Il telaio era evidentemente il pezzo forte della mostra. Non il più prezioso, e neanche quello scientificamente più importante, ma quello che attirava di più l'attenzione dei visitatori certamente sì. Eppure, a prescindere dai pesi d'argilla che tenevano tesi i fili dell'ordito, che venivano dallo scavo, si trattava d'un manufatto chiaramente contemporaneo, com'era contemporaneo il tessuto impostato sulla metà superiore dell'apparecchio. Ma, insomma, non era necessario studiarsi la gigantografia del pannello laterale, la riproduzione d'un vaso attico a figure rosse che raffigurava un telaio praticamente identico, per capire che si trattava della ricostruzione fedele e istruttiva d'uno strumento antico. I presenti erano persone colte, che sapevano tutto della cultura materiale e di quanto fosse importante didatticamente mostrare come funzionavano gli strumenti di produzione antichi. E comunque, era ovvio che vedere un telaio identico a quelli usati dagli etruschi interessava di più di tutti i cocci graffiti delle altre sale.
La dottoressa V. aveva avuto un piccolo sussulto, varcando la porta, ma nessuno se n'era accorto. Adesso era pronta a spiegare. "Il materiale di questa sala", cominciò, rivolgendosi al piccolo gruppo d'estimatori raccolti attorno al telaio, "viene tutto dallo stesso edificio, quello che abbiamo chiamato "la casa del laboratorio". Che ci fosse un laboratorio di tessitura, in effetti, è evidente: il pavimento di uno dei locali era praticamente ricoperto di pesi ad anello, come questi. Le altre stanze dovevano servire da magazzino: vedete tutte quelle anfore nella vetrina là a destra..."
Gli amici volsero debitamente gli occhi a destra, ma era evidente che il loro cuore era ancora con il telaio.
"Sono anfore per granaglie", proseguì sbrigativa la dottoressa V. "Contenevano, quando le abbiamo scavate, resti riconoscibili di fave... miglio... spelta... due tipi di frumento..." una brevissima, impercettibile, esitazione, "carbonizzati, certo." Aspettò il solito commento idiota sulla dieta degli etruschi, ma, per questa volta, non venne. Meglio così: poteva tornare tranquillamente al telaio.
"I telaio, naturalmente, è una ricostruzione. Lo scavo ha restituito solo i pesi, e ha permesso d'individuare la base rialzata, sul pavimento. Ma è un modello diffuso nelle culture del bronzo e del ferro, in tutta l'area. Qui, vedete, abbiamo fatto un po' di scena: la lana viene da una vecchia matassa che avevo a casa. A tessere ha provveduto la Bianca", un cenno verso la sorella, un po' scostata dagli altri, e un po' imbarazzata. "Le navette... beh, ieri sera, a dieci ore dall'inaugurazione, ci siamo accorti che non c'erano. Per fortuna ci ha pensato Luigi." Anche Luigi, suo cognato, sembrava a disagio, mentre si levava il solito cicaleccio di lodi.
Ha provveduto la Bianca... Ci ha pensato Luigi... Non sapevano quanto. Ore e ore per tessere, e non solo quella striscia di stoffa grigiastra. Avevano provato a farle a maglia, le tuniche, ma non venivano bene. E l'argilla: tutti i su e giù in campagna per trovare l'argilla che s'erano fatti...
"L'edificio sorgeva sulla via principale dell'abitato. Dalle dimensioni, e dalla diversificazione delle attività economiche che ospitava, possiamo dedurre qualche informazione sull'abitato stesso. Era un centro cospicuo: il più importante a nord del fiume, direi. Non è chiaro se la popolazione fosse tutta riconducibile all'etnico etrusco o se fosse mista, con una qualche presenza di italici o celti..."
Un centro importante, abituato ai forestieri, in cui nessuno si sarebbe stupito a vedere delle facce nuove sulla via. Facce nuove, ma non esotiche, naturalmente, di tipo mediterraneo, dai lineamenti minuti. O anche qualche tipo celtico, qualche barba bionda, come quella... come quella di Luigi? Era stato un po' un azzardo, a pensarci bene.
