giovedì 29 agosto 2013

La Buona Annata's History Channel: Paul Valéry et la Critique militaire

Un esercito si forma, si orienta e si muove come certe immagini del suo comandante. Un esercito rischia, si dà e si perde in conformità a certe immagini comuni a tutta la massa.
Insomma, tutta l'arte del comando consiste nell'aver organizzato l'ineguaglianza fatale che è necessario che qualcuno si attribuisca. E' una combinazione di tempo, di numeri, di terreno, di armi, di sentimenti. I due membri della lotta sono fatti di questi termini; e, nel caso in cui i loro valori siano uguali, i due eserciti finiscono col distruggersi.
Da un certo punto di vista due eserciti che tendono al medesimo obiettivo costituiscono un tutto unico che via via si modifica passando da una fase iniziale a una finale attraverso una successione di movimenti interni. Da questo punto di vista la vittoria o la sconfitta perdono il loro significato.
All'origine di questo sistema, tutti gli individui che ne fanno parte presentano un'esitazione generale; e, a prescindere dalla speranza, due idee contrarie dividono ogni soldato. In uno stadio successivo, questo stato di dubbio diffuso uniformemente si trasforma in due certezze, ciascuna delle quali è caratteristica esclusiva ed assoluta di uno dei due contendenti.
Dirò ora che del soggetto vedo solo le idee, le figure, i ragionamenti o le elaborazioni. Ciò ammesso, non mi sembra che ci siano altre difficoltà salvo quelle ovunque presenti, e ovunque simili.
In guerra, in mancanza di simboli, saremmo obbligati, per essere chiari, a uccidere tutti fino all'ultimo. Ogni battaglia è perciò piena di convenzioni.
L'insieme delle idee militari fa riferimento a un'idea guida fissa che è l'idea del Nemico. E' il Non-Io di un esercito. A un uomo che fa la guerra questa idea viene proposta continuamente e diviene il leitmotiv di tutti i minuti per il semplice fatto che è un'ossessione ricorrente. Lascio ora al lettore il compito di ricercare, in via generale, quel che possa diventare il pensiero di un individuo quando lo si sottopone a un martellamento costante ed invariabile, basato su un'unica idea fissa. Idea fissa che si ritrova in tutte le associazioni mentali possibili e che le altera ad una ad una; ma essa, non si altera. Se il pensiero manipolato in questo modo è quello di un uomo di guerra, si capisce bene che un'eventuale sua dimenticanza della condizione imposta sarà punita con assoluta durezza. 
Nei cervelli in cui è chiaro questo concetto di Nemico ideale, può essere più o meno definito. Un esercito in guerra in un paese difficile, isolato, avrà davanti a sé un intero orizzonte nemico. Si conoscono più o meno l'avversario, la sua forza, la sua posizione, la sua volontà, i suoi piani e l'dea che lui si è fatto di noi. L'immagine del nemico è però meno pericolosa quanto più è determinata e di conseguenza può influenzare in misura minore le ipotesi astratte che hanno origine da procedimenti logici o dagli stessi sogni.
Sulla base di queste valutazioni, ritengo che sarebbe possibile con una certa facilità "dar conto" della successione delle vicende di una guerra, attraverso l'andamento dell'idea di nemico propria di uno dei testimoni, in occasione delle diverse fasi di battaglia. (Si tratterebbe di un esperimento come un altro.) Con una costruzione riferita al susseguirsi dei valori del concetto di nemico, avremmo una rappresentazione non completa, ma semplificata al massimo, della successione degli avvenimenti e potremmo così immaginare, attraverso le variazioni in più o in meno di una quantità omogenea, lo svolgersi degli eventi nel loro insieme. Non dico che bisogna necessariamente ricorrere a questo procedimento, dico che potrebbe essere interessante considerarlo.
Da tutto ciò infatti risulta che la principale difficoltà nel preparare una guerra sta proprio nell'immaginarsi un Nemico sin dai tempi di pace. Occorre risalire continuamente a questa idea che determina e indirizza ogni azione militare e che malauguratamente tende ad affievolirsi nelle guarnigioni. Si tratta allora di giocare una partita senza avversario, il che è estremamente difficile; di cercarsi un errore che si è appena tentato di non commettere; di mettersi metodicamente al peggio. Occorre anche aver paura di non aver abbastanza paura e si crea così un atteggiamento di dubbio continuo che forza la mente umana a fare congetture, a darsi risposte e - ciò che è più arduo - a rovesciare bruscamente il senso di tutto il lavoro svolto sul principio del nemico, dato che ci si deve continuamente immedesimare nelle due parti contendenti, ogni volta con il massimo di applicazione.
Bisogna anche imparare a temere i colpi a salve e le cariche prima che vengano arrestate bruscamente nel corso delle esercitazioni.
Una simile necessità corrisponde alla fondamentale educazione della truppa. Quei "regolamenti" speciali, quei piccoli libri in dotazione ai soldati che si gettano appena usciti dalle caserme per cercare di dimenticare che si sono imparati a memoria, contengono più meccanica psicologica dei migliori romanzi. Infatti, i romanzi raccontano tutto e i libri cosiddetti teorici o si mantengono sul generico, o si occupano di casi eccezionali che, in definitiva, si riferiscono sempre ad aspetti generici. Vorrei invece citare, fra tutti i regolamenti militari, le sorprendenti "Istruzioni sul tiro" fatte per essere una guida per tutte le categorie di individui a quella disciplina particolare, cioè il tiro, che costituisce il vero obiettivo del regolamento. Certo, occorre leggere queste istruzioni ricostruendo tutto ciò che presuppongono, senza badare al rischio che possano annoiare una certa parte di giovani molto istruiti.
Voglio aggiungere, a questo proposito, che le difficoltà di conoscere e motivare il "soldato" sono state ingigantite a tal punto da rasentare il ridicolo. Non vi è nulla di più elementare, né di meglio conosciuto della psicologia pratica del soldato, chiunque egli sia. Non si ricorda una sola battaglia in cui il morale del soldato abbia potuto giocare - IN QUANTO ELEMENTO SCONOSCIUTO - un qualsiasi ruolo.
Qui comincia il libro di cui avrei dovuto parlare, ma quello che ho scritto finora potrà certamente far riflettere, oltre agli specialisti , anche coloro che non sono abituati ad approfondire i temi delle proprie riflessioni. Paul Valéry

(Enrico Baj, Patafisica. Bompiani, 1982)




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