sabato 28 dicembre 2013

Anatomy of a Poet

Colin Wilson ci ha laciati il 5 dicembre. La Buona Annata gli rende omaggio con una collaborazione tra lo scrittore inglese e gli In the Nursery risalente a vent'anni or sono. Anatomy of a Poet non è tanto un concept in senso stretto quanto un album a tema che va a toccare uno dei temi principali dell'opera di Wilson. Ma lasciamo la parola agli stessi gemelli Humberstone:
The idea was to represent and musically convey the often self-destructive nature of creative artists. Why is that authors, artists, poets and musicians seem to create their best work out of depression? Colin Wilson, who had been in occasional correspondence with the band, was asked to recite some of this work along with a number of pre-prepared tracks. However, on arriving at Wilson's Cornwall retreat, the author thought it better to recite some of his favourite Romantic period poetry, wich he felt better suited the music.
Colin Wilson può a buon diritto essere considerato un precursore della cultura industriale nella sua riflessione su una mutazione antropologica studiata nei suoi aspetti più aberranti. Ma se l'interesse per assassini seriali e psicopatologia lo accomuna a Throbbing Gristle e ricercatori coevi, la sua esplorazione parte da più lontano: da quella sorta di peste psichica che sembra cogliere alcuni tra i più dotati e sensibili artisti del diciannovesimo secolo e che assume proporzioni di massa in quello appena trascorso. Ma Colin Wilson ha fatto anche di più: ciò che ha chiamato Facoltà X è un invito al superamento del nichilismo e del facile cinismo, a una riscoperta delle possibilità latenti e inespresse dell'essere umano. 




Bombed
Anatomy of a Poet
In Perpetuum
Motive
Hallucinations? (Dream World Mix)
Blue Lovers
Paper Desert
Byzantium
The Seventh Seal
The Golden Journey
Touched with Fire