"Il nostro edificio, forse era un centro di produzione, il telaio, e di scambio. Nel complesso, il ritrovamento è stato notevole: non è comune trovare tanto materiale in situ. La distruzione improvvisa..."
"La distruzione improvvisa?" La domanda la riscosse dai suoi mezzi pensieri. S'era distratta: ora non poteva fare a meno di spiegare... e non ne aveva gran voglia.
"Sì. Un incendio. L'edificio è bruciato, tutto d'un colpo, ed è crollato su se stesso. I materiali sono stati conservati nelle macerie: il fuoco ha cotto l'argilla, naturalmente. Parecchi pezzi sono deformati dalle fiamme, come quelle anfore là..."
"Deformati dalle fiamme?" Il solito saputello. "Ma... deve essersi sviluppato un calore di più di settecentocinquanta gradi..."
"E' possibile!" Era possibile, certo. Un grande incendio si autoalimenta, finché c'è qualcosa da bruciare. E con una buona partenza...
"Chissà che fiammata!"
"La struttura era in legno, naturalmente. E il tetto di paglia. Gli incendi erano piuttosto frequenti..."
Sì, erano piuttosto frequenti, specialmente se qualcuno aveva motivo per appiccarli.
"... lo sappiamo anche dalle fonti. Un episodio drammatico, probabilmente."
Un episodio drammatico, poco ma sicuro. Una gran confusione, grida, animali in fuga, gente che accorreva, tentativi di spegnere le fiamme... una gran confusione, in quel crepuscolo illuminato dalla vampa del fuoco. Una confusione preziosa per i tre estranei , avvolti in rozze tuniche di lana grigia, che filavano a passo spedito verso i campi, fuori dall'abitato, dove li aspettava il loro accompagnatore...
Due minute figure femminili, che portavano a fatica un grande orcio d'argilla, che emanava uno strano odore penetrante (due schiave italiche, a prima vista), e un tipo di celta barbuto che di orci, invece, ne portava disinvoltamente due. Tutti e tre con l'aria di avere una gran fretta.
"D'altronde... Sappiamo che l'archeologia vive di catastrofi, piccole o grandi. I bronzi di Riace li abbiamo perché la nave che li portava ha fatto naufragio. Le tavolette in lineare B si sono salvate perché i palazzi di Cnosso e Pilo sono bruciati, nel corso dell'invasione dorica."
Sì, nel corso dell'invasione... o almeno così si diceva. Chissà se sir Arthur Evans, invece...
"Il nostro incendio è stato ben poca cosa, a paragone. E senza vittime: non abbiamo trovato ossa carbonizzate."
Vero. Ma non aveva bisogno di dirlo: non aveva bisogno di giustificarsi. Era andata bene, ma la scienza esige le sue vittime, a volte. In un modo o nell'altro.
"Nel complesso, la "casa del laboratorio" rappresenta un ritrovamento interessante, d'un certo peso. Ci illumina sulla vita economica e sulla tecnologia di quella comunità, sui suoi rapporti con l'esterno. I cereali, per esempio, non sono di produzione locale, non tutti, almeno: dobbiamo supporre dei traffici, un commercio. D'altronde, nel corredo delle tombe ci sono pezzi di vasellame attico, e quel delizioso aryballos rodio in pasta di vetro..."
Un piccolo incendio. Tanto, non le sarebbe servito a niente dar fuoco al palazzo di Cnosso: non aveva a che fare con i suoi scavi. Lei si occupava di insediamenti etruschi a nord del fiume. Ma da scavo si passa a scavo, da cosa nasce cosa. Era così facile, ora che sapeva il trucco, andare nel passato, con una sorella, un cognato, qualche orcio di benzina e una scatola di fiammiferi. Lui era sempre pronto ad accompagnare chiunque lo chiedesse, nella debita forma, impegnandosi a pagare il giusto prezzo. Nel passato gli incendi erano sempre possibili, no?
La visita proseguiva senza intoppi: erano ormai arrivati nella sala dei rilievi, l'ultima.
