna di seta e tornò a casa lentamente.
Il mattino dopo, al risveglio, la ragazza decise di raccogliere un mazzo di giacinti di campo per sua madre, e siccome i giacinti più belli crescevano vicino al pozzo di Carterhaugh, si vestì, si pettinò, raccolse la gonna e corse al prato.
Quando fu al pozzo, c'era Tamlin che l'aspettava sul suo cavallo bianco come il latte, e la piuma sul cappello era blu come il giacinto.
Questa volta, però, il cavaliere non fece domande, e rimase in silenzio a guardarla mentre lei raccoglieva i lunghi steli delle campanule, e quando il mazzo fu completo lui scese da cavallo e camminarono insieme fino alla sponda dello Yarrow, e là sedettero, ascoltando il grido malinconico di una pavoncella.
- Quanto tempo è passato da quando ho sentito la pavoncella gridare! - disse Tamlin guardando gli occhi di Janet. - Quasi avevo dimenticato com'è meraviglioso...
La ragazza inclinò il capo, e domandò:
- Non ci sono forse uccelli nella Terra delle Fate? Perché sospiri quando senti il canto dell'allodola, del chiurlo o della pavoncella?
- No. - lui rispose abbassando gli occhi sull'acqua del fiume. - Le Fate hanno la loro musica per danzare, e non hanno bisogno del canto degli uccelli. Ma io li ricordo ancora, perché sono nato mortale.
Lei aspettò in silenzio, guardando l'acqua come lui, finché il cavaliere riprese a raccontare:
- Mio padre era Randolph, Conte di Murray, e mia madre era la donna più dolce del mondo. Ma un giorno, mentre ero a caccia sulle colline, la Regina delle Fate mi vide, e mi volle come suo cortigiano. Chiamò dal Nord un vento freddo che mi gelò fino al midollo delle ossa, e io caddi da cavallo e restai per terra svenuto. Poi la Regina delle Fate mi fece portare su quella collina verde, laggiù, dove mi bagnò con erbe magiche e fece strani incantesimi, e mi diede da bere il latte delle capre invisibili di Nettygan... E ora sono Tamlin, il suo cavaliere prediletto, e ogni giorno che passa la mia memoria delle cose della vita scompare, come scompare un sogno lungo una giornata...
- Non sei felice di vivere nella Terra delle Fate, dove nessuno ha dolore e malattia? - chiese la bella Janet.
- Una volta lo ero, - lui rispose. - Ma adesso che ti ho incontrato, vorrei che l'incantesimo finisse per poterti sposare.
E lei rispose:
- Quello che la Regina delle Fate fa, io lo posso disfare, perché nemmeno io sarò felice finché tu non tornerai a essere mortale e io ti potrò sposare. Dimmi cosa bisogna fare, e lo farò.
Lui la guardò negli occhi e disse:
- L'incantesimo è potente, e per vincerlo dovrai essere più coraggiosa di tutte le ragazze della Terra di Confine: dovrai tornare a casa, e fare la tua vita per tutta l'estate e l'autunno, senza mai pensare a Tamlin, e senza venire mai, né di giorno né di notte, nella verde piana di Carterhaugh. Quando arriverà l'ultima notte di ottobre, la vigilia di Ognissanti, se avrai ancora il coraggio di rompere l'incantesimo, dovrai andare a Miles Cross e aspettare là, perché a mezzanotte la Regine delle Fate passerà a cavallo con tutti i suoi cavalieri, per andare a danzare sulla verde erba di Carterhaugh.
- E come potrò riconoscerti fra tanti cavalieri? - disse la bella Janet.
- Ascolta attentamente, - disse Tamlin, sfiorandole con le dita fredde il dorso della mano. - Ascolta bene, e fa esattamente quello che ti sto per dire, perché da questo dipenderà il mio destino: e per quanto la Terra delle Fate sia un incanto, io desidero solo ritornare mortale e vivere insieme a te.
Dunque, quando sarai là a Miles Cross la notte della vigilia di Ognissanti, tu sentirai per prima cosa il suono dei flauti fatati, suonati dai Folletti di Grastacombe, e poi i colpi dei tamburi fatati, suonati da quelli di Norsival, e poi verrà un portabandiera vestito di foglie d'argento, con una bandiera rossa, e guiderà la prima compagnia, chiamata degli Uomini Leggeri: ma tu non badare a loro, e non ti muovere, perché io non sarò fra quelli.
Poi arriverà un portabandiera vestito di foglie d'oro, e porterà una bandiera verde, alla testa della seconda compagnia di cavalieri, detti i Fratelli Senza Tristezza: ma tu non agitarti, non muovere un dito, perché io non sarò fra quelli.
Alla fine vedrai un portabandiera vestito di foglie rosse, che porterà una bandiera bianca, davanti alla terza compagnia, detta dei Cavalieri Del Lungo Grido, e allora cercami attentamente con gli occhi. Il primo cavaliere avrà un'armatura nera, e cavalcherà una bestia nera come la notte: non sarà Tamlin. Il secondo avrà un'armatura marrone come una castagna, e anche il suo cavallo: ma non sarà Tamlin. Il terzo cavaliere sarà bianco, con il cavallo bianco come latte: e sarò io. Porterò una stella d'oro in fronte, e avrò un guanto bianco sulla destra, ma la sinistra nuda, e in quella terrò la mano della Regina delle Fate. Appena mi vedrai, mia bella Janet, salta fuori come una volpe, afferra le redini, e tirami giù da cavallo, e tienimi stretto qualunque cosa accada, perché la Regina delle Fate si arrabbierà molto, e userà molti trucchi per fare in modo che tu mi lasci andare: e se tu mi lascerai andare, sarà per sempre.
