lunedì 26 ottobre 2015

Magia nel sonno profondo

Non siamo soliti dedicare particolare attenzione ad avvenimenti che si ripetono dovunque e tutti i giorni: per lo meno, non li consideriamo meritevoli di una ricerca approfondita.
Tutti gli esseri viventi dormono; lo fanno persino le piante quando arriva il momento. Magari, neppure il fatto che le pietre non russino, ci autorizza a ritenere che non dormano.
La considerazione che sin dalla nascita alterniamo di continuo veglia e sonno, non permette che in noi sorga un sentimento di meraviglia, allorché impariamo ad avvederci che, spesso senza un motivo in apparenza sufficiente, perdiamo in pochissimi minuti conoscenza e la riprendiamo al risveglio altrettanto rapidamente. E' molto raro che il tale o il talaltro un bel momento si chieda: cosa mi accade esattamente durante il sonno profondo?
La questione non è risolvibile di primo acchito e così si lascia la risposta al... medico! La si potrebbe lasciare altrettanto bene ad un avvocato. Chi non indaga di persona in questo campo o in campi simili, non conquisterà mai la conoscenza; al massimo arricchirà, nel corso del tempo, il suo patrimonio linguistico di quella terminologia greca che caratterizza le scienze psicologiche e fisiologiche.
Si riderebbe in faccia a chi affermasse che, nel regno del sonno profondo, son sopite le cause prime da cui provengono quelle azioni che portiamo a compimento durante la veglia. L'erudito obietterà: se così fosse, coloro che non dormono da lungo tempo - e sono noti i casi di persone che non hanno dormito per anni! - piomberebbero nell'abulia più totale.
Una tale confutazione è corretta solo in apparenza; chi vi rifletta con attenzione, sarà in grado da solo di comprendere perché essa non può reggere. Anzitutto, se un essere umano è in grado di dimostrare inconfutabilmente di non aver mai dormito nel corso della propria vita, si dovrebbe sottoscrivere la convinzione corrente che il sonno sia semplicemente un riposarsi e null'altro! Esistono, al contrario, innumerevoli indagini - riproposte in ogni epoca - che dimostrano come, almeno in certe condizioni, durante il sonno si conseguano risultati superiori, addirittura sul piano della pura razionalità, di quanto si sia in grado di fare durante la limpida coscienza di veglia.
Per far qui un esempio a tutti ben noto: uno studente - credo che più tardi divenne una personalità molto in vista - si alzò, una notte, in stato di sonnambulismo e risolse un compito di matematica che aveva lasciato sul suo tavolo la sera prima. Lo fece in modo così perfetto che gli sarebbe stato impossibile durante la veglia, viste le scarse cognizioni che possedeva sulla materia. Alzatosi, il mattino seguente, ritenne che qualcun altro avesse portato a termine il lavoro; lo riconobbe come di sua mano solo dalla calligrafia: a tal punto aveva del tutto dimenticato ciò che aveva fatto fisicamente durante il sonno. 
La convinzione corrente che il sonno abbia, come scopo esclusivo, il superamento della stanchezza corporea, è totalmente falsa.
I sonnambuli si svegliano - come mi sono potuto convincere ripetutamente, persino dopo faticosissimi vagabondaggi notturni di parecchie ore - altrettanto freschi dell'uomo più sano del mondo, se non addirittura molto più riposati.
Il vecchio adagio che dice: "quando l'uomo terreno chiude gli occhi, li apre quello spirituale", oltre al noto consiglio espresso dal proverbio: "dormici sopra prima di decidere", ed a molte altre sentenze, indicazioni e cenni pratici, mi hanno, già dalla prima giovinezza, rafforzato nella vaga convinzione che vi possano essere sorgenti di forza e sapere magici talmente lontani dalla nostra coscienza di veglia da costringerci ad immergerci profondamente nei recessi del sonno, se vogliamo accostarci ad esse. 
Il perno è nel sonno profondo: lì è il punto d'appoggio dell'universo, sul quale può essere poggiata la leva di Archimede per far uscire le stelle dalle loro orbite. Questo è però uno dei compiti più difficili che ci si trova dinanzi, sul sentiero dell'autodominio. Sono necessari, per raggiungerlo, determinati ausili di pensiero. Su dieci esperimenti ne son falliti, per quanto mi riguarda, nove buoni. 
Voglio qui descrivere due casi in cui gli esperimenti ebbero successo.