"Questo rilievo è un po' malridotto. Doveva raffigurare, crediamo, l'arrivo delle anime nell'Ade. Questa a destra, alata e con le mani adunche, è una figura diabolica."
Sì, una figura diabolica, ma quanto poco attendibile! Ben diversa da quella che era venuta a trovarla, mesi prima, per farle la proposta. L'aveva riconosciuta subito, con alta professionalità: non per niente Lui amava il passato, amava l'archeologia.
Mentre usciva dal palazzo, nello splendido pomeriggio settembrino, la dottoressa V. riviveva, pur senza averne esattamente desiderio, tutta la vicenda. Il suo assenso immediato, la breve consultazione con la Bianca e Luigi, la firma col sangue, i termini dell'impegno... Non era affatto turbata. Oltre ad avere una preparazione scientifica di prim'ordine, era una donna di salde convinzioni. Per la scienza, lo aveva ripetuto tante di quelle volte anche prima, per il bene dell'archeologia, sarebbe andata persino all'inferno.
"D'altronde... Sappiamo che l'archeologia vive di catastrofi, piccole o grandi. I bronzi di Riace li abbiamo perché la nave che li portava ha fatto naufragio. Le tavolette in lineare B si sono salvate perché i palazzi di Cnosso e Pilo sono bruciati, nel corso dell'invasione dorica."
Sì, nel corso dell'invasione... o almeno così si diceva. Chissà se sir Arthur Evans, invece...
"Il nostro incendio è stato ben poca cosa, a paragone. E senza vittime: non abbiamo trovato ossa carbonizzate."
Vero. Ma non aveva bisogno di dirlo: non aveva bisogno di giustificarsi. Era andata bene, ma la scienza esige le sue vittime, a volte. In un modo o nell'altro.
"Nel complesso, la "casa del laboratorio" rappresenta un ritrovamento interessante, d'un certo peso. Ci illumina sulla vita economica e sulla tecnologia di quella comunità, sui suoi rapporti con l'esterno. I cereali, per esempio, non sono di produzione locale, non tutti, almeno: dobbiamo supporre dei traffici, un commercio. D'altronde, nel corredo delle tombe ci sono pezzi di vasellame attico, e quel delizioso aryballos rodio in pasta di vetro..."
Un piccolo incendio. Tanto, non le sarebbe servito a niente dar fuoco al palazzo di Cnosso: non aveva a che fare con i suoi scavi. Lei si occupava di insediamenti etruschi a nord del fiume. Ma da scavo si passa a scavo, da cosa nasce cosa. Era così facile, ora che sapeva il trucco, andare nel passato, con una sorella, un cognato, qualche orcio di benzina e una scatola di fiammiferi. Lui era sempre pronto ad accompagnare chiunque lo chiedesse, nella debita forma, impegnandosi a pagare il giusto prezzo. Nel passato gli incendi erano sempre possibili, no?
La visita proseguiva senza intoppi: erano ormai arrivati nella sala dei rilievi, l'ultima.
"Questo rilievo è un po' malridotto. Doveva raffigurare, crediamo, l'arrivo delle anime nell'Ade. Questa a destra, alata e con le mani adunche, è una figura diabolica."
Sì, una figura diabolica, ma quanto poco attendibile! Ben diversa da quella che era venuta a trovarla, mesi prima, per farle la proposta. L'aveva riconosciuta subito, con alta professionalità: non per niente Lui amava il passato, amava l'archeologia.
Mentre usciva dal palazzo, nello splendido pomeriggio settembrino, la dottoressa V. riviveva, pur senza averne esattamente desiderio, tutta la vicenda. Il suo assenso immediato, la breve consultazione con la Bianca e Luigi, la firma col sangue, i termini dell'impegno... Non era affatto turbata. Oltre ad avere una preparazione scientifica di prim'ordine, era una donna di salde convinzioni. Per la scienza, lo aveva ripetuto tante di quelle volte anche prima, per il bene dell'archeologia, sarebbe andata persino all'inferno.
(Carlo Oliva. Tra di noi. Storie di soprannaturale urbano. Baldini & Castoldi, 1992)