martedì 23 dicembre 2014

L'albero di Natale

Ci sarà sempre odor di caldarroste e di altri buoni generi di conforto, visto che raccontiamo storie d'inverno - o, per meglio dire, storie di fantasmi - intorno al fuoco di Natale. E una volta lì, non ci siamo mossi se non per accostarci ancora di più alla fiamma. Questo però non conta. Giungiamo alla casa, una vecchia casa con una quantità di enormi camini, dove la legna nel focolare arde su antichi alari, e ritratti sinistri (alcuni, anche, con leggende sinistre) aggrottano le sopracciglia con aria diffidente dall'alto dei pannelli in noce delle pareti. Chi vi parla è un nobiluomo di mezza età. Gustiamo una generosa cena con il padrone, la padrona di casa e i loro ospiti - è Natale, e la vecchia casa è piena di gente -, poi andiamo a coricarci. La nostra stanza è vecchissima. Le pareti sono tappezzate di arazzi. Quel ritratto di Cavaliere Verde, sopra il caminetto, non ci piace. Ci sono grosse travi nere sul soffitto, e una grossa lettiera nera, sostenuta alla base da due grosse figure nere che sembrano essersi staccate da due tombe della vecchia chiesa baronale del parco, proprio in nostro onore. Ma non siamo superstiziosi, dunque non ci facciamo caso. Così, congediamo il nostro cameriere, chiudiamo a chiave la porta e ci sediamo dinanzi al fuoco, meditando su un'infinità di cose. Alla fine ci corichiamo. Senonché, non riusciamo a prendere sonno. Ci giriamo da una parte, ci rivoltiamo dall'altra, e non riusciamo a prendere sonno. I tizzoni nel focolare ardono allegramente e danno alla stanza un'aria spettrale. Non possiamo trattenerci dal far capolino da sopra il copriletto per sbirciare le due figure nere e il Cavaliere verde: che aspetto malvagio ha! Nel balenio della luce, sembra avanzare e indietreggiare: la qual cosa, sebbene non siamo nobiluomini superstiziosi, non è piacevole. Al che, diventiamo nervosi, sempre più nervosi. Diciamo: - E' sciocco, ma non riusciamo proprio a sopportarlo; ci fingeremo indisposti, e busseremo alla porta di qualcuno -. Ebbene, siamo lì lì per farlo, quando ecco che la porta chiusa a chiave si spalanca ed entra una giovane donna, dal pallore mortale e dai lunghi capelli biondi, che scivola silenziosamente accanto al fuoco, e si siede sulla seggiola che avevamo lasciato lì, fregandosi le mani. Notiamo allora che i suoi abiti sono bagnati. Abbiamo la lingua appiccicata al palato, e non riusciamo a parlare; ma la osserviamo con attenzione. Gli abiti sono bagnati, e i lunghi capelli sono intrisi di fango umido; è vestita alla moda di duecento anni fa, e dalla cintola le pende un mazzo di chiavi arrugginite. Insomma, ella è seduta lì, e noi non riusciamo nemmeno a perdere i sensi, tale è lo stato in cui ci troviamo. Poco dopo si alza e prova tutte le serrature della stanza con le sue chiavi arrugginite, ma nessuna si rivela adatta; quindi fissa gli occhi sul ritratto del Cavaliere verde e, con voce cupa e terribile, dice: - I cervi sanno bene chi è! -. Quindi torna a fregarsi le mani, passa accanto al letto, esce dalla porta. Ci infiliamo in fretta e furia la veste da camera, afferriamo le pistole (in viaggio le portiamo sempre con noi), e ci apprestiamo a seguirla, quando scopriamo che la porta è chiusa a chiave. Giriamo la chiave e guardiamo fuori nell'oscurità della galleria: di là, nessuno. Vaghiamo alla ricerca del nostro cameriere. Non riusciamo a trovarlo. Camminiamo su e giù per la galleria fino allo spuntare del giorno; torniamo poi nella stanza deserta, ci addormentiamo e siamo svegliati dal nostro cameriere (mai che un fantasma perseguiti lui!) e dal sole splendente. Ebbene, facciamo una grama colazione, e tutti gli ospiti notano che abbiamo una brutta cera. Dopo colazione visitiamo la casa in compagnia del nostro ospite, e lo conduciamo quindi dinanzi al ritratto del Cavaliere verde; e allora tutta la storia viene fuori. Costui aveva tratto in inganno una giovane governante, un tempo al servizio di quella famiglia, e famosa per la sua bellezza, e lei si era gettata in uno stagno; il suo corpo era stato scoperto, molto tempo dopo, perché i cervi si erano rifiutati di bere l'acqua. Da allora si è mormorato che, a mezzanotte, lei si aggirasse per la casa (recandosi però di preferenza nella stanza in cui il Cavaliere verde era solito coricarsi) e che provasse con le sue chiavi arrugginite le vecchie serrature. Ebbene, raccontiamo al nostro ospite quanto abbiamo visto; un'ombra gli scende sul volto, ed egli ci supplica di mettere tutto a tacere; così è. Ma è la pura verità; e prima di morire (siamo ormai morti), l'abbiamo riferito a molte persone di nostra fiducia. 