- Farò come hai detto, Tamlin, o che io abbia un dolore per ogni capello della mia testa, - promise la bella Janet.
Così se ne andò, e per tutta l'estate e tutto l'autunno non ritornò più nel verde prato di Carterhaugh, e si teneva la mente occupata tessendo e filando, per non pensare al cavaliere bianco.
Quando arrivò l'ultima notte di ottobre, vigilia di Ognissanti, Janet si avvolse nel mantello verde erba, e si mise in cammino alla luce della luna verso Miles Cross.
C'era un silenzio terribile, e nel cuore della ragazza c'era il gelo della paura, perché molte cose terribili erano avvenute in quel tratto di campagna, o almeno si raccontava che fossero avvenute.
Era nel piccolo cimitero della chiesetta di Saint George, per esempio, che Mary Gull la lavandaia, cento anni prima, era stata trascinata in una tomba da magre e bianche mani.
Era sul muretto del ponte di Castlefrog, si diceva, che i diavoli più cattivi dell'inferno venivano ad arrotare i loro denti neri.
Era dai rami della quercia di Pendritt Place che, si raccontava, si allungavano nella notte corde viscide, alla ricerca di colli viventi.
Ma nonostante quel nocciolo di terrore nel cuore, e nonostante sentisse la radice di ogni capello tirarle sulla testa, Janet camminava, perché doveva essere la più coraggiosa, per liberare il cavaliere bianco.
Finalmente arrivò a Miles Cross, e si mise ad aspettare. C'era ancora silenzio, ma la paura del cuore se n'era andata, e i capelli non tiravano più, e si muovevano appena a un leggero vento notturno.
Ed ecco, sentì un lontano rumore di flauti, e poi di tamburi fatati, e capì che stava arrivando la processione della Regina delle Fate, per andare a danzare sul verde di Carterhaugh.
Per primo arrivò il portabandiera con la bandiera rossa, ma la ragazza restò ferma e nascosta, e lasciò passare quella compagnia, perché non era quella di Tamlin.
Poi passò il portabandiera con la bandiera verde, e di nuovo la bella Janet non si mosse, perché non era quella la compagnia del suo amico.
Ma quando arrivò il portabandiera con la bandiera bianca, con il cuore che le batteva forte, lasciò passare il cavaliere dall'armatura nera, sul suo cavallo colore della notte, e lasciò passare il cavaliere marrone: ma quando vide il cavaliere bianco, con la stella d'oro in fronte, sul suo cavallo colore del latte, e il guanto sulla destra, e la sinistra nuda, che reggeva la mano della Regina delle Fate che cavalcava accanto a lui, Janet prese un fondo respiro, corse avanti, afferrò le redini bianche, prese la mano guantata di Tamlin e lo tirò giù dalla sella, stringendolo forte tra le braccia.
Le fate che seguivano la Regina cominciarono a strillare, e la Regina fermò il cavallo, e guardò la ragazza con la furia negli occhi. Le Fate sono belle, ma quando si infuriano possono fare più paura delle streghe.
- Pensi di poter scappare, Tamlin? - gridò, e alzò un dito della mano destra. Subito il cavaliere bianco si trasformò in una grande lucertola verde che tremava e si agitava per liberarsi: ma Janet guardò negli occhi dolci della creatura, e la tenne stretta contro di sé.
La Regina delle Fate era ancora più furiosa. Alzò la mano destra, e Tamlin si trasformò in un serpente verde che si contorceva e si dimenava per liberarsi: ma Janet lo guardava negli occhi tristi e lo tenne stretto.
- Dunque vuoi sfidare la Regina delle Fate! - gridò la Regina, e alzò il braccio destro: subito Tamlin divenne un cervo selvaggio che scalciava e combatteva per liberarsi, ma Janet guardava i suoi occhi grigi, e lo teneva.
Allora la Regina delle Fate capì che l'incantesimo era rotto, e che non poteva fare più niente per tenere Tamlin al suo servizio. Lentamente sollevò la mano sinistra e ridiede al giovane l'aspetto umano. Subito Janet lo coprì con il suo mantello verde, e rimasero insieme accanto alla strada mentre la processione proseguiva verso la piana di Carterhaugh.
Il giorno dopo, a Ognissanti, Janet e Tamlin si fecero la promessa di matrimonio, e il primo giorno dell'anno nuovo le campane della chiesa di Selkirk suonarono a festa, annunciando a tutta la gente che viveva fra lo Yarrow e l'Ettrick che Tamlin, figlio del Conte di Murray, aveva sposato la bella Lady Janet, che con il suo amore e il suo coraggio lo aveva liberato.

(Storie di meraviglia. Scelte da Berlie Doherty. Edizioni EL, 2000)







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