Il giardino zoologico di Anakee, un torrido pianeta situato quasi al centro della nebulosa di Andromeda, era, sebbene incompleto, il più fornito dell'intero universo. La fauna degli innumerevoli mondi appartenenti a quella Galassia vi era rappresentata in tutta la sua varietà. Mille e mille esemplari, selezionati e disposti in bell'ordine, vivevano rinchiusi entro cubi trasparenti di quarzo polarizzato in cui erano state artificialmente riprodotte le condizioni ambientali del pianeta di provenienza.
Uno zoo davvero magnifico! Gli uomini di Anakee ne erano orgogliosi. E quando il loro enorme progresso scientifico consentì il balzo verso altre Galassie, non dimenticarono di caricare a bordo delle loro veloci astronavi i cacciatori elettronici. Paese che vai, bestie che trovi, dissero. Al ritorno della spedizione il loro zoo sarebbe stato certamente ingrandito e arricchito di nuovi e interessanti esemplari.
Fu così che un bel giorno le astronavi di Anakee fecero capolino ai margini della Via Lattea. Squadre di tecnici e specialisti esplorarono dozzine e dozzine di pianeti e relativi satelliti, eseguirono i dovuti rilievi scientifici e sguinzagliarono i cacciatori, uno per pianeta.
Il Korok - così si chiamava il macchinario semovente capace di dare la caccia ad animali di qualsiasi tipo - somigliava ad un enorme ragno: otto zampe metalliche e snodabili innestate su uno sferoide di circa un metro e mezzo di diametro. Il Korok era indistruttibile, a prova di bomba nucleare e di raggio termico. Era fornito di uno spettrofotometro a raggi infrarossi per la ricerca automatica della preda, di una carica praticamente inesauribile e di un paralizzatore neuronico con cui immobilizzava l'animale al termine dell'inseguimento.
L'apparecchio lasciato su Deneb IV apparteneva al tipo più recente e perfezionato. Era dotato, infatti, di uno speciale e sensibilissimo misuratore d'intelligenza. Sulle indicazioni di esso il Korok immobilizzava soltanto gli animali più evoluti e interessanti: gli uomini di Anakee non avevano alcuna intenzione di portarsi a casa una collezione di bestie sciocche e scarsamente evolute. Volevano esemplari di prim'ordine. Il Korok stesso avrebbe provveduto alla selezione.
Harry Bulmer, comandante della "Golden Star" capitò su Deneb IV qualche tempo dopo. Sarà bene dirlo subito: anche i terrestri scorrazzavano per lo spazio, ma le loro esplorazioni si svolgevano in un raggio piuttosto ristretto. Le astronavi terrestri erano rudimentali: potevano raggiungere velocità di molto superiori a quella della luce, alla barba di Einstein che secoli prima aveva postulato il limite massimo a 300.000 km/sec., tuttavia si trattava di una velocità irrisoria, perlomeno in confronto a quella delle astronavi di Anakee, le quali, sfruttando le distorsioni dell'iperspazio, potevano coprire distanze enormi quasi in un batter d'occhio.
Harry Bulmer faceva parte della Squadra Astrografi, adibita alla compilazione delle astromappe e all'esplorazione dei pianeti al di là del Sistema Solare. Quando nel teleschermo l'immagine di Deneb IV diventò abbastanza nitida, Harry comprese subito che il pianeta sarebbe stato un osso duro. Decise di esplorarlo di persona. Lasciò la "Golden Star" in orbita e scese a terra servendosi d'un canotto spaziale.
Prelevò un campione d'aria: irrespirabile. Allora si munì d'un leggero respiratore e uscì all'aperto. Esaminò il terreno, raccolse campioni di roccia e di sedimenti. Poiché gli occorreva anche un campione d'acqua pensò bene di dirigersi verso la folta macchia di vegetazione che si estendeva ai limiti della radura.
La flora era di un tipo insolito, probabilmente a base di silicio anziché di carbonio. Tagliò con le cesoie alcuni arboscelli e li mise nel tascapane. Poi, attraversata la macchia, pervenne ai margini di un'altra pianura, erbosa e ondulata.
Restò senza fiato. Harry era un uomo di fegato, aveva esplorato un centinaio di pianeti, e ne aveva viste di tutti i colori. Ma lo spettacolo che questa volta si parava dinanzi ai suoi occhi superava ogni aspettativa. A pochi metri di distanza giacevano animali del tipo più disparato, rigidi, immobili come statue. Sembrava che tutti i rappresentanti della fauna di Deneb IV si fossero dati convegno in quel punto per dormire insieme un lungo sonno di pace e di fratellanza.
Harry si avvicinò con il disintegratore puntato, pronto a far fuoco al minimo segno di pericolo. Gli animali non si mossero. Ciò che maggiormente lo impressionava non era il loro aspetto mostruoso, quanto piuttosto la luce di gelida intelligenza che emanava da quella selva di occhi sbarrati.