Non scompariranno mai le vecchie case con le gallerie che risuonano di echi, le camere da letto d'onore, le ali infestate dai fantasmi, chiuse da tanti anni, nelle quali ci permettevano di scorrazzare, con i brividi che piacevolmente ci salivano lungo la schiena, e di incontrare tutti i fantasmi che volevamo; i quali però (conviene precisarlo, forse) si riducevano a pochissimi tipi o specie fondamentali: poiché i fantasmi sono poco originali e "passeggiano" per sentieri battuti. Avviene così che in una certa stanza di una certa dimora di campagna, dove un certo Lord, Baronetto, Cavaliere o Gentiluomo scellerato si è ucciso sparandosi un colpo di pistola, il sangue si rifiuti di sparire da certe assi dell'impiantito. Puoi pure raschiare e raschiare, come l'attuale proprietario ha fatto, o piallare e piallare come fece suo padre, o strofinare e strofinare, come fece il nonno, o scrostare e scrostare con potenti acidi corrosivi, come fece il bisnonno, ma il sangue sarà sempre lì: né più rosso né più scolorito, né di più né di meno, sempre e solo lo stesso. Accade così che in una talaltra casa ci sia una porta stregata che non resterà mai aperta, o un'altra che non resterà mai chiusa; o il suono stregato di un arcolaio, o di un martello, o un rumore di passi, o un urlo, o un sospiro, o uno scalpitio di cavalli, o uno strepito di catene. Diversamente c'è un orologio sulla torre che a mezzanotte batte tredici rintocchi quando il capofamiglia è in punto di morte; o una carrozza nera, fosca e immota, che in quei momenti qualcuno vede sempre in sosta vicino ai grandi cancelli delle scuderie. E accadde così che Lady Mary andò in vista in una casa vasta e isolata nelle Highlands scozzesi, e che, stanca per il lungo viaggio, si ritirò presto nella sua stanza, e la mattina successiva disse candidamente al tavolo della colazione: - Che bizzarria dare una festa così tardi, la scorsa notte, in un posto così fuori mano, e non avermelo detto, prima che andassi a letto! -. Al che tutti domandarono a Lady Mary cosa intendeva dire. Lady Mary allora rispose: - Ma come, se per tutta la notte le carrozze non hanno mai smesso di rintronare sul pavimento del terrazzo, sotto la mia finestra! -. A quelle parole il proprietario della casa impallidì, altrettanto fece la sua signora, e Charles Macdoodle di Macdoodle fece cenno a Lady Mary di non aggiungere altro, e tutti restarono in silenzio. Dopo colazione, Charles Macdoodle informò Lady Mary che nella tradizione di quella famiglia lo strepito delle carrozze sul terrazzo era un presagio di morte. E così fu, poiché due mesi più tardi la gentildonna della villa spirò. E Lady Mary, che era damigella d'onore a Corte, narrava spesso questa storia alla vecchia regina Carlotta; e ogni volta il vecchio re diceva: - Eh, che? Che, che? Fantasmi, fantasmi? No, queste cose no, queste cose no! -. E non la smetteva di ripetere le stesse parole fino al momento di andare a dormire. 