Una sera - si era nel 1895 a Praga, mi coricai con il proposito di recarmi "spiritualmente" durante il sonno (o di trasferirmici) nell'appartamento, a me sconosciuto, di un mio amico, il pittore Arthur von Rimay, che allora frequentavo molto e che, come me, era particolarmente nel campo dei problemi metafisici. Volevo, così mi ripromisi, far risuonare a distanza nella sua camera alcuni colpi di bastone.
A tal scopo - o, più precisamente, per poter meglio immergermi nell'autosuggestione che mi ero riproposto - mi misi a letto, tenendo un bastone da passeggio stretto in mano e sforzandomi, al tempo stesso, di addormentarmi.
Avevo la sensazione di dover calmare il battito cardiaco, se volevo trattenere un pensiero.
Questo lo si può ottenere facilmente, grazie alla via traversa della regolazione del respiro e del sentimento.
Grazie ad un "caso" mi riuscì di addormentarmi di colpo. Seguì un sonno breve, profondo, completamente privo di sogni, simile alla catalessi. Un senso di terrore quasi folle mi assalì d'un tratto e mi risvegliò dopo circa dieci minuti. Ero in un bagno di sudore freddo ed il cuore martellava in modo talmente forte da darmi il soffocamento. Al tempo stesso, ebbi la singolare certezza interiore che l'esperimento fosse riuscito.
Guardai l'orologio e annotai l'ora. Mi sforzai dunque per ore di frugare nella memoria, alla ricerca di qualche ricordo che mi potesse dare un chiarimento su come avessi agito a distanza: tutto era immerso in un'oscurità impenetrabile: "Quindi ho trovato il perno!", dissi a me stesso. Ero talmente curioso da no riuscire ad attendere che si facesse giorno.
Verso le dieci di mattina mi recai, come al solito, dal mio amico. Stavo in agguato, attendevo che mi comunicasse qualcosa, Invano: parlava di tutto, tranne che di eventi notturni di qualsiasi genere. Dopo un po' gli chiesi titubante: "Non hai per caso sognato qualcosa di strano, stanotte, o...?".
"Allora eri tu!" m'interruppe il mio amico. Lo lasciai raccontare, senza pronunziare una sola parola. Mi disse: "Stanotte, poco dopo l'una (e l'ora era quella che risultava anche a me), mi sono improvvisamente svegliato, spaventato da un forte rumore proveniente dalla camera vicina; era come se qualcuno stesse battendo sul tavolo con un bastone a intervalli regolari. Quando il rumore divenne più forte saltai dal letto, corsi nella camera accanto e accesi la luce.
"Si era appena fatto chiaro che anche il rumore prese tosto un timbro diverso; era ancora molto forte, ma aveva un tono come di distanza, quasi un'eco. I colpi provenivano dal grande tavolo che si trovava nel centro della stanza. Non si notava nulla di strano. Alcuni minuti più tardi sono arrivate mia madre e la vecchia governante, in un comprensibile stato di angoscia. Erano state anche loro destate dal rumore e credevano che ci fossero i ladri in casa. Dopo un po', il rumore si fece sempre più debole, sino a che tacque del tutto. Scuotendo il capo ci rimettemmo infine a dormire".
Così il racconto del mio amico Arthur von Rimay, che oggi vive a Vienna e può confermare in qualsiasi momento che quanto scrivo è la pura verità.
"Ma perché non mi hai raccontato tutto questo subito, da solo? Perché hai aspettato che ne parlassi io, per quanto solo per vaghi accenni? E' abbastanza strano, no?" domandai.
"Riesco a spiegarmi la cosa, a questo punto, soltanto in un modo", fu la risposta esitante. "E cioè che la profonda impressione che mi aveva provocato il fatto, si sia stranamente dileguata nel corso delle ore di sonno che l'hanno seguito; direi quasi di avere l'impressione di aver soltanto sognato (adesso sento la cosa così distante da me)  se non ne avessi parlato, appena un paio d'ore fa, a colazione con mia madre. Di' un po', hai veramente fatto risuonare i colpi di bastone a distanza grazie ad un'azione della volontà?"
Per dimostrarlo gli mostrai un biglietto sul quale avevo annotato, durante la notte, in brevi frasi, quanto avevo in animo di tentare.
Per quanto singolare fosse il fatto in sé, mi sembra ancor più significativa la circostanza concomitante che la cosa era rimasta impressa nella memoria del mio amico in maniera completamente diversa da come avviene per i fatti della vita di tutti i giorni. A rigore, si dovrebbe ritenere che essa, proprio grazie alla sua straordinarietà, sarebbe dovuta rimanere invece ben più profondamente impressa nel ricordo!Più tardi potei constatare che in casi simili, ed in particolare nelle sedute spiritiche e medianiche, gli avvenimenti magici sono poco ancorati nella memoria o mostrano la tendenza a dileguarsi rapidamente.