Ritengo che a fare di Lovecraft, nello stesso tempo, un buon autore e un autore mediocre, sia il fatto che egli era uno scrittore ossessionato. E per questa ragione sono così poche le opere nella tradizione di Lovecraft che hanno raggiunto lo stesso livello di potenza immaginativa. August Derleth e Robert Bloch sanno rendere in modo eccellente lo stile e l'atmosfera di Arkham, ma ciò non esprime il loro vero centro di gravità come scrittori. Bloch è veramente se stesso negli orrori fin troppo possibili di Psycho, con le sue stanze di motel e l'atmosfera di malvagità naturale, simile a quella che potete trovare nelle pagine di una rivista tipo True Detective. In quanto a Derleth, le sue cose migliori appartengono ad una sfera ben lontana dall'orrore e dalla fantasia: i libri sulla vita quotidiana di Sac Prairie, sul mutare delle stagioni, gli animali e gli uccelli. (La sua opera mi ricorda, sotto molti punti di vista, quella di un romanziere inglese troppo sottovalutato, Henry Williamson, autore di Tarka the Otter, e quella di uno strano mistico della natura, Richard Jeffries). Derleth appartiene alla grande tradizione americana di Thoreau e di Withman... e in una certa misura, anche a quella di Sinclair Lewis.
Questo spiega perché Lovecraft è rimasto unico, nonostante il gran numero di autori che si sono lasciati affascinare dal suo mondo mitico e dal suo stile. Egli creò i Miti di Cthulhu per una necessità interiore, come per necessità interiore Blake creò i suoi libri profetici.
Tutto ciò equivale ad ammettere che Lovecraft aveva del genio. Ed è questo, secondo me, che fa di lui un personaggio sostanzialmente tragico: inoltre, lo collega alla mia tesi dell' "Estraneo", ed a questo romanzo.
Il mio punto di partenza, in The Outsider, era che, intorno all'anno 1800, si era prodotto uno strano cambiamento nella razza umana... o almeno in una sua parte importante. Comparve allora all'improvviso un nuovo tipo d'uomo: il romantico. Ai tempi degli antichi greci, il romantico sarebbe stato considerato un individuo malvagio e pericoloso. Un istinto profondo, infatti, gli dice che l'uomo non è un semplice insetto, una "creatura", ma è, in un senso importante, un dio. I greci chiamavano hybris questo peccato, che veniva punito dalla divinità con la follia e la morte. Ecco perché la sorte di tanti romantici avrebbe rafforzato nei greci la convinzione che costoro erano malvagi e pericolosi. Se ci pensate bene, l'elenco degli uomini geniali morti pazzi, o in incidenti, o di tubercolosi, o suicidi, è impressionante e agghiacciante. Shelley, Keats, Poe, Beddoes, Holderlin, Hoffmann, Schiller, Kleist, Nietzsche, Van Gogh, Rimbaud, Verlaine, Lautréamont, Dowson, Johnson, Francis Thomson... l'elenco potrebbe continuare per pagine e pagine. E sarebbero soltanto i più famosi. E tutti gli aspiranti poeti ed artisti che non raggiunsero mai la notorietà e morirono in silenzio in qualche lurida stanza ammobiliata?
Ora, tutti questi romantici hanno una cosa in comune. Sono come i marinai greci che udivano il canto delle sirene, e preferivano gettarsi tra i flutti piuttosto che tornare al mondo scialbo dell'esistenza quotidiana. Oppure come il bimbo zoppo del Piffero magico, il quale racconta che, quando il Pifferaio suonava, sentiva parlare di "una terra felice", dove "tutto era strano e nuovo"; e adesso il bimbo zoppo trascorre il resto della sua esistenza piangendo quella visione perduta. Moltissimi sembrano accontentarsi di trascinare un'esistenza banale; i romantici avevano intravisto qualcosa al di là della banalità. Tutto il romanticismo si può riassumere nella grandiosa battuta di Axel (nel dramma di Villiers de l'Isle Adam): "In quanto al vivere, provvederanno per noi i nostri servitori".
C'è un grande romanzo dello scrittore inglese L.H. Myers (morto suicida negli Anni Quaranta), intitolato The Near and the Far. Il primo capitolo simboleggia in modo perfetto l'aspirazione romantica. E' ambientato nell'India del secolo XVI, e si apre presentando il giovane principe Jali il quale, dall'alto di un palazzo, contempla il deserto attraversato quel giorno. Egli guarda il magnifico tramonto e riflette che vi sono due deserti: il primo è uno splendore per l'occhio; l'altro un tormento per i piedi, quando lo si percorre. E i due deserti non si uniscono mai: se Jali esce dal palazzo per cercare il deserto tanto bello per l'occhio, troverà invece l'altro, quello che è uno strazio percorrere. Il vicino e il lontano... ecco il problema fondamentale dei romantici. Come disse Yeats:
Nulla di ciò che troppo amiamo
è percettibile al tocco.
E' per questo che i romantici giudicano così squallido e sgradevole il mondo della realtà. Alcuni lo odiano al punto che la loro opera diviene un peana blasfemo, come quella di De Sade o di Lautréamont.
E' una storia che continua a ripetersi. Conosco l'autore di uno dei più bei romanzi del sovrannaturale che siano mai stati scritti, E.H. Visiak... un vecchio ormai vicino alla novantina. Il suo Medusa è un romanzo dotato di tale suggestione che continua ad ossessionare la mente per anni ed anni, dopo che lo si è letto. Alcune settimane fa, Visiak mi mandò in lettura il manoscritto della sua autobiografia. Non ne avevo letto più di dieci pagine quando pensai: "Sì, è sempre la stessa cosa..." La strana maledizione del secolo XIX. Visiak era stato un bambino timido e tranquillo, figlio di genitori appartenenti al ceto medio, e il mondo della sua infanzia era stato un mondo incantato. Poi crebbe, dovette mettersi a lavorare per vivere, e "le imposte della prigione cominciarono a chiudersi". Visiak trascorse i successivi vent'anni della sua vita nell'ufficio telegrafico d'una agenzia d'informazioni, non molto felice, conducendo un'esistenza solitaria e libresca. Da bambino, aveva trascorso i momenti più felici in riva al mare. Perciò cominciò a scrivere poesie sui pirati e su isole sconosciute, e poi fu la volta del suo primo romanzo, The Haunted Island; quindi, dopo molti anni, del suo capolavoro, Medusa. Adesso, superati gli ottant'anni, è un vecchio la cui esistenza non è stata straordinariamente felice, sebbene abbia avuto qualche visione ed alcune esperienze eccezionali. E' un uomo stregato e ossessionato, una delle tante vittime del canto delle sirene.
Il miglior amico di Visiak era lo scrittore David Lindasy, il cui Voyage to Arcturus, secondo me, è il romanzo più grande del XX secolo. La storia di Lindsay era molto simile a quella di Visiak... una visione grandiosa, espressa in Voyage to Arcturus e The Haunted Woman. Ma i suoi contemporanei non erano pronti per la sua opera: ed egli visse nella miseria e nell'oblio in Cornovaglia, e morì prima di arrivare a cinquant'anni.
Lindasy possedeva un genio magniloquente; il genio di Visiak ha invece un carattere più dolce e romatico. Eppure, entrambi gli scrittori sono stati vittime di questa "tragedia dell'estraneo", tanto comune nel nostro tempo: uomini la cui visione li rende inadatti alla lotta quotidiana per l'esistenza, ma il cui genio non ha un carattere "commerciale".
Questi estranei vivono da eremiti nelle città moderne. Se sono fortunati - come Kierkegaard - hanno una rendita, e possono scrivere in pace i loro libri strani e contemplativi. Se non hanno questa fortuna - come Lovecraft - la loro sorte è la più dolorosa del mondo.

(Colin Wilson. I parassiti della mente. Fanucci, 1977)

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