Accadde anche che l'amico di un tale, uno che i più di noi conoscono, quand'era giovane si fece un amico speciale all'università, con il quale strinse il patto che, se allo spirito fosse stato concesso di tornare sulla Terra dopo la separazione dal corpo, quello che dei due fosse morto prima sarebbe dovuto riapparire all'altro. Col passare del tempo, il nostro amico dimenticò il patto; i due giovani, infatti, avevano continuato la loro vita prendendo strade assai differenti l'una dall'altra. Ma una notte, parecchi anni dopo, al nostro amico, che allora si trovava nel nord dell'Inghilterra e per la notte aveva preso alloggio in una locanda nelle brughiere dello Yorkshire, accadde di guardare poco più in là del letto; e lì, al chiarore della luna, appoggiato a uno scrittoio vicino alla finestra, con lo sguardo fisso su di lui, vide il suo vecchio compagno d'università! Rivolgendosi a lui in modo grave, l'apparizione disse in una specie di sussurro, ma ben percettibile: - Non ti avvicinare. Io sono morto. Sono qui per onorare la mia promessa. Provengo da una altro mondo, ma non posso svelarne i segreti! -. Poi, la sagoma impallidì, si sciolse, per così dire, nel chiarore della luna, e svanì.
Si narra poi della figlia del primo inquilino della pittoresca casa elisabettiana, tanto famosa dalle nostre parti. Avete mai sentito parlare di lei? No? Diamine: costei, una splendida fanciulla di appena diciassette anni, uscì di casa una sera d'estate, al crepuscolo, per cogliere fiori in giardino; poco dopo rientrò correndo nell'ingresso, terrorizzata, e disse al padre: - Oh, caro padre, ho incontrato me stessa! -. Egli la prese in braccio e le disse che era solo una fantasia; ma lei continuò: - Oh, no! Ho incontrato me stessa nel viale grande; ero pallida e coglievo fiori appassiti, ho volato la testa e li ho raccolti! -. Quella notte ella morì; il quadro che avevano iniziato per illustrare la sua storia non fu mai terminato, e ancora oggi, dicono, si trova in qualche parte della casa, rivolto contro il muro.
Si narra ancora dello zio della moglie di mio fratello, che stava tornando a casa in groppa al cavallo, una tiepida sera al tramonto, quando su un viottolo erboso nei pressi di casa vide un uomo che gli stava di fronte, al centro esatto dell'angusto sentiero. "Chissà perché si è messo là, quell'uomo col mantello...", pensò. "Vuole forse che lo travolga col mio cavallo?". Ma la figura non si mosse. Fu colto, allora, da una strana sensazione, vedendola così quieta, ma rallentò il trotto, e avanzò guidando il cavallo in quella direzione. Quando fu tanto vicino da toccarla quasi con la staffa, il cavallo s'impennò, e la figura scivolò sul margine del viottolo, con un movimento strano, che non sembrava di questa Terra - a ritroso, e senza dare l'impressione di usare i piedi -, e scomparve. Lo zio della moglie di mio fratello esclamò: - Santo cielo! E' mio cugino Harry di Bombay! -. Diede di sprone al cavallo, che subito fu madido di sudore, e domandandosi il perché di un così bizzarro comportamento, si precipitò di gran carriera in direzione della casa finché non vi si fermò davanti. Lì vide la stessa figura varcare la soglia delle alte porte-finestre del salotto che si aprivano sul giardino. Lanciò le redini a un domestico, e le si affrettò dietro. Sua sorella sedeva lì, sola. - Alice, dov'è mio cugino Harry? - Tuo cugino Harry, John? - Sì, il mio cugino di Bombay. L'ho incontrato poc'anzi sul viottolo, e proprio adesso l'ho visto entrare qui -. Nessuna creatura era stata vista da alcuno; a quell'ora, e in quell'istante però, come in seguito si venne a sapere, questo cugino moriva in India.