Alcuni anni più tardi mi ammalai gravemente. Mi stavo spostando, una volta, col treno, dal santuario Lahmann, vicino Dresda, verso Praga. Si era nei pressi di Pirna, quando, nello scompartimento, mi venne, con mio grande rincrescimento, improvvisamente in mente che mi ero dimenticato di scrivere qualcosa di molto importante per il rapporto con la mia fidanzata - oggi mia moglie - ed oltretutto avevo indirizzato la lettera al suo indirizzo, invece che, come usavo fare, al fermo posta. Ambedue gli errori potevano distruggere il nostro futuro.
Inviare un telegramma era impossibile, per diversi motivi. La fronte mi si coprì di sudore. Impossibile trovare una scappatoia a tale situazione! Mi ritornò in mente quell'esperimento con il mio amico Arthur. Ciò che allora era riuscito, poteva funzionare un'altra volta!
No, doveva funzionare, dato che v'era in gioco tutto! Mi ripromisi di apparirle dinanzi... alla luce del giorno! Ma come? Allo specchio, mi venne l'idea. Voglio comparirle davanti e le comparirò - decisi - con la mano alzata in cenno di ammonizione e le trasmetterò il pensiero: devi fare questo e quest'altro!
Espressi l'ordine in chiare parole, rappresentandomele impresse in lettere di fuoco, ad occhi chiusi, sino a che non potessero più scomparire dall'immaginazione.
A questo punto non rimaneva che addormentarsi il più rapidamente possibile e trasferirsi a Praga!
Fare del cuore un apparecchio trasmittente, rallentandone i battiti: questa era la chiave, ed al tempo stesso astrarre i sensi dal mondo circostante! Gli occhi si possono chiudere facilmente, ma come fare con le orecchie, quando a destra ed a sinistra ci sono delle donnette schiamazzanti?
Implorai risolutamente il mio cervello: fa dunque che diventi sordo, vecchio mio! Ma sembrava che anche lui fosse sordo. Alla fine fu il cuore, così mi parve, a togliermi dì'impaccio, dato che un'altra volta, come allora, piombai d'un colpo in un sonno profondo.
Mi risvegliai dopo pochi minuti. Il mio polso era questa volta straordinariamente lento: contai non più di quaranta battiti! Contemporaneamente provai un sentimento di vittoria, così consolante e rasserenante, come raramente mi è capitato di provare in tutta la mia vita! Volli provare a far sorgere nel mio petto un mezzo sentimento di dubbio, per mettere alla prova tanta sicurezza interiore; da tutto il mio corpo sgorgò una risata, come se esultasse in me ogni goccia di sangue.
Appena giunto a Praga mi precipitai dalla mia fidanzata. la trasmissione di pensiero aveva ottenuto pieno successo! Così mi riferì la cosa lei: "Quel pomeriggio, ad una certa ora, circa mezz'ora dopo pranzo, mi ero coricata sul divano, quando fui vinta da una singolare sonnolenza. Mi ero appena assopita, quando mi sentii scuotere e mi risvegliai. Il mio sguardo si posò...".
"Sullo specchio!" la interruppi.
"No, non ci sono specchi in camera mia", ribatté la fidanzata. "No, su di un mobile lucido vicino al sofà. Sulla sua superficie riflettente vidi una figura alta circa due spanne, avvolta in un mantello chiaro, con la mano alzata in tono di ammonizione. L'immagine svanì poco dopo".
Dalla conversazione più dettagliata che nacque da ciò, risultò che mia moglie aveva fatto tutto ciò che io desideravo; solo che l'aveva fatto molto più compiutamente e meglio di quanto io avessi immaginato. E ciò che doveva fare non era punto facile, né le sarebbe venuto in mente senza il mio avvertimento, dato che avrebbe dovuto essere a conoscenza di certi particolari, che effettivamente ignorava. "Ho come ubbidito ad un'ispirazione", fu il suo commento.
Il mago medievale Agrippa di Nettesheim pronunziò la frase: "Nos habitat non tartara sed nec sidera coeli: spiritus in nobis qui viget, illa facis".
All'incirca: "Né le stelle del cielo, né l'inferno: in noi è solo lo spirito a tutto operare... ".
Questo motto è divenuto per me una guida per la mia intera esistenza. (Magie im Tiefschlaf, in Die Gegenwert, Literatur & Unterhaltungsbeil, Der Saarbrucker Zeitung, 18 febbraio 1928)

(Gustav Meyrink, Il diagramma magico. Basaia, 1983)





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