Mentre scattava alcune fotografie udì un fruscio di sterpi nella boscaglia. Qualunque cosa fosse, non era consigliabile restare lì allo scoperto. Harry corse a nascondersi in un cespuglio.
Quando vide il Korok per poco non gridò. Quell'enorme ragno metallico, che procedeva su cinque delle otto zampe sostenendo la preda con le altre tre, era quanto di più terrificante e incomprensibile egli avesse incontrato nelle sue scorribande attraverso lo spazio.
Il Korok si avvicinò al gruppo degli animali irrigiditi e posò a terra la preda paralizzata. Harry lo vide allontanarsi alla ricerca di altri esemplari, ma, percorsi pochi metri, la piccola antenna periscopica che fuorusciva dallo sferoide emise uno strano ronzio. Il Korok si arrestò di colpo e cambiò direzione. Ora procedeva verso di lui, evidentemente l'antenna spia aveva rivelato la presenza dell'uomo e il Korok si accingeva a catturare la nuova preda.
Harry puntò l'arma e fece fuoco. Non accadde niente: il Korok continuava ad avanzare. Fece fuoco altre due volte e se la diede a gambe.
S'accorse subito che correndo in quella direzione si allontanava sempre più dal canotto spaziale, ma ormai era tardi, il Korok gli era alle spalle e incalzava procedendo a velocità sostenuta e costante. Si sbarazzò del disintegratore, gettò via la macchina fotografica e il tascapane contenente i campioni. Alleggerito, riuscì a guadagnare un centinaio di metri. Poi, deviò a sinistra, correndo lungo una traiettoria curva, al termine della quale sperava di arrivare vicino al canotto. Sapeva che la corsa sarebbe durata non meno di tre ore, era una pazzia sperare di farcela.
Le costole cominciarono a dolergli, il cuore sembrava che dovesse scoppiare da un momento all'altro. Harry era giustamente considerato uno tra i più intelligenti esploratori del Servizio Galattico. Possibile che con il suo cervello tanto quotato non riuscisse a trovare la maniera di gabellare il Korok? Si arrestò di colpo e attese.
Quando il Korok fu giunto a soli quattro metri, Harry scattò sulla destra e dopo alcuni rapidissimi balzi, deviò bruscamente sulla sinistra di quasi novanta gradi. Aveva consentito al Korok di avvicinarsi, questo era vero, ma ora poteva sperare di raggiungere il canotto in linea retta senza più subire il ritardo delle deviazioni. Ce l'avrebbe fatta? Correva ormai da più di un'ora, i polmoni gli bruciavano e sentiva in bocca sapor di metallo.
Era una corsa allucinante, disperata. Poi, come Dio volle, giunse alla grande radura dove aveva lasciato il veicolo spaziale. Era laggiù, lucido e invitante sotto il sole purpureo, lontano non più di mezzo miglio. Ma il Korok era di nuovo alle sue calcagna. Harry udiva lo sferragliare di quelle otto zampe che lo tallonavano farsi sempre più incombente e minaccioso. Inesorabile, il Korok guadagnava terreno. Le gambe di Harry non reggevano più, erano molli, gommose, e si piegavano ad ogni passo. Un urlo di pazzia gli rimbombò nel cranio.
Fu raggiunto a pochi metri dal portello. Una pietra che sporgeva dal terreno lo fece inciampare. Cadde, rotolò e giacque supino. Il Korok gli fu addosso.
Era sotto la macchina, ingabbiato tra le otto zampe, e fissava lo sferoide con occhi sbarrati dal terrore. Aste lunghe e sottili, terminanti con bulbi ed elettrodi, uscirono dalla macchina. E' la fine, pensò Harry. Si sentì esaminare, toccare il petto, il collo e la fronte. Una sonda biforcuta gli si incollò alle tempie. Chiuse gli occhi in attesa della fine.
Fu una paura inutile. Il Korok ritirò le aste e la sonda, e indietreggiò. Harry, incredulo, lo guardò allontanarsi e sparire in fondo alla radura lasciando dietro di sé una nuvola di polvere.
Era stato risparmiato. Inspiegabilmente il Korok aveva deciso di non catturarlo. Sudato e ansante entrò nel canotto e raggiunse l'astronave che attendeva in orbita. Quando compilò il rapporto, accanto al nome del pianeta, scrisse: M.P.I., Mondo Pericoloso e Inospitale. Prese la mappa galattica e disegnò intorno a Deneb IV un circoletto rosso.
Non seppe mai che cosa in realtà lo aveva salvato. Harry non poteva sapere che i tecnici di Anakee avevano costruito il Korok tarandolo in modo che esso potesse catturare soltanto gli animali forniti di un quoziente intellettuale superiore a quello medio. E soprattutto Harry ignorava che all'esame elettroneurotico del Korok, lui, l'esploratore forse più in gamba di tutta la squadra, era risultato di intelligenza debole, scarsamente interessante e indegno di far parte dello zoo che gli uomini di Anakee stavano allestendo.
(Lino Aldani, Quarta dimensione. Baldini & Castoldi, 1964)