Si narra poi di quella anziana signorina, donna molto saggia, che morì a novantanove anni, serbando intatta la lucidità sino alla fine. Ella vide davvero l'Orfanello. Questa storia è stata spesso raccontata con parecchie inesattezze, ma la versione più attendibile - dato che, in realtà, è una storia che appartiene alla nostra famiglia, e l'anziana signorina era una nostra conoscente - è la seguente. Quando ella aveva più o meno quarant'anni, ed era ancora una donna di straordinaria bellezza ( il suo amato morì giovane, e questo è il motivo per cui ella non si sposò mai, sebbene ricevesse molte offerte di matrimonio), andò ad abitare in una residenza di campagna nel Kent che suo fratello, un mercante della Compagnia delle Indie, aveva recentemente acquistato. Correva voce che la proprietà fosse un tempo appartenuta al tutore di un fanciullo, di cui era anche l'erede più prossimo, e che l'avesse ucciso, sottoponendolo a duri e crudeli maltrattamenti. Di questo lei non sapeva nulla. Si dice che nella sua camera da letto ci fosse una gabbia in cui il tutore era solito rinchiudere il ragazzo. Ma una cosa del genere non c'è mai stata. C'era solo uno stanzino. Lei andò a coricarsi, non diede alcun allarme durante la notte, e al mattino disse calma alla cameriera, quando quella entrò nella stanza: - Chi è il grazioso bimbo dall'aria derelitta che tutta la notte ha fatto capolino da quello stanzino? -. La cameriera rispose lanciando un grido stridulo, e abbandonò il campo in men che non si dica. Lei rimase stupita; ma era una donna di notevole vigore intellettuale, pertanto si vestì, scese a pianterreno e si appartò in colloquio privato con il fratello. - Ebbene, Walter - disse -, tutta la notte sono stata disturbata da un grazioso ragazzo dall'aria derelitta che continuamente faceva capolino da quello stanzino che non riesco ad aprire. E' una burla. - Temo di no, Charlotte - egli disse -, è la leggenda della casa. E' l'Orfanello. Che faceva? - Apriva la porta pian pianino - ella rispose -, e faceva capolino. Certe volte avanzava uno o due passi nella stanza. Allora, quando lo chiamavo e lo invitavo a entrare, si faceva più piccolo, si metteva a tremare, sgattaiolava dentro un'altra volta, e chiudeva la porta. - Lo stanzino, Charlotte - disse il fratello -, non comunica con nessun'altra parte della casa, e la porta è inchiodata -. Cosa sicuramente vera, poiché ci vollero due falegnami e un'intera mattinata per aprirlo, e poterlo così ispezionare. Allora ella fu convinta di aver visto l'Orfanello. Ma la parte raccapricciante e terribile della storia è che il fanciullo fu visto anche da tre dei figli del fratello, l'uno di seguito all'altro, i quali morirono tutti in tenera età. Ogni volta che si era ammalato, ciascun bambino era tornato a casa, dodici ore prima, in preda a grande eccitazione, e aveva detto: - Oh, mamma, ho giocato sotto quel tale albero di noce, in quel tal prato, con uno strano ragazzo... un grazioso ragazzo dall'aria derelitta, assai timido, che mi ha fatto dei cenni! -. Per loro fatale esperienza, i genitori arrivarono a capire che costui era l'Orfanello, e che il destino del bambino che egli aveva scelto per suo piccolo compagno di giochi era irrimediabilmente segnato.
Legione sono i castelli tedeschi, dove vegliamo in solitudine in attesa dello Spettro; dove veniamo accompagnati in una stanza resa relativamente allegra per il nostro arrivo; dove seguiamo con lo sguardo le ombre gettate sulle nude pareti dal fuoco scoppiettante; dove ci sentiamo davvero soli quando il proprietario della locanda del villaggio e la sua graziosa figlia si ritirano, dopo aver deposto una nuova provvista di legna nel focolare, e accostato sul tavolino una ricca imbandigione per cena, composta di arrosto freddo di cappone, pane, uva, e un fiasco di vino invecchiato del Reno; dove le porte si richiudono sbattendo, l'una dopo l'altra, sui loro recessi segreti, come i ripetuti scoppi del lugubre tuono; e dove, intorno alle ore piccole della notte, facciamo la conoscenza di tanti misteri soprannaturali. Legione sono gli studenti tedeschi ossessionati dai fantasmi, in compagnia dei quali ci trasciniamo ancora più vicini al fuoco, mentre lo scolaro nell'angolo sgrana tanto d'occhi e solleva lo sgabellino che si è scelto per sedile... mentre la porta accidentalmente si spalanca.

(Charles Dickens, I racconti di fantasmi. Theoria, 1989)






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